Moro, la politica come luogo di ricomposizione delle diaspore.

Una lettura approfondita del libro, pubblicato un anno fa dalle Edizioni Il Domani d’Italia, di Lucio D’Ubaldo: “Amare il nostro tempo. Appunti sul giovane Moro”.

Il pregevole libro sul “giovane Moro” –  di Lucio D’Ubaldo – ripercorre la parabola umana, culturale e politica del grande statista, dalla sua iniziale formazione nella realtà territoriale di provenienza, alla Presidenza della FUCI, all’ingresso nell’alveo politico partitico, parlamentare, nazionale e internazionale, fino alla tragica fine del 9 maggio 1978.

Colpisce l’abilità del tratteggio descrittivo, tra ricostruzione storica dei passaggi più significativi di quella esperienza, narrazione giornalistica e presentazione olistica del personaggio.

Possiamo dire che già all’origine di questo percorso si colgono i tratti distintivi di una vocazione che da intuizione diventa missione. L’abilità dell’autore consiste nel saperli evidenziare in modo che il lettore ne ricavi una rappresentazione connotativa.

Da quali ispirazioni ideali e attraverso quali studi e fondamenti intellettuali e culturali prende corpo in Aldo Moro la sua visione della società e dello Stato? Politica come missione per realizzare un modello sociale ma anche sintesi culturale tra progettualità basata su principi e valori fondativi, opportunità di metodi e percorsi per realizzarli e capacità di sostenerli attraverso il consenso, esprimono piena consapevolezza di una chiara identità e una solida attitudine alla mediazione: ciò non sembra assumere le sembianze di un disegno astrattamente vagheggiato poiché nell’esperienza politica di Aldo Moro emerge sempre il principio di responsabilità circa il compito da assumere e la consapevolezza di una realtà composita e articolata da portare a sintesi.

Il senso dello Stato e del bene comune sono già patrimonio culturale e ideale del giovane Moro, si apprezza in lui una lungimiranza senza pari. Oggi mediare ha un significato deteriore, una sorta di diminutio di fronte al piglio decisionista di leader senza cultura e senza storia.  Nulla a che fare – dunque – con l’attuale “corsa ad esserci” e a lasciare un segno della propria presenza: ciò che genera confusione, parcellizzazione senza sintesi, enfasi delle promesse rispetto alla certezza delle realizzazioni. Una concezione riempitiva della presenza politica, non accompagnata da una necessaria capacità di visione. Il titolo del libro – “Amare il proprio tempo” anticipa l’analisi originale che fa l’autore di questa vocazione (Max Weber la chiamerebbe Beruf)  e cioè amarlo per custodirlo e conservarlo secondo i principi  della giustizia sociale, della mitezza e della temperanza, della capacità di ascolto filtrata attraverso l’intermediazione sociale, della concertazione come metodo di confronto e presupposto per una sintesi necessaria: rileggendo queste pagine il pensiero si volge ad un passato più recente, a ciò che è venuto dopo, fino a quel presentismo autoreferenziale e senza vocazione, asfissiante e precluso al bene comune estesamente considerato in anni di studi sociali letti dai Rapporti del CENSIS.

Se guardiamo a ritroso e ci volgiamo poi al presente non possiamo cogliere ciò che si è perduto strada facendo di quella originale e alta intuizione morotea della politica. La definizione di “politica come omaggio alla verità e alla bellezza della vita” se riposizionata all’interno della parabola dell’ impegno di Aldo Moro proietta verso tensioni emotive alte, slegate da una concezione mercantile dei rapporti di forza – all’interno del partito e nell’intersezione delle alleanze di governo, perché antepone i valori e gli ideali e con essi un modello di sviluppo sociale ai calcoli delle tattiche, delle alchimie e delle strategie.

Moro scelse di conservarne unità e coesione, senza rinunciare tuttavia a custodire i propri principi ispiratori, tenendo aperte le porte ai mutamenti sociali in atto.

Possiamo certamente considerare anche questo aspetto nell’alveo di quella “strategia dell’attenzione” che ha caratterizzato tutta la sua storia politica. Il dibattito politico di quegli anni si esprimeva prevalentemente attraverso il confronto congressuale, soprattutto in un contesto politico composito e plurale quale era la Democrazia Cristiana, nella quale si riverberavano interessi diversi derivanti dal ruolo centrale nella vita politica del paese e dal rappresentare il cd. ‘ interclassismo sociale’.

Da quei congressi, da quei dibattiti, da quelle tesi esposte a partire dalle sezioni e fino alle assisi nazionali i partiti traevano spunto per elaborare fondamenti culturali, modelli sociali, alleanze di governo, orientamenti internazionali. Oggi la politica 4.0 è decisamente cambiata e non certo in meglio. I congressi non si celebrano più e sono stati sostituiti da una gestione personalistica dei partiti al punto che i nomi dei leader prevalgono sui simboli anche nelle campagne elettorali.

