Bisogna avere uno sguardo largo sulla ripresa dell’Italia

Abbiamo di fronte impegni importanti e non possiamo sbagliare. L’esempio dei nostri Padri, capaci di rimettere in piedi il Paese dopo la seconda guerra mondiale, ci deve sostenere in questo sforzo straordinario.

 

Mariapia Garavaglia

 

Resilienza dal latino resilire che significa rimbalzare. Non può che essere questo il risultato del Recovery Plan. Si è anche qualificato come un impegnativo programma per la new generation europea. Crescita e resilienza non sono automatiche. Bisogna governare (gubernare dal latino ‘reggere il timone’) perché le scelte ottengano i risultati desiderati.

 

L’augurio agli Italiani per la Festa della Repubblica quest’anno è reso concreto dall’impegno del Governo Draghi e del Parlamento per una nuova rinascita del Paese in sintonia di intenti e volontà con quella che fu avviata il 2 giugno 1946. Mai prima d’ora – nemmeno il piano Marshall, fatte le debite proporzioni – l’Italia fu provvista di una massa così ingente di fondi da investire, e non per ripianare debiti. Con meno di 100 miliardi a fondo perduto, tutti gli altri (il totale è di poco superiore a 248 miliardi di euro) sono prestiti da restituire entro un trentennio a tassi minimi.

 

Nessun altro Paese della Unione ha ricevuto una dotazione tanto ampia e quindi si spiega l’interesse di tutti gli altri Stati membri perché l’Italia rispetti i patti e le scadenze. Ma anche le generazioni future hanno il medesimo interesse perché il debito pubblico – enorme – se non diventa “buono” (conio Mario Draghi) ricadrà sulle loro spalle. Per questo motivo è indispensabile che si riproducano, attualizzate, le virtù dei governanti che ricostruirono l’Italia e che procurarono il boom economico degli anni ‘60. Maggioranze e opposizioni hanno la responsabilità di sostenere le scelte che si sono decise perché dovranno, nelle alternanze possibili di governo, continuarne l’attuazione. Credo sia utile rivedere metodi e virtù dei coraggiosi ricostruttori dell’Italia: come vivevano anche le loro vite private, i tempi di decisone, la severità nel rispettare i fondi pubblici. Si studi come furono progettate, finanziate e attuate le grandi opere che hanno reso l’Italia uno dei Paesi G7.

 

Al rigore freddo delle norme e della contabilità la classe politica dovrà infondere il ‘gusto del futuro’, perché il cambio di passo che il Paese crede di intuire faccia raggiungere le mete indicate. Il piano attuativo del Recovery indica con precisione le scadenze e le riforme richieste, per cui nel caso non fossero rispettate, non solo non otteremmo le rate dei finanziamenti ma addirittura dovremmo restituirle.

 

I pilastri di questo importante augurio all’Italia sono la cornice europea, il Sud, la modernizzazione del Paese. Senza Europa – gli Stati Uniti d’Europa – ogni Stato europeo per quanto grande e importante, non potrebbe competere con le economie e gli sviluppi socioculturali dei giganti a est e a ovest, Cina, India, Stati Uniti, Russia.

 

Senza il Sud, completamente recuperato e integrato alle infrastrutture nazionali, l’intero Paese manterrebbe una zavorra ai passi avanti di cui siamo capaci. Perciò Sud, Sud, Sud! Il turismo e l’industria agroalimentare hanno bisogno di strutture, tempestivamente adeguate. Anche un’industria pesante come l’ILVA, deve trovare finalmente pace; i progetti erano pronti da almeno due governi fa: perché tanto ritardo? La tecnologia e la buona volontà possono rendere compatibile una grande industria con l’ambiente e la salute. L’Italia non può rinunciare alla materia prima che aiuta la sua manifattura ad essere la seconda in Europa. L’altro grave ritardo che riguarda anche la modernizzazione del Paese è lo scandalo Alitalia. Per una inutile italianità, in Europa e nel mondo sono stati bruciati miliardi senza mantenere i livelli occupazionali e assicurare una compagnia di bandiera competitiva.

 

Come dimenticare la situazione scandalosa in cui versano ancora i territori colpiti dal terremoto decenni fa. Ci sono modi e metodi per rimuovere gli ostacoli alla velocizzazione, nella legalità, e consentire alle popolazioni e ai territori di tornare alla invocata, ma disattesa da troppo tempo, normalità.

 

La modernizzazione del Paese corre su due binari, quello digitale e quello della trasformazione ecologica: entrambi fautori di nuova occupazione e di miglioramento ambientale. Tutto è sostenuto da una architrave che è la Next Generation EU: istruzione, formazione continua e ricerca. Anche questo ambito esige l’armonizzazione fra Nord e Sud. Lo stesso criterio deve guidare la programmazione e il controllo dei servizi sanitari perché, come è apparso evidente a tutti a causa della pandemia, devono essere garantiti secondo i principi e i diritti fondamentali che la nostra Costituzione da oltre settant’anni promette: uguaglianza di tutti i cittadini, da Nord a Sud, senza diseguaglianze territoriali; equità e perciò a ciascuno secondo il suo bisogno nella migliore qualità possibile e, infine, equità per garantire gli accessi a tutti.

 

È dibattito attuale utilizzare strumenti che rendano possibile raggiungere gli obiettivi entro il 2026, come richiesto dal Recovery Plan. Tre sono le spine che le forze politiche si stanno reciprocamente infliggendo e riguardano gli appalti (la velocità delle procedure si può ottenere senza il massimo ribasso, anzi!). I livelli occupazionali hanno bisogno di flessibilità ma non di blocchi. Il personale, indispensabile per far funzionare qualsiasi ingranaggio del Paese, deve essere preparato secondo necessità e reclutato secondo le regole. Per esempio i concorsi, qualora necessari per immettersi nella PA, devono essere periodici e continuativi per non trovarci come ora con carenza di medici, infermieri, operatori ai vari livelli non solo in sanità, ma anche nella scuola. In questo servizio – il più delicato del Paese – si formano sacche di precariato, seguite da inique sanatorie. L’intero comparto soffre poi per contratti scaduti da decenni… Basta con gli esempi, perché a ciascuno tornano alla mente.

 

La nostra Repubblica rinasce con la resilienza di tutti i suoi cittadini, perché è la partecipazione che la rende viva. Vorrei poter concludere il mio augurio personale agli Italiani e alla sua classe dirigente con l’esortazione “non aver paura”. Questo incitamento è ripetuto 365 volte nella Bibbia, un augurio per ogni giorno dell’anno.

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