A Firenze Bocci sfida Nardella. Ma gli eredi di La Pira non possono portare acqua al mulino della Lega

Le elezioni amministrative sono risucchiate nel gorgo della grande disputa per le europee.

Le elezioni amministrative sono risucchiate nel gorgo della grande disputa per le europee. Ogni esperimento locale evapora nell’atmosfera arroventata che oppone due diverse concezioni dei rapporti tra Stato nazionale e Unione, ovvero sul destino del Vecchio Continente. Viene alla luce, anche sotto questo aspetto, l’incompatibilità del popolarismo con la posizione dei nuovi populisti. In sostanza, la lezione di De Gasperi (l’antipopulista per eccellenza) riemerge prepotentemente per configurarsi come fattore discriminante ai fini del giudizio sulle possibili alleanze.

Il voto, per altro, comporta all’atto pratico un test decisivo per l’attuale maggioranza di governo a un anno dal suo insediamento nei Palazzi del potere. Illudersi che una combinazione originale o un candidato carismatico, capace di rimescolare le carte, possano rompere l’involucro della dialettica politica principale tra europeisti e antieuropeisti, equivale a un azzardo oltre la logica stringente della lotta democratica. Portare acqua al mulino della Lega, seppure per ingenuità e in totale buona fede, vuol dire stravolgere la missione storica del cattolicesimo democratico.

Bisogna fare attenzione, in questo quadro, alla cortina fumogene della propaganda. A Firenze, ad esempio, Salvini ha messo in campo un candidato che non rientra negli stereotipi xenofobi e autoritari del leghismo. Il manager Umberto Bocci, dal profilo cattolico solidarista per la sua esperienza alla guida di Unitalsi, pone a dura prova il vecchio “blocco renziano” del sindaco Nardella. Sta di fatto però che dietro la candidatura di Bocci c’è tutto il peso della Lega (stimata in città al 30 per cento) e l’effetto di trascinamento nell’attuale contingenza del fondamentalismo politico di destra.

Dovrebbe essere chiaro, perciò, quanto l’impegno dei Cattolici Popolari, pronti a difendere l’eredità di La Pira, esiga un supplemento di accortezza e di rigore. Ovunque, a Firenze come altrove, le alleanze implicano una scelta di carattere strategico. Non si possono nutrire dubbi sulla necessità di fare argine alla deriva dall’Italia populista; né, pertanto, ignorare la concatenazione di premesse e conseguenze, come se la vittoria della Lega sul piano locale non desse ulteriore e immeritato credito all’azione di Salvini. La partita è troppo delicata per essere condotta in chiave di rottura con le forze democratiche di centrosinistra, le uniche in grado di fermare nonostante tutto l’avanzata dell’esercito leghista.