Non è finito solo un modello organizzativo: è venuto meno il fondamento culturale e ideologico che un tempo conferiva stabilità ai partiti stessi e oggi si polverizza in una rappresentanza instabile, aleatoria fino al situazionismo e al trasformismo politico e parlamentare. Indubbiamente possiamo oggi affermare che il richiamo di De Gasperi al “lievito del cattolicesimo politico” e all’idea di una centralità della Democrazia Cristiana nella vita politica e parlamentare del Paese trovò in Aldo Moro un testimone autorevole capace di raccogliere il filo conduttore di quell’ispirazione e tessere una trama ideologica e culturale a sostegno di quel progetto politico. In un passaggio del Suo libro D’Ubaldo accenna – per affinità di orientamento democratico e per identificazione nell’immaginario collettivo, ma anche per la cruenta uscita dalla scena politica  di entrambi – ad una similitudine tra J.F. Kennedy e Moro.

Due personaggi diversissimi tra loro, ma accomunati da carisma e forte personalità.

Parafrasando una celebre espressione del Presidente USA – “Sono un idealista privo di illusioni” , potremmo oggi affermare che in confronto a due statisti di tale livello l’aforisma può essere oggi ribaltato, poiché ci troviamo di fronte a molti “illusionisti privi di ideali”.

C’è un passaggio molto interessante nel saggio di D’Ubaldo che riguarda l’accostamento coerente di Moro uomo politico con Moro docente universitario alla Sapienza. Nella sua militanza politica e nell’esperienza pedagogica Moro maturò e seppe conservare un rapporto privilegiato con i giovani. Non dimentichiamo la sua militanza nella FUCI, il suo profondo amore per la cultura , la fiducia nelle giovani generazioni in quanto portatrici di desiderio di conoscenza e di entusiasmo,  che lo avevano indotto a prestare una particolare attenzione verso il dibattito che animava gli anni a cavallo del 68, “offrendo il palcoscenico ai movimenti studenteschi”.

Possiamo parlare di uno statista attento ai temi culturali e al mondo della formazione (non dimentichiamo quanto tenacemente volle l’istituzione della scuola materna statale, fino alla crisi di Governo del ‘68), vicino ai giovani nei quali vedeva materializzarsi quella continuità necessaria ad evitare pericolosi salti generazionali. E possiamo altrettanto constatare come da alcuni decenni si assista invece ad una deriva di impoverimento culturale della politica e dei suoi rappresentanti. Pur interpretando una visione tendenzialmente moderna della società e dello Stato e l’ esigenza di apertura al nuovo che sola può garantire sintesi tra traditio e ratio, tra stabilità e inglobamento del nuovo, possiamo descrivere l’immagine che ci giunge di Aldo Moro: un uomo mite e temperante, tendente al dialogo e alla mediazione, vocato a privilegiare il bene comune mediante la ricerca continua delle sintesi necessarie.

Un tutt’uno nella vita pubblica e privata, un moderato per natura e vocazione.

Rileggendo i Suoi interventi in sede congressuale si coglie nettamente la consapevolezza che la moderazione non va confusa con il moderatismo così come il popolarismo non è la stessa cosa del populismo demagogico e imbonitore.

Valori che sembrano dimenticati oggi, in termini di credibilità, autorevolezza, responsabilità considerando l avvicendamento generazionale e identitario della politica. Aldo Moro aveva ben presente il divario, il gap, la distanza che separa il “paese legale” dal “paese reale”. Trovo che questa consapevolezza fosse comune anche nella visione politica di Amintore Fanfani: erano loro i due cavalli di razza della DC al tempo della ricostruzione del Paese, sostanzialmente diversi ma complementari.

In queste due figure carismatiche si specchiavano le due istanze fondamentali dell’Italia cattolica nei primi decenni del secondo dopoguerra: la gestione del presente attraverso la stabilità e la governabilità e l’architettura del futuro del Paese ispirata ad un modello di società e di Stato che promuovesse un rapporto tra istituzioni e cittadini. I processi di modernizzazione e le condizioni di differenziato sviluppo sociale, l’apertura dei mercati, l’espansione della Comunità Europea , la sovrapposizione della geoeconomia rispetto alla geopolitica (quasi fino ad esserle prevalente), la globalizzazione, l’esplosione delle nuove tecnologie e ora l’estensione pervasiva  della cd. “società digitale” hanno prodotto mutamenti radicali a livello di comportamenti individuali e sociali.

Crescono parallelamente tuttavia le condizioni di criticità sul piano economico, degli stili di vita, i conflitti generazionali, si acuisce la difficoltà di una sostenibilità tra condizione antropologica e contesto ambientale e sociale. Quanto è lontana e quanto è recuperabile sul piano delle scelte di pertinenza dei decisori istituzionali, la visione morotea di una politica come luogo di ricomposizione delle diaspore, di ricerca dei punti di convergenza, di contesto naturale e più idoneo della concertazione e del dialogo costruttivo per risolvere i problemi del nostro tempo! “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”. Interpretando queste parole di Aldo Moro possiamo dunque dire che non c’è libertà senza limiti, democrazia senza regole, conquiste senza sacrificio, progresso senza rispetto dell’esistente, onore e coscienza senza rettitudine.