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Democrazia e partiti

1) