50 anni fa. L’autunno caldo. Il 1969. Il contratto dei metalmeccanici. E il ruolo decisivo giocato dal Ministro del lavoro, Carlo Donat-Cattin. Il tutto condito dalle immagini inedite della trattativa condotta al Ministero da Donat -Cattin con i leader sindacali e confindustriali dell’epoca. Sono questi i titoli di un convegno di raro interesse organizzato a Torino dalla Fondazione Donat-Cattin a cui hanno partecipato sindacalisti, intellettuali, politici ed economisti. Un convegno che ci ha detto e che ci ha trasmesso sostanzialmente 3 cose. 

Innanzitutto in un’epoca decisiva e cruciale per la democrazia italiana la politica ha saputo “assumersi le sue responsabilità e decidere”, per riprendere le parole pronunciate da Donat-Cattin l’8 gennaio del 1970, il giorno della firma del contratto dei metalmeccanici siglato delle parti sociali. Una politica che sapeva assumersi le sue responsabilità perché era fatta e gestita da statisti e da leader. Il confronto con la stagione contemporanea è semplicemente impossibile nonché improponibile. 

In secondo luogo la forza e il peso delle organizzazioni sociali dell’epoca. I sindacati sapevano intercettare e rappresentare i bisogni, le attese e le richieste dei lavoratori perché vivevano e convivevano con i lavoratori. Per capirci, non erano una “casta” disancorata dalla realtà ma affondavano le loro radici nel tessuto vivo e nelle contraddizioni della società. Un ruolo e una “mission” che faceva dei sindacati un soggetto politico, ma non partitico, cruciale per la conservazione e il rafforzamento della stessa qualità della nostra democrazia. 

In ultimo il coraggio e la determinazione del “Ministro dei lavoratori”, Carlo Donat-Cattin. Un ministro che, per la prima volta, seppe trasformare il ruolo politico di un ministero inaugurando una strategia e una prassi che uscivano dalla neutralità nell’affrontare e nel risolvere una questione spinosa come quella del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Certo, ci voleva anche e soprattutto coraggio nel perseguire quell’obiettivo oltre a possedere una visone precisa della società e del suo sviluppo. Un ministro che seppe, in quella stagione, condurre una battaglia quasi solitaria nel suo partito, la Dc, che cambiò proprio in quell’anno – il 1969 – ben tre segretari nazionali e che era più preoccupato dei suoi equilibri interni che non a quelli che si andavano definendo nella società. Un ministro che, con quell’accordo, ha contribuito anche a chiudere la stagione del cosiddetto “autunno caldo” che ha sconvolto i connotati tradizionali della società italiana innescando quella protesta operaia e studentesca che ha modificato gli stessi equilibri politici del nostro paese.

Ecco perché ricordare quella fase storica non significa solo attardarsi nella nostalgia o limitarsi alla sola memoria storica ma, al contrario, rielaborare e rivedere le ragioni e i comportamenti di una classe dirigente che sapeva anticipare le novità che attraversavano la società italiana e, al contempo, guidarne politicamente le soluzioni. Quando la politica era studio, approfondimento, elaborazione, scelta, coerenza e coraggio. Come seppe fare Carlo Donat-Cattin chiudendo il contratto dei metalmeccanici e affrontando di petto le difficoltà e le contraddizioni dell’autunno caldo.