Andante ma non troppo

Sarà Lui l’artefice della ricostituzione del Centro politico?

Nella giornata in cui si ricordavano i 5 anni della scomparsa di Ettore Scola è andata in scena l’ennesima commedia all’italiana. E ancora una volta la location è stato il Parlamento, segnatamente il Senato della Repubblica. Aveva ragione il politologo Paolo Pombeni, direttore di Mente Politica a dire che era sbagliato sostenere che la crisi era inspiegabile, mentre un esiliato illustre come Enrico Letta, vittima di “uno stai sereno” aveva invece evidenziato che lo “strappo è la follia di una persona sola”.

Al netto della vicenda –  commenta un fine osservatore come Massimo Franco-  “Il saldo della crisi aperta inopinatamente da Matteo Renzi è un indebolimento vistoso sia della maggioranza, sia dello stesso Conte, sia, ed è l’aspetto più inquietante, del Paese”.

Così – anche facendo ricorso alla coreografica suspense del VAR, per contare i voti dei minuti di recupero – il 66° governo della repubblica Italiana è rimasto in sella, ma il cavallo appare bolso anche se il fantino – che  ha contato su due transfughi dal Cavaliere – vede ancora ‘interessanti prospettive per il futuro’, per usare una frase di Renato Pozzetto.

Sarà Lui l’artefice della ricostituzione del Centro politico? Di personaggi in cerca d’autore ce ne sono molti ma i contenuti sono evanescenti. Un nuovo partito politico che abbia l’ambizione di guidare la crescita del Paese non si conta “sull’accorruomo “ ma sulle idee. De Gasperi era un gigante che valeva per quel che era e che sapeva gestire, guardando anche al futuro: qualcuno dice che l’Europa riderà anche stavolta di noi ma dovrebbe ricordare che il primo a pensarla come entità politica era stato il nostro grande statista.

Gira che ti rigira, ora il gap tra paese legale e paese reale si divarica sempre più. Tra le istituzioni e il popolo non ci sono più corpi di intermediazione sociale e monta l’esasperazione che è un sentimento misto di rabbia e impotenza. L’Italia non è Paese di rivoluzioni ma di ricatti, cambi di casacca o di minacce: la storia e il buon senso ci insegnano che dopo i giacobini arriva sempre il Bonaparte di turno. Ci possono essere buone o cattive ragioni per aprire una crisi ma farvi ricorso troppe volte trasforma la crisi in lisi, una sorta di lenta erosione, una estinzione della democrazia, un consumo delle risorse umane e materiali.

Dopo il tramonto delle ideologie sono subentrate molte opinioni: tutti parlano troppo, puntualizzano, promettono, l’eloquio inconcludente sgretola le istituzioni e le speranze della gente.

Con oltre 80 mila morti (ma oggi il Punto del Corriere adombra l’ipotesi che ne manchino al conto altri 30 mila) condividiamo a livello planetario il dramma della pandemia.

Errori ne hanno commesso anche altri Paesi ma questa indifferenza , questo cinismo verso la tragedia umana ed economica che stiamo vivendo tutti ricorda più i Borgia che il Rinascimento fiorentino.

I nostri sbagli sono stati enormi: a livello geopolitico e geoeconomico, strizzando l’occhio alla Cina e disdegnando la Nato: confidiamo adesso che Biden ci metta una pezza e recuperi alleanze perdute sulla via della seta. In tema di salute (senza un piano pandemico aggiornato, con gli ospedali al tracollo, di imprese (oberate dalla burocrazia impietosa e paralizzate dai veti e dalle tasse), di provvidenze sociali (chi lamenta la politica dei bonus come regalie senza controllo forse dimentica chi ha introdotto  il primo) di scuola, è mancata una visione strategica, nonostante gli esperti, le task force, le cabine di regia e gli Stati generali.

Sulla scuola il default è imminente: averla attrezzata come un ambulatorio medico coi banchi a rotelle senza pensare al trasporto degli alunni, confidando nella DAD quando il 30 % delle famiglie del Sud non ha PC o tablet, configura uno scenario da catastrofe educativa. Un vulnus di apprendimenti che si riverbererà sul futuro, insieme al debito pubblico, per questa generazione culturalmente deprivata.

E poi restano i problemi di sempre, ciascuno dei quali meriterebbe una monografia: la personalizzazione della politica e dei partiti, la selezione per cooptazione e fedeltà della classe dirigente, la sua madornale impreparazione culturale, un sistema elettorale che dia certezze e stabilità, il distacco dai problemi della gente. Chi voleva aprire il Parlamento come una scatola di sardine è riuscito nel compitino: ora ci si è accomodato e pare si trovi a proprio agio: nessuno parla più di vincolo di mandato, di limite alla doppia rielezione, di impeachment del Capo dello Stato, di no-vax e no tav. Mentre il MES resta fuori dalla porta,il Recovery plan è una diceria romanzata tutta da inventare e monta come la panna il conflitto Stato-Regioni.

Siamo arrivati a un punto in cui ci si interroga sul senso stesso della democrazia: è questa? Non vi vedo molti vantaggi. Resta il timore che qualcuno possa convincerci che la migliore dittatura (che ha molte maschere da indossare) sia da preferire a questa peggior democrazia.