La notizia è uscita il 15 novembre u.s. attraverso le agenzie di stampa e –come facilmente si intuisce – ha dato una parziale risposta al quesito riguardante l’incipit della pandemia nel Paese, anche se lascia sul tappeto molti inquietanti interrogativi irrisolti.  La fonte dell’informazione viene da una ricerca dall’Istituto tumori di Milano che, in collaborazione con l’Università di Siena, aveva sottoposto a screening tumorale ai polmoni un migliaio di pazienti tra settembre 2019 e marzo 2020. Come riferito dal quotidiano Repubblica l”l’11,6% di questi pazienti aveva gli anticorpi del virus: il 14% di questi già a settembre 2019, il 30% nella seconda settimana di febbraio 2020 e il maggior numero del totale (53,2%) dimorava in Lombardia. Questo ultimo dato spiegherebbe in modo empirico come tale regione sia stata fin dall’inizio l’epicentro del contagio, dal caso di Codogno a febbraio a quelli successivi di Bergamo e provincia, a Milano e ora a Monza e Varese. Probabilmente potrebbe suggerire anche una spiegazione al fatto che la Lombardia sia stata  ininterrottamente da allora ad oggi la regione con il maggior numero di persone contagiate e decedute: è questo il senso che può essere attribuito al termine “focolaio”, anche se poi si propaga altrove, con una espansione esplosiva e puntilliforme.

La storia della diffusione del Covid 19 va dunque riscritta da capo? In realtà dallo studio dell’Università di Siena emerge come il test utilizzato producesse dei “falsi positivi”, per questo l’ipotesi di un virus circolante già da settembre va presa con cautela: ci sono altri studi che attesterebbero che il passaggio virale dall’animale all’uomo non sia avvenuto prima di ottobre 2019. Come riferito al quotidiano diretto da Maurizio Molinari dal Prof Massimo Galli, direttore del Reparto malattie infettive del Sacco di Milano, “è veramente difficile pensare che il virus sia così vecchio, anche perché allora non ci si spiega perchè non ha creato focolai molto prima. E’ un virus esplosivo, quando arriva in ospedale fa decine di infezioni se non lo gestisci”. Ritornano allora in mente “gli 11 giorni di Wuhan”, a partire dal circostanziato articolo del 6 aprile di Biagio Simonetta con cui il Sole24 ore ricostruiva la cronaca dell’incipit più documentato nella storia della pandemia Covid-19 che sta impestando il pianeta. Per continuare con quanto riferito da Il Domani d’Italia l’11 aprile:  “Emerge dal resoconto che la prima vittima ufficiale del coronavirus muore il 9 gennaio. Nei giorni precedenti aveva frequentato il mercato alimentare di Wuhan: il suo decesso viene reso noto dalla Commissione Sanitaria Municipale. Le autorità sono a conoscenza dell’origine animale del virus: cinque giorni dopo la morte del 61enne cittadino di Wuhan anche la moglie (che al mercato non era andata) si ammala. E’ il segnale che il virus si sta diffondendo da uomo a uomo. Sono i giorni cruciali nella storia di questa polmonite diventata tempesta sanitaria ma la Cina sceglie inizialmente la via fatale del negazionismo. Il 14 gennaio OMS rende noto che ”i cinesi non hanno trovato prove chiare della trasmissione per via umana del nuovo coronavirus isolato a Wuhan”: solo 11 giorni dopo la morte del primo contagiato l’epidemiologo cinese Zhong Nanshan ammetteva alla TV che il contagio stava diffondendosi da uomo a uomo. 48 ore dopo il Presidente Xi Jinping blindava la città e segregava in casa i suoi abitanti. In quei giorni di colpevole silenzio ci sta anche la denuncia del medico cinese Li Wenliang poi deceduto,  che aveva lanciato l’allarme in ospedale ed era stato smentito e diffamato per aver diffuso “voci false”: ora è un eroe nazionale riabilitato. Nel frattempo il sindaco di Wuhan – Zhou Xianwang- dopo aver organizzato il 18 gennaio il XXI banchetto del Capodanno cinese comunicava qualche giorno dopo che 5 milioni di abitanti avevano lasciato la città, diretti altrove in Cina e nel resto del mondo”.

Senza dimenticare la ricerca dell’Università di Southampton secondo cui se la Cina avesse avesse agito con tre settimane di anticipo rispetto alla data del 23 gennaio, il numero di casi complessivi di Covid-19 si sarebbe potuto ridurre del 95%. Ma anche una sola settimana avrebbe ridotto il contagio globale del 66%”.

E il successivo rapporto del Centro Studi “Henry Jackson Society” intitolato: “Risarcimento da Coronavirus? Stabilire la potenziale colpevolezza della Cina e le vie di una azione legale” paventava la potenziale colpevolezza della Cina e la via di una azione giudiziaria. Circostanza già considerata da diversi Stati e persino da uno Studio Legale di Parma, ma non dal Governo del nostro Paese che in questo 2020 ha rinsaldato la svolta filocinese attraverso rapporti commerciali legati ad esempio alla fornitura di presidi sanitari, sulla scia del Memorandum tra i due Paesi del marzo 2019, che prevedeva di destinare i bacini portuali di Trieste e Genova a terminali della cd. “via della seta”.

