Barometro Cisl e Crisi pandemica: la stratificazione delle diseguaglianze.

L'edizione di Aprile del Barometro Cisl, sarà illustrata tramite il Webinar: "Dall’economia mondiale post COVID-19 alla ripresa del benessere equo e sostenibile del lavoro e delle famiglie in Italia". Piattaforma Zoom - 21 aprile 2021 - ore 15.30.

Il Barometro Cisl, seguendo l’ispirazione e l’impostazione del Benessere Equo e Sostenibile (BES), non si limita ad analizzare il PIL e le variabili macroeconomiche ad esso correlate.

Mira, infatti, ad elaborare una misura, sufficientemente rigorosa, del benessere o del disagio sociale delle famiglie italiane attraverso l’analisi di cinque domini (Lavoro, Attività economica, Istruzione, Redditi, Coesione sociale) e la costruzione dei loro indici ponderati specifici che concorrono a definire l’indice ponderato sintetico del benessere o del disagio delle famiglie italiane.

Entra, conseguentemente, nella struttura cellulare dei fenomeni economici, sociali, culturali che determinano il grado di benessere-disagio della società italiana, offrendo un contributo conoscitivo prezioso, a maggior ragione nelle fasi di crisi come quella che stiamo vivendo.

Amartya Sen (insieme a Joseph Stiglitz ed a Jean Paul Fitoussi protagonista della Commissione Sarkozy nel 2008) è stato uno dei padri riconosciuti del BES. A lui siamo debitori del celebre chiasmo: “Noi non misuriamo ciò che siamo, ma siamo ciò che misuriamo”. che, al di là dell’apparente assonanza enigmatica, significa che assumere il benessere come oggetto di analisi significa creare le condizioni teoriche per dotarsi della strumentazione strategica necessaria per realizzarlo, per cui noi , in ultima istanza siamo potenzialmente ciò che misuriamo.

Il Barometro, in base ai dati Istat del quarto trimestre 2020 ed all’indice sintetico che ne consegue (al di sotto del valore 90 fatto 100 il 2007) ci dice che la crisi economica e sociale scatenata dalla pandemia è inedita e particolarmente grave. Non nasce direttamente nel circuito finanziario, economico, commerciale. E’ un effetto indiretto dei “danni collaterali “ di un modello di crescita e di società che ha distrutto, sistematicamente, gli ecosistemi sino a produrre, certamente per le pandemie “zoonotiche “ dell’ultimo trentennio, quella contiguità fisica, prima assente, con gli animali portatori di virus che ha fatto dell’uomo l’ospite supplente ottimale.

Il canale di trasmissione dalla crisi pandemica alla crisi economica e sociale è rappresentato dalle restrizioni che la strategia sanitaria di difesa dal contagio ha richiesto ai sistemi di produzione, distribuzione, consumo di beni e servizi.

Ne sono derivate profonde differenziazioni negli squilibri reddituali, economici e patrimoniali fra:

settori nei quali la produzione, la distribuzione, il consumo dei servizi sono tutt’uno e che necessitano di un alto grado di concentrazione e di prossimità fisica delle persone (turismo, alberghi, ristorazione, spettacoli, manifestazioni culturali, scuole ed istituti di formazione, meeting aziendali, sport, moda, fiere) che hanno subito chiusure e restrizioni molto stringenti e prolungate;
settori che non avendo un grado così elevato di esposizione pandemica (manifattura) hanno risentito degli effetti, comunque meno gravi e transitori, dell’andamento della domanda internazionale e del crollo dei consumi interni;
settori che hanno migliorato, notevolmente, le performance (chimico-farmaceutico, informatico).

Le differenziazioni settoriali hanno trascinato profonde differenziazioni territoriali. La crisi economica e sociale si è, infatti, distribuita sul territorio nazionale seguendo la traiettoria del grado di specializzazione delle economie regionali e locali, secondo la regola: quanto maggiore la presenza di attività ad alto rischio di moltiplicazione del contagio, come quelle citate, tanto più tassative le chiusure e le restrizioni, tanto più grave la crisi. Con differenze accentuate anche fra territori contigui delle stesse regioni.

Le profonde segmentazioni economiche e sociali che storicamente distanziano il Centro-Nord dal Sud-Isole sono state: ulteriormente e trasversalmente segmentate al loro interno, dopo la crisi 2008-2009, fra territori integrati nelle catene globali del valore e territori che vivono negli interstizi del mercato interno;
la differenziazione settoriale e territoriale aggiuntiva generata dalla pandemia, configurando una stratificazione di diseguaglianze, approfondita;
dall’area sociale precaria dei contratti a termine, donne e giovani, che hanno pagato il prezzo più alto della disoccupazione e dalla povertà assoluta in crescita elevata.

Il gioco combinato e cumulativo di una tale stratificazione di diseguaglianze e la loro crescente pervasività è destinato a rafforzare la tendenza alla disgregazione sociale del nostro Paese.

Il Barometro Cisl segnala, a questo proposito, che l’indice ponderato del dominio coesione sociale, nel 2020, dopo ampie oscillazioni verso il basso sino a sfiorare il valore 85 fatto 100 il 2007, ha registrato una ripresa significativa negli ultimi due trimestri.

E’ il risultato dell’imponente e lungimirante impegno strategico della Cisl e del Sindacato confederale a favore di una politica monetarie e fiscale straordinariamente espansiva per sostenere il lavoro, le famiglie, le imprese. Basti considerare che gli occupati equivalenti alle ore, effettivamente utilizzate, di cassa integrazione nel 2020 sono pari a 1,2 milioni. Quanti sarebbero stati i licenziamenti senza il blocco degli stessi e la Cassa integrazione Covid 19?

E’ stato sufficiente che l’Istat abbia cambiato i criteri di calcolo della disoccupazione, adeguandosi alle regole europee e contabilizzando fra i disoccupati i lavoratori in cassa integrazione assenti dall’impresa da oltre tre mesi, per farla raddoppiare a 945.000 unità.

Dati così dirompenti incorporano una chiara indicazione strategica: non è possibile allentare né abbandonare gli strumenti di protezione sociale operanti sino a quando non sarà superato il punto di non ritorno sia dell’uscita dalla pandemia, sia di una solida ripresa strutturale che incorpori il codice genetico di un modello di sviluppo socialmente responsabile ed ambientalmente sostenibile.

In questa, necessaria, prospettiva il monitoraggio e la valutazione dello stato di realizzazione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripartenza e di Resilienza e delle Riforme, richiesto dalla Commissione Europea, adottando il modello del BES, risulterebbe, quanto mai, coerente ed efficace.