A70 anni dalla Costituzione repubblicana : dibattito e conservazione dei suoi riferimenti e dei suoi valori

Oggi, nel 2018, sembra esservi una diminuzione delle certezze che la nascita della democrazia, in Italia, produsse a livello politico, sociale e storiografico

Attualmente, in Italia, dibattere di dittatura, Resistenza e Costituzione deve necessariamente tener conto della discussione che si è sviluppata negli anni non senza alcune degenerazioni politiche, storiche e sociologiche. Vediamo perché e cerchiamo di capirne le ragioni.

Nel biennio 1947-1948, non molto tempo dopo l’insediamento del regime fascista, prese forma il progetto costituzionale la cui approvazione si protrasse per mesi, e che oggi, a più di settant’anni di distanza, mantiene intatta la sua struttura essenziale. Decorso suddetto lasso di tempo, ci siamo chiesti sempre più spesso se quelle leggi fondamentali del nostro Stato sono state in grado di offrire certezze, garanzie giuridiche, compromissorie e statutarie. Ma l’interrogativo più ricorrente è : quale impatto hanno, attualmente, nella coscienza civica e nella percezione comune degli italiani?

L’argomento è alquanto complesso – o almeno lo è diventato – perché in piena era post-ideologica tutto l’ordine è stato condizionato dalla scalata al potere di forze populiste e anti-sistema rimaste in embrione per diverso tempo; e che, grazie a strumentalizzazioni e furbe demagogie, hanno ottenuto larghi consensi (agevolate nel loro decorso dagli anni del berlusconismo e dall’ibrido politico importato al governo dai democratici). Eredità che hanno, in un modo o nell’altro, continuato ad annichilire la classe media creando maggior disparità di ricchezza e gravi disuguaglianze sociali. E’ in un siffatto sistema che si trovano i primi nodi da sciogliere circa il mantenimento dei principi ispiratori, del nesso culturale e del quadro socio-politico dei nostri fondamenti costituzionali, messi più volte in dubbio nella loro consistenza effettiva dagli eventi e dagli sciovinismi “de noantri” proposti da alcune correnti politiche del terzo millennio.

Lo scontro ideologico, che in verità affonda le sue radici nel Risorgimento, va superato perché il tempo lo sta archiviando nella speranza che, dopo più di un secolo, le fazioni più estremiste riescano a trovare un punto di concilio per il bene dalla comunità. Siccome è la storia che lo impone, è giusto guardare avanti per il bene del paese, ma senza affievolire i punti cardine della memoria. La Resistenza e l’Assemblea Costituente non furono composte esclusivamente da partigiani e rivoluzionari, bensì da una pluralità di movimenti liberal-democratici provenienti dal mondo borghese, dall’universo cattolico e dai ceti salariali; i quali, forti di una cultura unica opposta agli assolutismi e al nazi-fascismo, mossero milioni di uomini e donne che intravidero nella conquista delle libertà dell’individuo e nella Costituzione le loro basi per ripartire.

Consapevolezze ideali di dette basi sono sempre più spesso rapportate alla questione legata ai modi e alla condotta con cui l’anti-fascismo si oppose e reagì ai regimi dittatoriali di allora. Per quanto deplorevole fu – vuoi per ritorsione, vuoi per dare lezioni da tramandare ai posteri – la violenza adottata da alcune frange nei confronti dei poteri già deposti, non è appropriato equiparare la genesi dei totalitarismi dell’Asse (o del più recente stalinismo) alla cultura della Liberazione. Le deportazioni, le aggressioni militari, le leggi razziali e le popolazioni ridotte alla fame da Hitler e Mussolini, così come la feroce rappresaglia slava nell’est europeo, non c’entrano affatto con l’identità repubblicana assertrice della pace.
Premesso che in Italia la cultura della “vendetta” non ebbe (per fortuna) vasta diffusione, la nascita della sovranità popolare non va oltre modo banalizzata.

E’ questo aspetto che deve far riflettere: le socialdemocrazie, i liberalismi, le sinistre democratiche e le stesse correnti conservatrici legate al concetto di una destra moderna furono soggetti attenti ai diritti dell’individuo, laddove la rimozione degli ostacoli economico-sociali fornì – o comunque mostrò la volontà di fornire – libertà e uguaglianza tra i cittadini. Ricordando nuovamente gli oltre 50 milioni di morti provocati dall’ultima guerra (non certo scoppiata per colpa delle costituzioni democratiche) e fatte le dovute distinzioni, va aggiunto che i cambiamenti servirono anche a lasciare aperti gli spiragli per riformare – eventualmente – le funzioni dello Stato. Condizioni che la politica avrebbe dovuto tradurre in concreto secondo canoni di equità, legalità e giustizia. Ma in Italia ciò è avvenuto a fasi alterne, ed è un patrimonio che la cosiddetta terza repubblica, a sua volta, non è al momento in grado di gestire e tanto meno di rivalutare.

E’ dalla diminuzione di alcuni valori che scaturiscono i dubbi sul sistema istituzionale e politico italiano, che, malgrado la futilità degli argomenti proposti dai cosiddetti propugnatori del “cambiamento”, si richiama pur sempre ai principi fondanti del ’48. La Costituzione, quando serve, corre in aiuto nei momenti di difficoltà. Noi la richiamiamo, e lei risponde.
Ciò significa che il patrimonio non è disperso ma è vivo, presente, e va, evidentemente, solo migliorato. Solo qualora ce ne fosse sul serio bisogno.