L’ultimo caso proviene dall’Australia, dove l’ente di vigilanza sulla concorrenza (ACCC) cita in giudizio Google davanti alla Corte Federale, accusando il colosso Usa di ingannare i clienti sull’utilizzo dei loro dati personali.

Il presidente dell’ACCC, Rod Sims, spiega che Google ha continuato a immagazzinare dati sulla posizione delle persone, anche quando queste erano convinte di aver disattivato l’applicazione che le geolocalizzava. Secondo l’ACCC, Google dava agli utenti l’impressione di poter disabilitare – su smartphone e tablet Android – la raccolta dei dati sulla loro posizione disattivando l’impostazione “Location History” sul proprio account.

Tuttavia i dati sulla posizione venivano comunque raccolti poiché rimaneva attivata un’altra impostazione, “Web and App Activity”.

Secondo la citazione in giudizio, Google ha anche suggerito ai clienti che l’unico modo per limitare la raccolta dei dati di posizione era di rinunciare completamente a determinati servizi quando, in realtà, sarebbe stata sufficiente la modifica di determinate impostazioni.