Articolo già apparso sulle pagine dell’huffingtonpost

L’Anci, storicamente, rappresenta un tassello fondamentale per la stessa organizzazione democratica del nostro Paese. Come abbiamo evidenziato nel Manifesto costitutivo del Movimento “Comunità, Sindaci al centro”, contro il ripiegamento pessimistico che debilita il nostro Paese, la fiducia nel binomio di solidarietà e creatività trova la sua preziosa linfa vitale proprio nelle comunità locali.

Se nella nostra storia i Comuni hanno aperto la via alla modernità, oggi restano tuttavia il nucleo pulsante dell’assetto istituzionale repubblicano. Sono il vestito, per dirla con lo storico sindaco di Firenze Giorgio La Pira, di un’autonomia in senso pieno e autentico, che risiede e opera nel quadro di aggregazioni naturali antecedenti alla costituzione dello Stato. Essi, nello specifico, esprimono e rappresentano qualcosa – l’autonomia, appunto – che qualifica l’identità comunitaria e ne struttura l’articolazione democratica.

Ora, a fronte di un progressivo smarrimento della sua vocazione originaria, forse è giunto il momento per dare una svolta politica e culturale all’organizzazione più prestigiosa degli amministratori locali italiani. Una svolta che, innanzitutto, deve tradursi in un congresso – dalle assemblee regionali a quello nazionale – che non si riduca da un fatto meramente burocratico e protocollare. C’è poco interesse, se non nullo, oggi per i congressi regionali dell’Anci. Così non va bene.

L’occasione del congresso può fare dell’Anci una sede privilegiata per la discussione sul futuro dell’Italia. Non serve, cioè, un congresso burocratico fatto di organigrammi e di distribuzione dei pesi politici di partito e delle rispettive correnti per la composizione delle varie assemblee. Il confronto deve decollare, si deve riscoprire e riattualizzare la vera “mission” dell’Anci, il suo ruolo e la sua funzione specifica nel riconoscimento e nella promozione delle autonome locali.

Non si può continuare con una forte valorizzazione dell’istituto regionale a scapito dei comuni e del ruolo centrale e decisivo che svolgono quotidianamente nei territori. Sia per quanto riguarda il governo dei territori e sia, soprattutto, per la capacità di continuare a essere la vera “palestra democratica per eccellenza” per dirla con il fondatore del Partito popolare italiano e del teorico dell’autonomismo comunale, Luigi Sturzo. E il dibattito tra gli amministratori locali esige anche la ristrutturazione di un modello politico di presenza e di collaborazione. E non solo nel quadro interno.

L’Anci non è, e non può diventare quindi, un semplice segmento dell’apparato pubblico amministrativo. È un’associazione, come molti sanno, nata libera e che libera deve restare, anche rinunciando a qualche piccola convenienza. E chi vi opera, di conseguenza, a nome e per conto di migliaia di sindaci e di amministratori locali, deve avvertire continuamente lo scrupolo di un servizio che si nutre di un profondo senso di abnegazione.

Gli organi probabilmente vanno snelliti perché oggi non permettono di esaltare la democrazia interna. La figura del Presidente, a rigore, non può che essere quella del “primum Inter pares”. E le Anci regionali hanno il diritto e il dovere di contribuire a un riordino della funzione rappresentativa, per incidere di più e meglio nella costruzione dei programmi associativi. E sulla stessa struttura operativa occorre agire con maggior oculatezza valorizzando appieno le diverse professionalità e correggendo anche le distorsioni. E l’Associazione ha bisogno, al contempo, di coraggio e di umiltà: l’uno per cambiare e l’altro per allargare il consenso attorno allo sforzo di innovazione. E dunque, con una rinnovata azione di tipo collegiale, occorre impegnarsi a fondo, nel tradizionale spirito unitario, per poter corrispondere adeguatamente alla domanda di un rinnovato protagonismo da parte di tutti gli amministratori locali: sindaci, assessori, consiglieri comunali, Presidenti di Municipio.

Ecco perché serve un congresso di vera e autentica rifondazione. Perché l’Anci è un libro che accresce, con il variare delle circostanze, le sue pagine. E tocca anche a noi, alla nostra cultura cattolico popolare e cattolico democratica, scrivere una pagina nuova per mettere al centro le autonomie e renderle ancora più forti nel contesto della società italiana. L’alternativa sarebbe solo una semplice occasione per regolare conti politici e correntizi, stilare organigrammi e distribuire potere. Credo sia meglio intraprendere la prima strada.