BISOGNA TORNARE A PENSARE. I CATTOLICI DEMOCRATICI NON POSSONO SOTTRARSI A UNA FUNZIONE DI STIMOLO.

Per la prima volta gli eredi del MSI, un partito legato alla tradizione fascista, prendono in mano le redini del potere. È un dato politico che rivela l’usura dello spirito democratico. Sono stati fatti molti errori. Dice De Rita che gli “uomini dello spirito” hanno il dovere di ritessere un disegno d’insieme della società e dello Stato. La crisi del Pd esige questo invito alla riflessione “alta”. 

Con la vittoria della Destra bisogna fare i conti sul serio. Ciò riguarda gli stessi cattolici democratici, chiamati a riflettere sulle ragioni e le difficoltà della politica. Siamo giunti, infatti, a un punto critico della vicenda democratica del Paese: un terzo degli elettori non si è recato alle urne. Basta questo a evidenziare lo smottamento delle tradizionali basi di consenso. Per la prima volta gli eredi del MSI, un partito legato alla tradizione fascista, prendono in mano le redini del potere (complice una legge elettorale a impianto maggioritario). I riformisti, dal canto loro, hanno dato prova di un grande malessere, con il Pd incapace di tenere la barra: a parole si è lodato l’operato di Draghi, nei fatti si è subito dematerializzato il contenuto più vero della sua azione di governo. 

Con l’eccezione di Calenda, è sembrato ai più conveniente ridurre la solidarietà nazionale a una parentesi da chiudere in fretta. Anche questo ha finito per mettere in moto la giostra di un’alleanza a misura di tutti gli equivoci, come se la Destra avesse l’impunità per accreditarsi secondo parametri di coerenza malgrado la divisione, negli ultimi diciotto mesi, tra partiti di governo (Lega e Forza Italia) e di opposizione (Fratelli d’Italia). Un’alleanza, poi, che sorvola persino sul fatto che la Meloni non ha votato per la rielezione di Mattarella e considera, stando alle battute di fine campagna elettorale, una questione di maggioranza il passaggio a un sistema presidenziale. Ciò nondimeno, per lungo tratto, a sinistra si è giocato alla rappresentazione del bipolarismo maturo, anche inscenando carezzevoli attenzioni nei dialoghi pubblici con la Meloni.

Ora, la crisi del Pd s’inscrive in questa generale mancanza di rigore, anche minimo. Sostiene De Rita, molto lucido nel cogliere le ragioni profonde della crisi, che “è mancata la cultura politica, come la cultura religiosa”.  Che fare, allora? Aggiunge, sempre lui, nell’intervista di domenica scorsa ad Avvenire: “Come diceva Paolo VI, occorre tornare a pensare. Disse, a conclusione del Concilio, rivolgendosi «agli uomini di pensiero e di scienza» […]: «I vostri sentieri non sono mai estranei ai nostri. Noi siamo gli amici della vostra vocazione di ricercatori, gli alleati delle vostre fatiche, gli ammiratori delle vostre conquiste». Invece si continua a parlare di singoli diritti, al buio, in maniera astratta”. E dunque conclude così: “È chiaro che gli uomini dello “spirito”, ossia gli uomini di fede e gli uomini della politica dovranno riprendere in mano, insieme, una capacità di progettualità, di composizione degli interessi […]. Ma occorre che quelli che hanno una capacità progettuale, tornino ad applicarsi oltre i tanti particolarismi, allo sviluppo d’insieme, in una nuova alleanza – che io definisco “dello spirito” – fra fede e cultura”. 

Sono parole che meritano particolare attenzione. C’è materia per obbligare le culture del riformismo a fuoriuscire dalle loro frammentate e impoverite verità. Dentro il Pd, o anche ai suoi lati, i cattolici democratici devono adempiere a questa funzione di stimolo, evitando di accrescere la quota dei tanti “particolarismi” che frenano l’azione della politica democratica, ingolfandola di motivazioni scoordinate ed eccentriche, senza un disegno organico. Chi ha coscienza e memoria del contributo offerto dal “popolarismo”, ha qualche titolo per invitare al recupero di un “legame di popolo” che viva nel sentimento e nel concetto di un nuovo umanesimo democratico. In alternativa alla Destra.