Civismo, autonomismo, ecologismo, azionismo: un impegno comune “Per Palermo Capitale”.

 

Dobbiamo rifarci alla lezione di Luigi Sturzo secondo cui l’autonomismo non può basarsi esclusivamente su se stesso e sul perseguimento dei propri interessi, ignorando i rapporti con gli altri, ma deve puntare alla costruzione di un sistema comunitario che sia frutto della cooperazione tra tutti i soggetti innovativi e a servizio del territorio che si muovono nell’area di riferimento.

 

 

Andrea Piraino

 

Alla fine, se non tutti sono civici, molti sono diventati fautori del civismo. Francesco Boccia ed il suo PD hanno deciso il loro candidato a sindaco di Palermo facendo ricorso al “modello Manfredi”  (sindaco di Napoli) e cioè ricorrendo al civico Franco Miceli, presidente dell’ordine degli architetti. L’UDC è pronta a sostenere la corsa del già rettore dell’Università statale, Roberto Lagalla, in quanto proveniente dal mondo culturale e quindi rappresentativo del civismo quasi per definizione. Carlo Calenda con il suo partito nuovo di zecca (“Azione”) lancia nella competizione elettorale Fabrizio Ferrandelli che da aspirante civico ora rifiuta accordi con il sistema dei partiti. Francesca Donato, dopo essere stata eletta al Parlamento europeo nelle liste della Lega di Salvini, riscopre la sua identità civica ed ora compete per la sindacatura sostenuta da movimenti No vax e No pass. Infine, Rita Barbera, direttrice in passato delle carceri cittadine dell’Ucciardone e dei Pagliarelli, si candida a sindaco di Palermo senza l’appoggio di alcun partito ma inizialmente “sostenuta da 200 cittadini” e, quindi, anch’essa, ma a pieno titolo, come civica. Insomma, le prossime elezioni amministrative per il rinnovo degli organi del comune di Palermo, dopo l’era Orlando, sembra si stiano trasformando in una vera e propria gara per stabilire chi è più bravo ad indossare la casacca del civismo con la quale coprire le vergogne del ‘politicantismo’ che da tempo investono tutti i partiti ed il sistema istituzionale nel suo complesso.

 

In altre parole, siamo di fronte ad un maldestro tentativo opportunistico, dettato dall’intenzione di strumentalizzare la forte tendenza presente nella comunità palermitana ad autonomizzarsi (anche non andando a votare) dal sistema di potere dominante, per cercare di esorcizzare il giudizio negativo che ormai sempre più ampi strati di popolazione esprimono riguardo alla politica ed ai suoi protagonisti. Facendo intravedere una apertura nei confronti della comunità e delle sue pluralistiche componenti che è meramente apparente, non fosse altro che per la circostanza di  essere effettuata per via di cooptazione ad opera dei vertici dei partiti tradizionali o a titolo personale senza che i veri movimenti civici presenti in città siano minimamente coinvolti.

 

Naturalmente, come è facile intuire, questa operazione di facciata non produrrà nulla di buono! Anzi accentuerà i vizi dell’attuale sistema. E ciò perché la declinazione che viene fatta del civismo è quanto meno contraddittoria. Basti pensare che per i neo-sostenitori di questa prospettiva essa dovrebbe costituire una modalità in-mediata e popolare di autogoverno degli interessi della società civile mentre, invece, proprio per questo modo di concepirla ed utilizzarla, essa è destinata a rafforzare il carattere particolaristico dell’attuale sistema di governo e quindi la deriva  di quest’ultimo in esclusivo centro di potere di quella ristretta cerchia di dirigenti dei partiti politici che da tempo si sono impossessati della sua guida ed, oggi, a tutti i costi cercano di difenderlo e mantenerlo in loro possesso. Chiaramente, del tutto disinteressati ad una amministrazione a servizio dei bisogni della cittadinanza e, ancor di più, contrari se costituita e guidata dagli stessi cittadini che per questi ‘signori della politica’ ne possono essere, nel migliore dei casi, i destinatari o i clienti, mai i titolari e i diretti responsabili.

