Arturo Maffei: il campione

Il suo risultato più clamoroso, però, fu il quarto posto conseguito alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.

Arturo Maffei, classe 1909, dopo una dura vita da mozzo su navi mercantili spagnole, tornò in Italia nel 1925 e raggiunse la famiglia a Firenze

Iniziò la sua carriera sportiva nel 1926, come portiere di una squadra parrocchiale di Peretola.

Da qui si trasferì quasi subito a Sesto Fiorentino, come portiere della U.S. Sestese prima e della A.R.S. Sesto poi.

Mentre era ancora portiere fu spinto dai dirigenti, che avevano notato le sue doti, a provare il salto in lungo.

Così per qualche tempo alternò calcio e salto in lungo.

Questo gli consentì di entrare nei primi dieci saltatori in lungo d’Italia nel 1928 e nel 1929 anche se continuò la sua carriera da portiere.
Fu proprio durante il trasferimento alla Fiorentina calcio che la sua carriera prese una svolta.

Ridolfi patron della squadra gli disse: “Tu non devi pensare più a nulla tranne che all’atletica! A tutto il resto ci penserò io”.

Fu la verità, infatti, dopo brevissimo tempo, Arturo fu accompagnato dal suo benefattore a scegliersi una nuova dimora tra lo storico castello di Verrazzano e la sontuosa villa di Vitigliano nell’alto Chianti. L’atleta, però preferì il più rustico maniero di Verrazzano, dove, qualche anno più tardi, quando era già un campione affermato, il marchese gli fece addirittura costruire pista e pedana per il salto in lungo.

A partire dal 1930, Maffei iniziò a saltare presso l’avveniristico impianto con le piste in carbonella compressa della ‘Giglio Rosso’.  Da quel momento ottenne la prima maglia azzurra, come campione d’Italia di specialità, e stabilì molti primati in giro per l’Europa.

Il suo risultato più clamoroso, però, fu il quarto posto conseguito alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.

Per questa finale, assieme al viareggino si presentarono in pedana altri quindici atleti: tra questi c’erano anche un afroamericano statunitense James Cleveland Owens e“Luz” Long, beniamino locale, che nella gara di qualificazione per la finale aiutò l’americano posando un fazzoletto bianco accanto alla pedana che consentì ad Owens di staccare nel punto esatto

Maffei, in quell’occasione, saltò 7,73metri e perse la medaglia di bronzo per un solo centimetro.

Ma questo non destabilizzò l’atleta italiano che nel corso della sua permanenza al villaggio olimpico riuscì a stringere amicizia proprio con Owens e “Luz” Long.

Fu l’atleta italiano il testimone della storica mancata stretta di mano di Hitler al fenomeno americano.

Stando al racconto di Maffei, i due s’incrociarono nel tunnel dell’Olympiastadion: mentre Hitler salutava Owens con il braccio teso, l’altro gli stava porgendo la mano. Il cancelliere tedesco tentò di fare altrettanto, ma nel frattempo l’americano aveva portato la sua alla fronte per eseguire il saluto militare. Pochi secondi, uno sguardo fugace e poi basta.