4 Dicembre 2016, storia illuminante

Uno dei problemi più sentiti nel nostro Paese è la stabilità, perché, per un verso o per l’altro, da molti lustri sembra essere un po’ zoppicante.

Uno dei problemi più sentiti nel nostro Paese è la stabilità, perché, per un verso o per l’altro, da molti lustri sembra essere un po’ zoppicante. A dir il vero, però, l’Italia è sempre stata un po’ in balia di un potere che, tranne in qualche raro caso, ha sempre subito delle repentine difficoltà: anche nella prima Repubblica i governi duravano al più due anni. Per uscire da questa condizione si dovrebbe fare come capita nelle elezioni degli enti locali e delle regioni; com’è noto, questi sistemi sono durevoli, tranne qualche sparuto caso dovuto a problemi giudiziari e, la loro durata coincide con l’ordinamento elettorale; si eleggono per cinque anni e per cinque anni governano.

Il tentativo di trovare una soluzione a carattere nazionale è stata più volte cercata. Per esempio, ci sono stati anni in cui è prevalso il sistema maggioritario e, in effetti, in quei periodi i governi sembravano puntellati con maggior forza. Poi, però, maggioranze risicate facevano traballare anche costoro.

Il tentativo di riforna Costituzionale proposto dal governo Renzi, aveva in seno anche, tutti ricorderanno, un sistema elettorale nuovo. Era evidente che la semplificazione parlamentare da due a una camera, implicasse anche un modello elettorale in sintonia con quella trasformazione. Quella riforma avrebbe ottenuto lo scopo di garantire più stabilità; anzi, avrebbe non solo acquisito una indubbia e granitica forza governativa ma, e non ricordo male, sarebbe stata anche contornata da una serie di poteri tutti, più o meno, inclini e obbligati a inchinarsi al potere governativo.

L’allora referendum, (sono passati due anni e cinque mesi) avrebbe, nel caso in cui fosse prevalso il responso affermativo, inchiodato una stabilità che, per quanto potesse avere le vesti della auspicabile governabilità, avrebbe anche, come i più autorevoli critici sottolineavano in quelle infuocate giornate di campagna referendaria, svelato un volto demoniaco: una forza al potere, con il 36% del consenso – trentasei per cento degli elettori e non degli aventi diritto – avrebbe dominato l’intera scena.

Immaginatevi adesso che un “capo” qualsiasi avesse raggiunto quella fatidica soglia e, da solo, in questo clima incline ad applaudire vecchi retaggi politici, fosse assiso al luogo più elevato di Palazzo Chigi.

Non avvertireste un brivido scorrere lungo la schiena?

Allora, io come altri, ci siamo espressi a viva voce per mantenere l’attuale Costituzione. Sono particolarmente convinto di aver svolto, assieme a tutti gli altri, un compito importante e delicato. Devo dir la verità che, alla luce di quel che sta capitando oggi, quell’espressione di voto ci ha salvaguardato da terribili sorprese.

Vorrei proprio sentire la voce di qualcuno che, invece, si era posto sull’altra sponda; che riflessioni proporrebbe oggi? E, se pentito, pur in ritardo, non riconosca l’errore compiuto il 4 dicembre 2016.