 

Del resto, bisogna essere intellettualmente onesti ed evidenziarlo, anche i civici pensano che la loro appartenenza alla ‘società civile’ li legittimi a giocare una partita nella quale la deriva personalistica ed egocentrica della classe politica sia superabile con la sostituzione di quest’ultima ad opera di  personalità e soggetti ‘nuovi’ e con la assunzione a politiche di governo di interessi specifici di gruppi, classi ed ambienti cittadini aggrumati sulla base di logiche localistiche  del tutto prive di visione nazionale, europea e, soprattutto, globale.

 

È il limite del civismo palermitano! Che, pur facendo una meritoria battaglia per aprire le porte della partecipazione ai cittadini esclusi dalla politica e ridotti a semplici spettatori del malgoverno della “casta”, poi, da solo, non riesce ad elaborare una sintesi alternativa che sia rappresentativa della complessità comunitaria e finisce per riproporre un’azione amministrativa mirata al massimo per singoli ambiti sociali. Priva, cioè, di quella concretezza che ne farebbe un nuovo ed efficace tipo di governance della multiforme e complicata realtà palermitana, che per un vero rinascimento non può essere ignorata nel suo essere una città a dimensione metropolitana e (in altri tempi)  una “capitale” del Mediterraneo. E ciò pur se, nella sua vicenda storica, il civismo ha fatto registrare esperienze di carattere universale come ad esempio quella di Giorgio La Pira che, da sindaco di Firenze, si recò in Russia, Vietnam, Usa per difendere e promuovere la pace dimostrando come un semplice esponente non governativo e quindi non munito della “forza di Stato” ma sostenuto da una visione (sì!) profetica  fosse in grado di affrontare addirittura problemi cruciali per l’umanità.

 

Dunque, i movimenti civici che si agitano in città sarebbero di per sé in condizioni di approntare una alternativa alla politica ma la loro azione non può svilupparsi ‘in solitaria’. Per risultare almeno competitiva con il sistema dei partiti che vogliono scalzare dall’occupazione delle istituzioni, essi devono non solo relazionarsi ma integrarsi con gli altri  movimenti che in questi ultimi anni si sono manifestati e sono presenti nell’ambito comunitario.

 

A cominciare dall’autonomismo che nella città di Palermo si è espresso anche nelle forme dell’indipendentismo e che oggi tenta una sua difficile evoluzione verso una declinazione collaborativa, cooperativa. Abbandonando, cioè, il suo tradizionale modo di esprimersi in termini di autoreferenzialità con gli inevitabili esiti di isolamento politico, sociale, economico che ha sempre fatto registrare ed optando per un’azione coordinata, federata che ne valorizzi gli aspetti comuni.

 

Come è noto, infatti, l’essenza di tutti i movimenti autonomistici è consistita sempre nella rottura da parte di alcune forze della società civile con i partiti nazionali, accusati di perseguire gli interessi nazionali o di altri territori (il Centro-Nord) a discapito di quelli (del Mezzogiorno o) locali. Tutto ciò ha giustificato e reso legittimo che associazioni di cittadini, gruppi di interessi, soggetti caratterizzati da forte identità socio-culturale e geo-politica si sentissero autorizzati a rompere con i contesti nazionali e sovranazionali di riferimento ed a mettersi, per così dire, “in proprio”, finendo però per ritrovarsi isolati a propugnare un localismo portato avanti con uno stucchevole “rivendicazionismo”.

 

Da qui il ripensamento di un movimento fortemente autonomista come “Unità Siciliana” che fin dalla sua nascita ha affermato la necessità di valorizzare, oltre la identità siciliana, il coordinamento con le altre regioni del Sud Italia (Mezzogiorno Federato) e, più in generale, con tutti gli altri movimenti sociali presenti nel territorio e capaci di aprirsi alla collaborazione delle altre forze autenticamente civiche. Rifacendosi, finalmente, alla lezione di Luigi Sturzo secondo cui l’autonomismo non può basarsi esclusivamente su se stesso e sul perseguimento dei propri interessi, ignorando i rapporti con gli altri, ma deve puntare alla costruzione di un sistema comunitario che sia frutto della cooperazione tra tutti i soggetti innovativi e a servizio del territorio che si muovono nell’area di riferimento.

 

E tra questi vari protagonisti, che oggi si battono per un cambiamento del sistema politico-amministrativo palermitano, un ruolo di sicuro rilievo lo gioca indubbiamente la galassia dei movimenti di orientamento ecologista.

