Ancora sul Centro politico

Ma veramente nei prossimi anni avremo bisogno di una forza politica di centro?

Prendo lo spunto dai due ultimi articoli sul cosiddetto Centro politico, comparsi su questo blog: uno di Giorgio Merlo,  l’altro di  Ettore Bonalberti. Non è la prima volta che trattano questo tema. E non sono i soli a battere questo chiodo. Devo per correttezza aggiungere che la loro caparbia (e lodevole) insistenza sulla nascita o ri-nascita di una forza politico-partitica di centro mi affascina. La considero onesta, anche se nell’anno del Signore 2022 e soprattutto per gli anni che verranno non la condivido. 

Nello stesso tempo mi sorprende non poco. Il fascino mi è provocato dalle loro rocciose certezze, senza spigoli, che prendono le mosse da un passato politico…centrista che appartiene anche a me. La sorpresa scaturisce dal fatto che ho da sempre fatta mia la lezione di don Luigi Sturzo che  nel suo “Del Metodo Sociologico” raccomandava – prima di prendere qualunque iniziativa politica o di proporre una  qualsiasi soluzione – di scrutare bene e studiare a fondo la “…societa in concreto” che si ha davanti. Ai nostri giorni, quella delle trasformazioni  epocali a partire  dal clima e dal riscaldamento globale; quella della transizione tecnologica, della forza lavoro digitale e del lavoro a distanza senza più la falce o il martello in mano, ma solo con un computer;  quella dei giovani disoccupati e con la valigia pronta; quella delle classi sociali salite sul discensore e delle vecchie e nuove povertà; quella delle inarrestabili emigrazioni e inevitabilmente multietnica.  E mi fermo.

Ora, ci saranno soluzioni  diverse – una di centro, una di sinistra e una di destra –  per affrontare e risolvere questi enormi  problemi epocali che ci coinvolgono tutti? Se il quesito è pertinente rimane allora il ragionevole dubbio che discutere sulla società teorica e astratta che ognuno di noi ha in mente o che desidera, dimenticando quella concreta in cui si vive e si vivrà insieme ai altri, trascina ad irrimediabili errori. Nel nostro caso riduce e semplifica la nascita di un partito di  centro ad un paio di sole e uniche giustificazioni:  legge proporzionale e astensionismo. 

Conservo ancora due piccoli libretti editi da “Reset”, che in questi ultimi anni ho riletto e sfogliato spesso, a proposito del dibattito su centro, sinistra e destra. Uno del 1995 di Augusto Del Noce e Norberto Bobbio dal titolo “Centrismo vocazione o condanna”; l’altro del 1999 di Gerard Grunberg su “Socialismo europeo si o no?”. Bobbio dialogando a distanza di tempo con Del Noce e pur credendo in una differenza di valori tra destra e sinistra, da lui tuttavia  definite in modo diverso, ha fatto capire che un centro politico è stato necessario alla fine del secondo dopoguerra solo  perché in presenza di un antifascismo comunista e di  un fascismo nazionalista in quegli anni vivi e vegeti. Mentre Grunberg si è addirittura avventurato sulla inevitabile crisi delle nozioni  di destra e sinistra,  dal momento che i valori storici e le richieste della sinistra, ormai sono stati fatti propri da una destra sociale e  liberale. 

La bella introduzione di Lorella Cedroni al libro di Del Noce e Bobbio sintetizza molto bene i motivi ‘centristi’ del filosofo cattolico – formato su Maritain e amico di Dossetti – uniti tuttavia a una sua certezza per i tempi scandalosa: “…la necessità di una ‘politica di centro’ per l’Italia  post-fascista, il superamento dell’antifascismo, e la convinzione che il partito comunista di Togliatti, sarebbe prima o poi diventato democratico”. Sotto questo ultimo aspetto è stato però  Grunberg ad essere più  chiaro. 

