L’altra sera, nel seguire la celeberrima gara canora di Sanremo, devo confessare di essere rimasto contrariato dalla interpretazione di Roberto Benigni sul ‘Cantico dei Cantici’.

Per lui ho avuto sempre apprezzamento e simpatia, capace di esprimere una forza artistica particolarissima ed originalissima a confronto di tanta banalità in circolazione; anche se talvolta forzatamente di parte, e tendente ad essere un ‘conformista dell’anticonformismo’: quell’impronta che si intende dare, con valutazioni sulle vicende della vita sociale, che nei paesi anglosassoni definirebbero di ‘ politically correct’.

La mia perplessità certamente non riguarda la bellezza, oltremodo esaltata dall’artista, del libro attribuito a Salomone, bensì l’insistenza troppo allusiva alla presunta manipolazione del testo originario, per pretesa pruriginosa avversione della Chiesa Cattolica verso il suo contenuto erotico-sessuale.

Devo dire a questo punto che solo chi è lontano dagli ambienti cattolici può dare giudizi così presuntuosi e lontani dalla realtà. In verità il Canto dei Cantici è tra i passi più apprezzati dei testi sacri, proprio perché capace di descrivere, con delicatezza e purezza, l’incontro sessuale tra due sposi che attraverso il loro amore generano la vita, in grado di perpetuare il creato e di giustificare la esistenza di un uomo e di una donna: dunque erotismo e sessualità che proviene dal divino.

A Benigni, allora, mi sento di dire: la prossima volta, prima di cimentarsi con esegesi così impegnative, si faccia aiutare nella ‘scrutatio’ dei testi sacri ( l’approfondimento dei singoli passi della Parola e la sua correlazione con altri passi), così eviterà di apparire a tutti i costi, anche agli occhi di chi l’apprezza, un conformista dell’anticonformismo.