Martedì 9 giugno si è tenuto un interessante dibattito in modalità on-line, promosso dal Domani d’Italia, sul tema “Ci manca la Dc?”. Relatori Marco Follini e Lucio D’Ubaldo, autori di due volumi sulla Dc e su Moro, moderati da Daniela Preziosi del “Manifesto”. Chi scrive non nasconde di aver avuto qualche perplessità sulla scelta del titolo. Poteva sembrare infatti una rievocazione, soffusa inevitabilmente di un’indulgente memorialistica e di qualche malinconia, come capita (legittimamente) quando il pensiero ritorna alle esperienze del passato che non ci sono più, e che già solo per questo ci sembrano più belle di quanto forse in realtà non fossero.

A un osservatore under 40 del dibattito, che dunque non ha vissuto “i migliori anni” del cattolicesimo democratico, rimane una riflessione di fondo. Sul fatto che la Dc, nata nel 1943 da una precisa idea dell’Italia e della sua collocazione internazionale, da un certo punto in avanti non riuscì più a farsene carico, esaurendo progressivamente la sua spinta propulsiva. Da un certo punto in avanti non riuscì più a elaborare un’idea sul futuro del Paese che corrispondesse ai suoi reali bisogni. Può darsi che ciò dipendesse dalla “conventio ad excludendum”, cioè che il problema fosse quello di decifrare “l’intelligenza degli avvenimenti” (come avrebbe detto Moro) favorendo in qualche modo l’avvicinamento del Pci all’area di governo. A distanza di tanti anni, oggi possiamo dire che forse un tentativo dell’alternanza poteva essere costruito con il Psi, che durante i 55 giorni aveva dimostrato di non voler “lasciare nulla di intentato” per liberare l’ostaggio. Non solo per indubbie ragioni di calcolo politico-elettorale (la rottura della “linea della fermezza”) ma anche per i valori del “socialismo umanitario” che facevano parte della tradizione storica di quel partito. Invece si è preferito guardare soprattutto al “compromesso storico”, all’inevitabile incontro con il Pci dalle cui ceneri, dopo la caduta del muro di Berlino, era destinato a nascere (come poi è nata) una sinistra minoritaria, spesso confusa e divisa, senza idee e senz’anima.

Nelle scorse settimane è passato (quasi) sotto silenzio l’anniversario dello Statuto dei diritti dei lavoratori, voluto dal ministro del Lavoro, Carlo Donat Cattin, ed elaborato da un nutrito gruppo di giuslavoristi di matrice cattolico-sociale. Leggendo gli interventi che portarono alla redazione dello Statuto (1970), non si può non rimanere colpiti dalla tensione intellettuale e civile e dalla cultura storica e politica che li animano e, insieme, dalla profonda conoscenza della realtà di cui sono intrisi.

Tutte questioni che mancano, in modo drammatico, nel dibattito pubblico odierno. Nell’incontro promosso dal Domani d’Italia ci si è soffermati a lungo sull’attualità politica, sul “piano di rinascita” del Premier Conte (che ricorda, almeno nel nome, quello di Gelli). Si è posto l’accento sul fatto che una ipotetica “lista Conte”, secondo gli ultimi sondaggi, si attesterebbe intorno al 15%. Ma esiste oggi uno spazio politico (pur minoritario) per il cattolicesimo democratico? Bisogna superare, come ha suggerito Giorgio Merlo, “i tentativi di impadronirsi, a volte in modo un po’ macchiettistico, dell’intera esperienza democratico-cristiana citando a giorni alterni i suoi esponenti più prestigiosi se non, addirittura, le encicliche papali”.