Una volta constatato che destra e sinistra giustificano i sistemi parlamentari, e una volta che la sinistra ha accettato “(….) di governare nel quadro dell’economia di mercato, e ancora di più…di non mettere in discussione questo sistema…il conflitto tra sinistra e destra che costituiva l’essenza del gioco politico, non metteva più  in discussione il contesto istituzionale né il contesto economico, né quei valori universalistici in base ai quali i nemici diventavano degli avversari, ma  a volte anche dei partner…”. E concludeva suggerendo alla sinistra di  rinunciare al suo richiamo di classe, per diventare una concorrente della destra in modo di “…conquistare i suffragi dei grandi gruppi sociali…in particolare del ceto medio”.  

Andiamo ora a Merlo e Bonalberti. Evito di soffermarmi sulle attuali contrapposizioni – anche serie – del particolare momento storico che attraversiamo: vax e no-vax; euroatlantisti e filoputiniani; europeismo politico e sovranismo nazionalista; nordisti italiani e sudisti italiani; accoglienza e rifiuto dello straniero, ecc. Non sono tutte di destra o tutte di sinistra! Chiarendo che sono rimasto almeno contento che nell’ultimissimo  dibattito  sul centro, sia scomparso dal centro  l’aggettivo  cattolico sostituito da quello laico. E molto soddisfatto che non si parli di un ritorno della storica Dc, e che si accenni al  pluralismo. Confesso che con una crisi galoppante della fede e dei valori religiosi, con le chiese vuote e con  l’associazionismo cattolico storico in ritirata – fucina formativa e di selezione di ottima classe politica –  ho capito e giustificato il termine laico. 

Ma che – come ormai sostengono diversi studiosi –  con una omologazione ormai di fatto alle leggi del libero mercato, con l’accettazione di fatto della democrazia  rappresentativa parlamentare, e con la sparizione della rigida distinzione fra le classi sociali – tranne di quella al vertice (!) -, confesso dicevo, che non ho mai capito il significato esatto di  pluralismo politico e partitico dei nostri giorni, rimanendomi molto chiaro invece quello sociale e culturale. È un mio difetto.

Un nuovo centro politico laico auspicato,  che in ogni caso e qualunque esso sia, serva da quello che si legge ad essere alternativo alle attuali destre e sinistre italiane spesso indicate come luoghi di trasformismo. Se non come pericolose aggregazioni partitiche leniniste e fasciste,  antidemocratiche e antisistema, focolai del populismo imperante. Sarà!

In conclusione, devo per forza  aggiungere che rimango  in costante  compagnia di un forte convincimento immerso in un pizzico di realistica utopia. Quello cioè che il futuro, con tutte le sue ancora ignote sfide di cambiamenti radicali – già in parte alle nostre spalle – ci deve trovare il più possibile tutti uniti e tutti sulla “…stessa barca”, e non su barchette irrilevanti e deboli diverse solo per  comodità elettorali  e di lotta politica. Alla luce del fatto che le risposte politiche ( e partitiche), a cominciare dalla pace – …già la pace!… – non possono essere oggi molto diverse se la porta di accesso è rappresentata dall’eguaglianza e dalla dignità della persona, e se quella di uscita indica la tutela dei diritti umani. 

Un percorso bipolare per capirci. Che evita inutili, uguali e ripetuti frammenti, che fanno aumentare anziché diminuire il disorientamento dell’elettorato, indebolendo peraltro anche la governabilità. Il che a mio avviso non ha mai significato omologazione e pensiero unico, ma realistica presa di coscienza sul fatto che per il futuro iniziato occorrono “convergenze democratiche” e che le risposte da dare ai cambiamenti che ci attendono, non possono trovare soluzioni  fondamentalmente diverse. Un percorso bipolare che ci sottrae da quella polverizzazione dell’offerta partitica, ormai in tempo di affermata politica-spettacolo e di politica-social, nelle mani di solitari leader mediatici senza partito alle spalle,  e di influencer seduti 24 ore al computer.

Un’offerta politica e partitica capace alla fine di ricomporsi  attorno a un sano e ragionevole bipolarismo, che ha oggi superato anche la radicale divaricazione e alternativa tra destra e sinistra. Categorie oggi da ridefinire completamente, come affermano molti studiosi, cercando il più possibile di tenere sempre la barra dritta verso l’uguaglianza sorretta dalla libertà, da far prevalere sulle disuguaglianze sorrette dall’individualismo. Una direzione di marcia suggerita moltissimi anni fa da Norberto Bobbio e sempre attuale.