L’emergenza Coronavirus (non è la prima e nessuno può pensare che sia l’ultima) deve spingerci ad una profonda e corale riflessione su tre evidenze di questi giorni.
La prima. Siamo ormai a tutti gli effetti un Mondo pienamente interconnesso. E non solo per quanto riguarda l’economia, la finanza, l’informazione.

Lo siamo anche sul piano della mobilità fisica delle persone e delle merci. Pensare di poter semplicemente fermare, di punto in bianco, questa mobilità globale è illusorio. Gli apparati pubblici sono in difficoltà nel gestire simili emergenze sanitarie globali. E ciò è facilmente comprensibile: essi sono infatti modellati in ragione della dimensione nazionale e preposti a presidiare ciò che accade “dentro” i confini di ciascuna nazione.

Nonostante la presenza di organismi internazionali come l’OMS, ogni fenomeno globale fatica ad essere intercettato e gestito con la dovuta tempestività e la necessaria visione di insieme. In tempi di rigurgiti nazionalisti occorrerebbe tenerne conto: non una sola delle sfide difficili del nostro tempo (ivi comprese quelle climatiche, demografiche, di sicurezza, migratorie, fino a quelle sanitarie) può essere affrontata con successo se non con politiche ed istituzioni sovra nazionali.

La seconda. Siamo completamente indifesi rispetto alla montagna di informazioni che ogni minuto ci vengono propinate, attraverso i social, da ogni fonte anche improbabile e senza alcuna validazione di nessun tipo. Ciò provoca disorientamento e segnali di panico, molto spesso ingiustificato o orientato in maniera irragionevole o erronea. Il Far West della comunicazione via Rete non può certo essere superato con la nostalgia dei sistemi del passato. Ma non c’è dubbio che occorre investire massicciamente per accompagnare la potenzialità della società digitale con solidi presìdi culturali ed anche con regole oggi inesistenti.

La terza. Percepiamo un preoccupante deficit di fiducia nella scienza e nelle Istituzioni.
Si manifesta in questa occasione, alle estreme conseguenze, ciò che si è prodotto negli ultimi anni dentro le pieghe delle nostre società: la competenza non è più un valore riconosciuto e meritevole di credibilità.

Ognuno diventa “scienziato di se stesso”, poiché non riconosce a nessuno – neppure agli scienziati – la titolarità della mediazione tra le proprie paure (o le proprie aspirazioni) e la ragionevole verità dei fatti. Analogamente, assistiamo ad un deficit di fiducia nella capacità delle Pubbliche Istituzioni di adottare misure adeguate e orientate alla difesa del bene comune. Anche qui, la delegittimazione strisciante con la quale abbiamo demolito il valore della Politica e corroso il senso delle Istituzioni Democratiche nelle normali e quotidiane dinamiche delle nostre Comunità si traduce, a fronte di una emergenza, in scetticismo, sospetto, sostanziale ritrosia a riconoscersi nelle Autorità e nella loro capacità di assumere decisioni nel pubblico interesse. È – per certi versi – una sorta di vendetta della storia: una politica che da qualche tempo ha disconosciuto il valore della competenza, ha delegittimato le istanze autonome della scienza e della tecnica, ha elevato a valore unico ed assoluto il principio del consenso popolare relegando nelle retrovie quello della responsabilità, paga un tributo pesante in termini di autorevolezza e di credibilità nell’esercizio delle sue funzioni di guida della società.

Sopratutto in momenti come questi, nei quali le Pubbliche Istituzioni avrebbero invece il ruolo fondamentale di rassicurare, dire parole di verità e di ragionevolezza, assumersi anche il rischio di guardare oltre le legittime paure dei cittadini, per ricondurle su un sentiero di unità e di fiducia.
In fondo, per questo esiste la Politica. Quella con la “P” maiuscola.

Mentre seguiamo preoccupati le notizie di questa emergenza, cerchiamo anche di riflettere su questi elementi di contesto, che personalmente ritengo estremamente importanti.
Certo non aiutano in questa direzione né le polemiche tra Stato e Regioni, né l’impressione che attorno al Coronavirus si stia giocando in realtà una partita di tattica politica circa le sorti del Governo. Bizzarra e confusa ipotesi di un “governo di unità nazionale” compresa, come bene ha scritto Cristian Coriolano.