Pomeriggio letterario, martedì 25 luglio nella sede dell’Abi, con un pubblico numeroso (docenti, parlamentari, servitori dello Stato, amministratori, studiosi compreso il presidente della Consob Paolo Savona) che ha sfidato il caldo torrido dell’estate romana.

La presentazione del recente libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese è stata l’occasione per un confronto pubblico, profondo e ricco di aneddoti, sulla attualità del pensiero di Keynes. Ne hanno parlato gli autori insieme al Professore Sabino Cassese e all’economista Pierluigi Ciocca, giá Banca d’Italia.

Giorgio La Malfa ha confessato che con questa opera ha voluto “pagare un debito alla formazione che ebbe  Cambridge negli anni sessanta” , quando frequentando quella università inglese frequentò gli allievi di Keynes.

Si è certamente parlato della rivoluzione Keynesiana, dell’attacco di  Keynes alla cittadella della  ortodossia, con un assalto alla cittadella del pensiero classico,  con la lunga  genesi della Teoria generale nel convincimento che il mercato da solo non ce la fa e richiede azioni consapevoli ponendo alternative al capitalismo che non ė capace di creare piena occupazione.

Nel  1935 scriveva “la difficoltà non risiede  nelle nuove idee ma nelle vecchie che risiedono in ogni angolo della mente”. Prima del 1936, dunque  prima di Keynes prevaleva il convincimento che il sistema si autoregolasse e che i governi dovevano astenersi dall’intervenire.

Anche Von Hayek sosteneva l’astensione e  che ci  sarebbe il lento riadeguamento della produzione  Il problema, nel secolo scorso fu purtroppo superato solo con il ricorso alle guerre. Toccò alle guerre ridare lavoro.  Certo la spesa pubblica ė un oggetto pericoloso e va maneggiata con prudenza, soprattutto dai responsabili politici.

Guardare all’oggi significa prendere coscienza che la rivoluzione tecnologica porta a produzioni con pochissimo lavoro,  con il rischio di cattiva distribuzione della ricchezza  e solo la mano pubblica può correggere i livelli della occupazione e della distribuzione del reddito. Purtroppo anche nelle università si è tornati a diffondere ed insegnare teorie ottocentesche.

Quindi oggi le teorie di Keynes andrebbero maneggiate con prudenza pensando ai nuovi protezionismi, alla sovranità limitata, ai minibot o a mini monete  o a quota cento e a quanti insidiano perfino il capitale della Banca d’Italia.  Keynes non era per lo Stato spendaccione; l’intero bilancio deve essere in equilibrio se non in pareggio; agire sulla composizione del bilancio e sulle infrastrutture produttive, che nulla hanno a che vedere con il bilancio in deficit.

La forza del moltiplicatore degli investimenti è diversa da quello per le spese correnti.
Keynes propone di abbandonare lo stato ottocentesco per entrare in un socialismo liberale, proteggendo l’individuo, la sua iniziativa, la sua proprietá.
Lo Stato deve assumersi la responsabilità di intervenire. Solo lo Stato può rimediare e può entrare in gioco come fattore equilibratore, assumendo una responsabilità crescente negli investimenti.

Stato e mercato sono padre e madre dell’individuo.
Il libro di Giorgio La Malfa e Giovanni Farese per la collana dei Meridiani dell’editore Mondadori  con  la ricchezza di un saggio introduttivo di 100 pagine di Giorgio La Malfa e  di 500 note (bibliografiche, storiche, di relazione, biologiche o letterarie) restituisce forma e sostanza al pensiero di Keynes per il quale l’economia deve avere una importanza secondaria rispetto “all’arte della vita”.

Assume, oggi,  un grande significato politico oltre e che letterario soprattutto nel tempo della crisi dell’Unione Europea sopraffatta dalla ventata di ordoliberismo che porta ai rischi della deflazione, scoraggia la domanda privata, genera insicurezze, disuguaglianze,  risentimenti nei ceti medi e piccoli li borghesi. I pericoli sono elevati è ancora non sufficientemente percepiti.