25 Aprile 1945 : l’italia è sconfitta e divisa, ma pronta a rinnovarsi

A 74 anni dalla Liberazione. Riflessioni sui cambiamenti e sulle criticità del secondo dopoguerra

Liberata e riunificata nell’aprile del ’45, l’Italia dovette affrontare un difficilissimo dopoguerra, non solo dal punto di vista della ricostruzione materiale, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto politico.

L’economia versava in condizioni drammatiche; la produzione era diminuita di circa 2/3 rispetto a quella di dieci anni prima, mentre i danni subiti dall’agricoltura si rivelarono incalcolabili. La viabilità e i collegamenti erano per gran parte danneggiati o distrutti, e la popolazione si trovò in difficoltà per usufruire dei beni di prima necessità, compresi gli approvvigionamenti alimentari. Il paese, benché lacerato da due esperienze totalmente dissimili (da una parte il Sud occupato dagli alleati e dall’altra il Nord, che fu oggetto di una guerra civile e di un’insurrezione popolare anti-nazifascista), si preparava a dare luogo a profondi mutamenti che avrebbero interessato nel loro insieme le istituzioni, il welfare e la comunità tutta. Così, se dopo la Liberazione le forze politiche candidate alla guida della nazione si apprestavano a sfidarsi in un rinnovato clima di dialettica democratica, i partiti destinati ad assumere un ruolo da protagonisti altri non furono se non quelli organizzati su basi di massa: tra questi, la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista (già Psiup).

Il 10 agosto 1946, alla Conferenza di Pace tenutasi a Parigi, il leader democristiano De Gasperi (primo Presidente del Consiglio della Repubblica) si espresse in modo molto duro contro le condizioni adottate nei confronti dell’Italia circa i risarcimenti e i provvedimenti a favore dei paesi vincitori; nel richiamare al suo movimento un consenso dell’opinione pubblica nazionale rivelatosi decisivo, egli creò ante litteram i presupposti per rinsaldare al potere un soggetto pronto a costituirsi come intermediario di una serie di interessi e aspettative condivise. Fermo restando l’appoggio della Chiesa cattolica.
In relazione a una valutazione politica ampiamente diffusa, ciò che accadde in Italia dopo il biennio 1946-47 può essere definito come il parziale fallimento di qualsiasi ipotesi di governo di centro-sinistra, il quale, pur determinando tutta una serie di cambiamenti istituzionali significativi, rappresentò l’inizio di una instabilità trascinatasi sino agli anni Settanta, quando lo scontro sociale e ideologico assunse una dimensione di rottura tra Stato e società civile. Le sinistre, il cui consenso fu condizionato di riflesso dalle politiche internazionali dell’Unione Sovietica (ma anche dal Colpo di Stato a Praga del febbraio ’48) e dall’eventualità che gli Usa potessero ritirare lo stanziamento dei fondi a favore di Roma nel caso i comunisti fossero entrati nel nuovo governo, andarono incontro a una sonora sconfitta che non precluse, a partire da una decina di anni dopo, l’inizio della collaborazione dei socialisti con gli esecutivi di centro.

A fronte dello shock provocato dai quasi 500.000 caduti tra militari e civili, dall’insuccesso della “via italiana al socialismo” auspicata da Togliatti e dai malaugurati tentativi di apertura di una corrente della Dc ai post-fascisti e ai monarchici, l’Italia riuscì tuttavia a risollevarsi e darsi un ordinamento moderno e democratico, con il quale la nuova Carta Costituzionale si fece interprete di alcuni principi di libertà e uguaglianza non solo propri di importanti icone della sua storia identitaria (vedi Mazzini), ma che contemplavano una pluralità di elementi politico-sociologici strettamente connessi. Molti di questi, fondati indissolubilmente sul principio repubblicano, si rifacevano anche al laicismo filo-piemontese di Balbo, al decentramento federalista di Cattaneo e al liberalismo di matrice minghettiana. Un sistema che racchiuse molti degli ideali preunitari e attinse per buona parte dalla mitologia risorgimentale, come la propaganda per le prime elezioni politiche del dopoguerra testimoniò.