Peccato che nel frattempo Trieste abbia stretto accordi con la Germania, segnatamente con le autorità portuali di Amburgo,  che di fatto disattenderebbero tale predeterminata polarizzazione. 

Torna quindi alla mente la tesi del contagio casuale del “contadino di Wuhan” che avendo mangiato carne di pipistrello ed essendo stato ammorbato dal virus animale per zoogenesi, avrebbe poi trasmesso la malattia alla moglie e di lì a tutto il pianeta. Il filmato che girava in rete sul mercato degli animali di Wuhan (cani, gatti, topi, pipistrelli, serpenti ecc.) era eloquente ma il Direttore di TGCOM24 Paolo Liguori a cui lo avevo inviato me lo aveva restituito con un laconico “fake cinesi”.

Ma giova ricordare anche le ipotesi complottiste, di un orchestrato progetto politico di contaminazione del mondo (e dell’Occidente in particolare) con il famoso “virus costruito in laboratorio” come arma letale.

Roba da fantascienza ma mica tanto, che ricorda le trame di certi film dove le armi convenzionali e le bombe sono sostituite dalla guerra batteriologica, silente e persino più devastante.

Con tutti gli impliciti psicologici che stiamo riscontrando: la lotta ad un nemico mortale e invisibile, il disorientamento emotivo, le angosce quotidiane, i sistemi sanitari mandati in tilt, la trasformazione forse irreversibile delle nostre abitudini di vita, con tutte le degenerazioni che ci porteremo dentro e nelle relazioni umane chissà per quanto tempo. Il big –crash economico, la chiusura delle scuole, la paralisi della vita sociale: uno tsunami che mette in gioco il concetto di vivibilità, innesca un processo domino nei default e nelle chiusure delle attività produttive, si diffonde con una velocità e una virulenza distruttive.

Non si può tuttavia dimenticare la teoria della rottura della sostenibilità ambientale, sostenuta dall’ONU e da molti scienziati: la contaminazione virale passa dall’animale all’uomo perché si spezza un equilibrio che si basava sul principio della tolleranza eco-sistemica. L’incremento demografico, la distruzione della natura, l’estinzione graduale di certe forme di vita sul pianeta, la deforestazione galoppante, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, il rialzo termico: sono tutti fattori di indebolimento del genoma umano di fronte alla ribellione della natura violata. Piace qui ricordare la magistrale spiegazione del Prof. Arnaldo Benini, emerito all’Università di Zurigo in una documentata e rigorosa intervista realizzata proprio con il Domani d’Italia, dal significativo titolo “Covid 19 – L’umanità impreparata” pubblicata il 30 marzo u.s.

Dove si evidenzia come sono i comportamenti umani il discrimine tra la diffusione pandemica e la battaglia per fermarla: mentre viviamo la fase drammatica del secondo lockdown, possiamo mentalmente comparare la fila sterminata di mezzi dell’esercito che trasportavano le bare e – dall’altro lato- le spiagge affollate, la movida senza mascherine, gli assembramenti, le discoteche ingolfate di giovani senza protezioni. Fino a citare i teorici del negazionismo estremo, la rappresentazione simbolica più evidente dell’imbecillità umana posta di fronte alle evidenze: degli ospedali intasati, ad esempio, dei morti e degli intubati, dei focolai riaccesi per la violazione consapevole delle raccomandazioni scientifiche.

Ma – oltre a quelle già evidenziate in questo lungo anno di DPCM incalzanti, di attese ingiustificate, di ritardi colpevoli, di inazione e di indecisione, di paralisi burocratiche e di speculazioni ideologiche – riaffiora una responsabilità di cui troppo a lungo si è taciuto.

Un mese dopo il citato Memorandum, esattamente il 28 aprile 2019 venne siglato un accordo tra Cina e Italia che prevedeva precise  “Aree di collaborazione”  (cito testualmente) : “il rafforzamento della prevenzione e del controllo in frontiera delle principali malattie infettive, il rafforzamento delle misure quarantenarie e dell’ispezione dei mezzi di trasporto internazionali, in entrata e in uscita dai territori italiano e cinese, il miglioramento dell’efficacia delle misure di disinfezione, disinsettazione e derattizzazione, la prevenzione della trasmissione transfrontaliera di malattie infettive”.

Non ci si può esimere dal chiedere ai due Governi in che modo questo accordo sia stato rispettato, quali misure di prevenzione siano state adottate, quali concrete azioni sia state poste in essere per evitare la diffusione del contagio dopo che il virus era stato isolato nei laboratori cinesi, se ci siano state informazioni provenienti dalla Cina e dall’OMS . 

Se questo Protocollo fosse stato rispettato sarebbe stato più rigoroso il controllo degli spostamenti umani e di mezzi, una barriera sarebbe stata frapposta alla diffusione del contagio.

In questa fase di recrudescenza pandemica dobbiamo gestire al meglio le risorse sanitarie e rispettare le regole che rallentano la diffusione del virus, investire sulla ricerca di un vaccino universale ed efficace, facendo il possibile affinchè arrivi presto ad evitare altre morti.

Ma trascorso questo periodo di guerra a tutto campo, con serietà e senso del dovere occorrerà riconsiderare il mancato rispetto di quell’Accordo, evidenziando eventuali responsabilità.