Vorrei rivolgere una riflessione agli amici del Partito Democratico.
Non ho mai aderito al vostro partito, ma lo ho sempre guardato con simpatia e rispetto, sempre cercando di concorrere a costruire condizioni di cooperazione e di alleanza.
Per favore, risparmiateci due cose.
La prima: il rilancio, improbabile, di una “vocazione maggioritaria” comunque condita e mascherata.

Ovvio che i numeri non la consentono. Ma, prima di tutto, non è questione di numeri, ma di concezione della “politica come coalizione”.

Una coalizione si fa tra soggetti autonomi, liberi e diversi. Non attraverso la germinazione di formazioni in franchising.
Passare da una visione tolemaica ad una copernicana è difficile, ma ciò non di meno è necessario.

Resta da capire quale sia il “sole” attorno a cui accettare il fatto che tutto giri: a mio parere non può che essere la comune prospettiva di un nuovo compromesso tra “democrazia e mercato”, per evitare il rischio di una involuzione autoritaria resa ogni giorno di più pericolosamente appetibile per un popolo che tende a percepire sempre meno il carisma di un futuro di sicurezza, uguaglianza e benessere nei meccanismi della democrazia liberale e rappresentativa.
Questo è il “sole”. Tutto il testo sono satelliti, PD compreso.
La seconda: una divisione tra fautori e detrattori dell’alleanza con il M5S come unica via per battere la destra. Così semplicemente posta (prima o dopo un eventuale voto anticipato) la questione non ha senso alcuno.
Dalla destra ci separa tutto. Dal M5S “quasi” tutto.
Si può lavorare su questo “quasi”? Certo. Sta nel DNA della buona politica ricercare ogni pur labile interstizio di dialogo.

Ma c’è un macigno su questa strada e – a mio parere – non consiste nel merito delle politiche propugnate dal M5S (che sicuramente sono pasticciate e spesso incomprensibili, ma in molti casi corrispondono a esigenze vere, vedasi la lotta alla povertà) e neppure nella diffusa inconsistenza della sua classe dirigente (non è che altrove vi siano tante genialità applicate….).

Il vero macigno consiste piuttosto nella concezione della “democrazia”.

Anti parlamentarismo; mitizzazione della democrazia diretta; superamento della visione comunitaria della Democrazia in favore della sua “individualizzazione” supportata dalle nuove frontiere digitali non possono essere basi di nessun possibile accordo.
È semmai questo il terreno di un confronto esigente e tutt’altro che scontato, che sarebbe nell’interesse del Paese sviluppare, al di là delle congetture di breve momento.
Su questo piano, i “popolari” (laddove volessero rigenerarsi come soggetto politico) potrebbero senza dubbio avere un ruolo importante.
In fondo, forse, l’opzione di una “democrazia” capace di recuperare un forte respiro comunitario ed una credibile finalizzazione sociale può essere veramente una via di uscita dalle secche della crisi valoriale del sistema senza passare dalla sua delegittimazione distruttiva.
Ma occorre che i “popolari” decidano di tornare ad essere “vero soggetto politico”.
Il loro compito non è salvare la “cristianitá”, come pare di capire leggendo qualche presa di posizione: a questo ci pensa Papa Francesco (che il Signore lo conservi a lungo!).
Il loro compito è molto più modesto ma non meno nobile: rigenerare una cultura sociale e politica ispirata ai valori cristiani ma umilmente incarnata sul piano della laicità, a servizio di una democrazia che non può degradare verso l’autoritarismo e di una visione dei rapporti civili che non può lasciare spazio alla deriva del tutto contro tutti.
Le tante esperienze nate in questi mesi hanno dunque il dovere, immediato, di una coraggiosa scommessa comune, solidale, condivisa. La vocazione “di servizio” di Rete Bianca, a mio parere, non può che  essere questa.