Alcuni anticorpi anti Sars-CoV-2 sembrano “più longevi e più persistenti di altri”. Lo affermano i risultati preliminari di uno studio dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e della provincia autonoma di Trento condotto in 5 Comuni della provincia che avevano registrato la più alta incidenza di casi Covid-19 nella prima fase dell’epidemia. Lo studio si è articolato in due fasi di indagine: la prima, a maggio, in cui sono state esaminate circa 6.100 persone, e a distanza di 4 mesi, quando sono stati riesaminati coloro che erano risultati positivi alla prima indagine.

Ebbene, “i risultati della prima indagine, in corso di pubblicazione sulla rivista ‘Clinical Microbiology and Infection’, hanno evidenziato che il 23% della popolazione aveva anticorpi contro la proteina nucleocapside del virus Sars-CoV-2. Nella seconda indagine – riferisce lo studio – appena conclusasi si è osservata una rapida diminuzione degli anticorpi diretti contro questa proteina in una elevata percentuale di individui inizialmente sieropositivi: il 40% dei circa 1.000 ritestati è risultato infatti sieronegativo a distanza di 4 mesi dal primo test. Analizzando gli stessi campioni di siero per un altro tipo di anticorpi, diretti contro la proteina ‘spike’, è risultato, invece, che oltre il 75% dei soggetti mostrava ancora una sieropositività”.

Per comprendere e spiegare meglio questi risultati, il gruppo di lavoro dell’Iss ha valutato la presenza di anticorpi neutralizzanti (ovvero quelli che, al momento, si possono considerare come protettivi nei confronti dell’infezione), in un sottogruppo di pazienti, utilizzando un test di sieroneutralizzazione con virus vivo su linee cellulari.

È stato osservato che, “negli esperimenti in vitro, quasi tutti i siero-positivi per gli anticorpi contro la proteina ‘spike’ sono in grado di neutralizzare l’ingresso del virus”.