Il congresso regionale piemontese dell’Anci e, a maggior ragione, il congresso nazionale non possono ridursi ad un semplice momento di ratifica degli incarichi accompagnato da un dibattito stanco, burocratico e protocollare. E, in secondo luogo, al vertice dell’Anci piemontese – seppur nel pieno rispetto delle scelte fatte e frutto estenuante delle trattative tra i vari partiti – sarebbe stato opportuno investire politicamente sul Sindaco di Torino. A prescindere da chi ricopre pro tempore quell’incarico. Come, del resto, avveniva nel passato. 

Queste le due osservazioni, sostanzialmente di metodo, che ho avanzato durante il mio intervento al congresso piemontese dell’Anci in qualità di Sindaco di Pragelato. 

Ora, se la richiesta di riavere il Sindaco di Torino alla guida dell’Anci subalpina rispondeva più alla esigenza di ridare autorevolezza e prestigio alla stessa Associazione in una fase storica e politica che prevede anche il riordino dell’architettura istituzionale del nostro paese con il rischio di riproporre un nuovo centralismo regionale a scapito del ruolo, della funzione e della stessa “mission” dei comuni italiani, la necessità di riaprire un forte dibattito all’interno dell’Associazione risponde, invece, ad una domanda di partecipazione e di approfondimento politico, culturale e istituzionale che non è più rinviabile. E questo, a maggior ragione, come ho evidenziato al congresso piemontese, perché la potenziale pluralità di candidature alla Presidenza nazionale dell’Anci richiede un confronto preventivo, ed approfondito, tra gli attori principali, cioè i sindaci.

Del resto, qualsiasi organizzazione democratica, sociale, radicata nel territorio e di massa – e l’Anci lo è sin dalle sue origini – non può rinunciare pregiudizialmente alla sua vocazione storica. Che resta quella di essere uno strumento politico, e non solo tecnico, legato alla cultura della sussidiarietà, alla difesa delle centrali della democrazia – cioè dei comuni – e, soprattutto, ancorato alla difesa del valore cardine della autonomia. Di qui la necessità, direi quasi l’obbligo morale, di continuare a fare dell’Anci una grande palestra democratica, civile e di difesa dei territori. A partire dai piccoli comuni che restano l’ultimo e vero presidio democratico del nostro paese.