Abbiamo perso il duende e la coscienza morale

“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”.

L’articolo di Pierluigi Castagnetti, che evoca lo smarrimento del “duende” ha suscitato in me un forte impatto emotivo. Ho scelto da anni questa parola di origine spagnola per il mio indirizzo e.mail personale.

In realtà in Brasile e nell’America latina duende è usato per significare uno spirito interiore, declinato come “folletto”, energia vitale, forza dirompente: la molla che ci spinge ad osare, a proporci, il suggeritore più intimo e nascosto nei meandri della nostra vitalità sopita, delle nostre scelte ai bivi e agli incroci della vita.

L’intervento di Castagnetti- se mai ce ne fosse stato bisogno- conferma la sua intelligenza intuitiva: è talmente pregnante di motivazioni e di scosse emotive che non ha certo bisogno di ulteriorità, per esplicitare il senso più recondito e profondo del messaggio che reca con sé.

In filosofia, ma anche nelle scienze umane come l’antropologia, la sociologia, la pedagogia esso richiama il valore della motivazione e dello slancio vitale, l’esplicitazione di una potenzialità inespressa.

Per questo motivo l’invito alla riscoperta del nostro duende interiore può essere utile anche alla politica in senso lato e alla società in generale, dopo la lunga parentesi della crisi pandemica non ancora conclusa.

Lo stato di “sospensione” che stiamo vivendo – come mi ha ricordato Giuseppe De Rita nella Sua ultima intervista – coinvolge le azioni e i comportamenti ma prima ancora i pensieri e i desideri, la stessa volontà che resta conculcata in una condizione di latenza.

Non tutto è ancora finito e questa esperienza planetaria lascerà il segno.

Confido che come ogni fase di trapasso e di dolore, di sofferenza e di condizionamenti ci lasci almeno l’eredità di un ripensamento globale: sulla vita, la sostenibilità ecosistemica, quella generazionale, il rapporto tra progresso e rispetto della natura, lo sviluppo demografico, le compatibilità tra interessi generali, beni comuni e diritti e doveri collettivi e individuali, le regole dell’economia e quelle legate alla dignità umana.

Per questo motivo riconsiderare quello che Bergson chiamava lo “slancio vitale” è la premessa di ogni ripresa.  Abbiamo bisogno a questo punto di una sorta di “ricapitolazione di tutte le cose”, come la descriverebbe San Paolo.

Per questo motivo il duende va liberato dai lacci e lacciuoli della burocrazia opprimente, della politica debordante, della progettualità senza lungimiranza.

In questo senso si ricomincia a parlare di nuovo umanesimo: rimettere l’uomo al centro delle auspicate ripartenze ma contestualizzarlo in un disegno di compatibilità con la natura: virtuale e reale devono coesistere, non confliggere, lo slancio deve essere compensato dal ‘lento pede’, dalla ragionevolezza.

Troppe fughe in avanti hanno contribuito ad una sorta di spaesamento generale e senza approdi, a scelte acefale e orfane di previsioni e di controlli. 

Abbiamo rivissuto la metafora del naufragio e dobbiamo evitare di ripeterla.

Ecco allora che il duende – evocato con forza come motore della ripresa – richiama la necessità di una guida razionale e di un coinvolgimento emotivo che recuperi una dimensione relazionale basata sui sentimenti positivi.

Da troppi anni il CENSIS ci ricorda che siamo come avvitati in una spirale autoreferenziale che ci impregna di diffidenza, indifferenza, cattiveria, rancore: sono derive negative che pervadono lo stesso immaginario collettivo, nella sua dimensione poietica.

Accanto al duende è necessario allora collocare la coscienza morale come fonte cui attingere per ogni scelta che ci aspetta: la rileggo in senso kantiano perché mi sembra la descrizione più completa e pertinente per esprimerne un completo e utile significato.

“Il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”.

La storia – a ben vedere – ha sempre fatto i conti con questo imperativo categorico che nobilita la condizione umana.