Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia

Per la Giornata mondiale dell’Africa

Tratto dall’Osservatore Romano a firma di Giulio Albanese

Oggi si celebra, tradizionalmente, la Giornata mondiale dell’Africa. La ricorrenza coincide con l’anniversario della costituzione dell’Organizzazione per l’unità africana (divenuta in seguito Unione africana), avvenuta nel 1963 per celebrare l’indipendenza, allora appena conquistata, da molti paesi nei confronti dei regimi coloniali.

Dobbiamo, comunque, riconoscere che, nell’inconscio collettivo occidentale, si è sedimentato nel tempo una sorta di pregiudizio verso questo continente. In effetti, le “Afriche” — è doveroso il plurale parlando di un continente tre volte l’Europa — vengono costantemente redarguite, quasi fossero irriducibilmente bocciate dalla storia, quella delle grandi civilizzazioni.

Ecco che allora, spesso, molto spesso, ogni genere di comunicazione riferita al continente africano si riduce ai soliti stereotipi di atrocità, guerre, carestie, pandemie e permanente instabilità. Non solo. Le Afriche sono solitamente percepite, nell’immaginario nostrano, quasi fossero una realtà a sé stante, anni luce distante dal resto del mondo; una sconfinata terra di conquista fatta di savane, deserti e foreste pluviali i cui popoli, per misteriose ragioni ancestrali, sarebbero istintivamente avversi alla mente razionale e al pensiero scientifico.

Occorre, pertanto, sfatare certi luoghi comuni che soffocano ogni serio ragionamento, nella consapevolezza che questo continente costituisce un poliedrico contenitore di saperi millenari, luoghi di passioni, ricchezza culturale e artistica, galassia di etnie fatte di volti con le loro storie da scoprire. D’altronde, come ricordava sensatamente il compianto storico britannico Basil Davidson, questi pregiudizi non giovano alla causa del bene condiviso, ma semmai acuiscono il fraintendimento, pregiudicando l’incontro. Emblematico è l’aneddoto, raccontato dallo stesso Davidson, riguardante un etnografo e viaggiatore tedesco di nome Leo Frobenius. Questo distinto signore nel 1910 si trovava in Nigeria ed ebbe la fortuna di scoprire delle statuette di terracotta di rara bellezza e fattura. Frobenius non volle ammettere allora che quelle sculture fossero opera di artigiani dell’etnia Youruba e s’inventò di sana pianta una teoria secondo cui i greci avrebbero colonizzato prima della nascita di Cristo le coste dell’Africa occidentale, lasciando ai posteri quei volti umani che le popolazioni autoctone non avrebbero mai potuto concepire.

Si tratta, pertanto, di andare decisamente al di là di certa mentalità, quasi l’uomo bianco avesse bisogno d’inventare le Afriche con le sue affermazioni narcisistiche. E sì perché le Afriche, contrariamente alle indicazioni fornite da certi spot strappalacrime, non sono povere, semmai risultano impoverite. E le stragi perpetrate da quelle parti, che spesso colpiscono direttamente le comunità cristiane, rispondono sempre a logiche predatorie nei confronti di tanta umanità dolente. Poco importa che si tratti delle feroci milizie jihadiste, o di formazioni ribelli come nel caso dei Mai-Mai, nella Repubblica Democratica del Congo, dietro le quinte si celano interessi legati alle commodity, le preziose materie prime di cui è ricco il continente.

Le responsabilità ricadono, certamente, su potentati stranieri, più o meno occulti, con la complicità di quelle classi dirigenti locali, incapaci di servire la Res publica.

Per comprendere la discrasia è sufficiente operare un confronto tra le ricchezze di un paese come la Repubblica Centrafricana — con una superficie due volte l’Italia e una popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti — e una regione italiana come la Basilicata. La prima ha un Pil di circa 2 miliardi di dollari, la seconda di 12.250.329.322 di dollari. Senza voler nulla togliere alle bellezze paesaggistiche e alle ricchezze naturali della Lucania, c’è da rilevare che la Repubblica Centrafricana è ricca di diamanti, petrolio, uranio, legname e quant’altro. Non v’è dubbio che se vi fosse equità, gli abitanti di questo paese potrebbero essere più ricchi di quelli del Canton Ticino. E invece il Centrafrica è stato devastato da guerre civili, stragi perpetrate da bande armate finanziate da lontano.

Ecco perché Papa Francesco, il 30 novembre del 2015, aprì la Porta santa, nella cattedrale della capitale centrafricana Bangui, inaugurando così il Giubileo della misericordia: a fianco dei poveri. D’altronde, come spiegava con lucidità e schiettezza il compianto scrittore nigeriano Chinua Achebe, «Anche il leone deve avere chi racconta la sua storia. Non solo il cacciatore». Un detto ancestrale che evoca l’istanza di guardare alle Afriche senza pregiudizi e stereotipi, andando al di là di una visione paternalistica, ammantata di carità pelosa.

Sì perché questo continente ha una dignità inalienabile che nessuno può misconoscere.