Bellini e la pasta alla “Norma” (l’Osservatore Romano).

Pubblichiamo per gentile concessione il pezzo che appare nella rubrica “Minimalia” dell’organo ufficioso della Santa Sede, edizione del 15 giugno 2022.

Gabriele Nicolò

Alla prima della Norma alla Scala (26 dicembre 1831) il catanese Vincenzo Bellini — in preda alla frustrazione di fronte al pubblico che, deluso dall’opera, rumoreggiava — disse con malcelato dispetto: «I milanesi non hanno ancora digerito il risotto di ieri». 

Composta in meno di tre mesi, la Norma avrebbe in seguito riscosso un sontuoso successo: ma il “fiasco” della prima rappresentazione inflisse al compositore una ferita profonda. Per rimarginarla occorse il gratificante plauso della critica che da principio, in verità, aveva avanzato riserve nei riguardi della primadonna, Giuditta Pasta, il cui particolare timbro di voce non permetteva di collocarla con irrefutabile evidenza nella categoria di soprano, mezzosoprano o contralto. 

La frase pronunciata da Bellini in occasione della “prima” alla Scala corse veloce lungo la penisola, fino a raggiungere la Sicilia, dove, in contrapposizione al risotto milanese si volle assegnare il nome di “Norma” a un piatto tuttora fiore all’occhiello della cucina siciliana: la pasta condita con salsa di pomodoro, melanzane fritte e ricotta salata. 

Se al risotto milanese si contestava di essere poco digeribile, è innegabile che anche a questo piatto non fa difetto una certa ricamata elaborazione. Attraverso il battesimo di quella prelibatezza, i siciliani volevano tributare un omaggio al talento musicale del corregionale Bellini: piatto alla “Norma” stava infatti a simboleggiare l’esecuzione di un qualcosa fatto a regola d’arte. Veniva così celebrata la singolare alleanza tra musica operistica e prodezza culinaria, tra note brillanti e seducenti aromi.