In Italia è di poco meno di un chilogrammo lo spreco di cibo pro capite settimanale, per un valore di 196 euro annui. A dirlo sono i “Diari di famiglia” del progetto “Reduce” che il Ministero dell’Ambiente porta avanti insieme all’Università di Bologna Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari. Tra le diverse iniziative è stato appena presentato il premio “Vivere a spreco zero” 2019, dedicato alle buone pratiche nella prevenzione degli sprechi alimentari. Giunto quest’anno alla VII edizione, promosso, oltre che dal Maatm, dalla campagna “Spreco zero” di “Last minute market” nell’ambito del progetto “60 Sei zero”, il premio è rivolto alle amministrazioni pubbliche, alle imprese, a scuole, associazioni e cittadini. Fino al 10 ottobre le buone pratiche degli interessati potranno così essere candidate sul sito sprecozero.it.

I progetti finalisti saranno resi pubblici in occasione del World Food Day 2019, il 16 ottobre a Bologna, al Fico Eataly World. La premiazione, invece, avrà luogo a Roma a fine novembre. La giuria sarà presieduta dal presidente di “Last minute market”, Andrea Segré, coordinata dal curatore del progetto “60 Sei zero”, Luca Falasconi, e sarà composta, tra gli altri, dai giornalisti Antonio Cianciullo, Roberto Giovannini, Marco Fratoddi e Massimo Cirri.

Secondo i dati di Eurobarometro nei diversi Paesi dell’Ue vengono prodotti complessivamente 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari all’anno, circa 173 chilogrammi a persona. I prodotti alimentari vengono persi e sprecati lungo tutta la filiera alimentare: nelle aziende agricole, nella lavorazione e produzione, nei negozi, nei ristoranti e in casa. Sempre secondo stime, i settori che in media contribuiscono maggiormente allo spreco dei generi alimentari nell’Ue sono le famiglie (53%) e l’industria della trasformazione alimentare (19%).

Lo spreco di cibo implica anche uno dispendio di risorse preziose e spesso limitate (acqua, suolo, ore di lavoro, energia), contribuendo inoltre al cambiamento climatico. Secondo la FAO, i rifiuti alimentari creano un inquinamento da anidride carbonica equivalente a circa l’8% delle emissioni totali di gas ad effetto serra generate dall’uomo. Questo perché per ogni chilo di cibo prodotto vengono rilasciati 4,5 chilogrammi di CO2 nell’atmosfera.