 

Che, bisogna dire subito, non sono più guidati da leader prigionieri delle proprie velleità ideologiche riferibili esclusivamente a se stessi e dimentichi di ogni rapporto con la realtà ad essi esterna, resa complessa dai problemi che la caratterizzano, bensì da responsabili che rispondono alla convinzione che “siamo un pezzo di natura” e che “se la natura si degrada anche noi facciamo la stessa fine”. Il che implica che bisogna partire “da dove mettiamo i piedi”, per cui i problemi che si devono risolvere in città sono innanzi tutto quelli della raccolta differenziata (vergognosamente ferma al 17%), del riscaldamento atmosferico, del consumo del suolo, dell’inquinamento delle acque. Naturalmente, da inquadrare nell’ambito della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” del Piano nazionale di resilienza e ripresa (Pnrr) con le sue linee d’azione per mezzo delle quali sono ottenibili poi le risorse economiche-finanziarie.

 

Insomma, sarà forse a motivo degli obbiettivi e dei tempi di realizzazione previsti dal Pnrr per la sua implementazione e quindi per il puntuale ottenimento da parte della Unione Europea delle risorse previste, ma non c’è dubbio che questa consapevolezza di una nuova ecologia in movimento verso un’economia verde, in grado di generare un miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale riducendo in maniera consistente i rischi ambientali, ha portato ampi strati di opinione pubblica palermitana verso una presa di coscienza sempre più marcata della necessità di una transizione  ecologica. Essa, allora, va raccolta ed incanalata nella prospettiva più ampia di un movimento popolare capace di rappresentare la tradizionale ‘apertura’ di Palermo verso forme innovative di solidarietà sociale, crescita economica, nuovo stile di vita, sviluppo etico.

 

Non è una cosa facile ma deve essere tentata. Pena la vanificazione del rinascimento di Palermo come capitale della nuova fase storica del Paese e dell’Europa che non può continuare ad essere fondata su un’economia predatoria che, a prescindere da tutto, distrugge natura,  ambiente e convivenza umana.

 

E qui siamo all’ultimo tassello che è necessario aggiungere al mosaico comunitario per lanciare questa nuova sfida per far rinascere Palermo.

 

Il riferimento è all’azionismo che sempre più si va diffondendo nel dibattito politico-culturale che si svolge in città evocando -più che il complesso di ideali, valori, scelte morali e civili riconducibili all’esperienza politica del Partito d’Azione- un cambiamento di metodo politico che porti in prima fila il fare, l’azione e quindi il programma, il progetto. E ciò perché, per questo movimento, la politica non solo non può essere astratta ideologia, strumentale evocazione di valori, mero dibattito parlamentare, vuoto chiacchiericcio mass-mediatico ma deve essere fondamentalmente government costruito su un piano d’azione, un programma, una progettazione di eventi rigida e condivisa dai propri elettori, che dovranno pure essere coinvolti in una partecipazione attiva. Pertanto ciò che oggi è necessario per Palermo è una grande operazione di mobilitazione di chi studia, lavora, produce ed ha un gran voglia di impegnarsi nelle istituzioni a servizio della comunità.

 

Ma non è solo questo. Importante è per l’azionismo anche la sottolineatura -nel quadro della prospettiva di una visione europea per fare dell’Italia una democrazia più avanzata- della centralità delle autonomie locali e quindi della riforma della struttura del comune di Palermo che, finalmente, dovrebbe trasformarsi in una vera città metropolitana. È, infatti, questa istituzionale, con il risanamento economico-finanziario, la prima e fondamentale battaglia che è necessario fare, per poi avviare nel merito una nuova gestione delle politiche pubbliche in grado di innescare il processo di rinnovamento e di risorgimento della “città dell’accoglienza”.

 

Insomma, è indispensabile recepire l’apporto che anche questo tipo di iniziativa politica è in condizione di dare perché il movimento comune che si sta sviluppando acquisti interamente la sua fisionomia di vera alternativa all’attuale sistema politico-amministrativo ormai letteralmente imploso. Naturalmente, sapendo che per comporre in una armonica e seducente figurazione politico-istituzionale queste quattro prospettive socio-culturali (il civismo, l’autonomismo, l’ecologismo e l’azionismo) è necessario un amalgama in grado di produrre una forte coesione tra le stesse, capace di resistere alle inevitabili spinte disgregatrici (che si produrranno per la reazione del sistema politico) ed in condizione di segnare la svolta per una nuova stagione “felice” di Palermo.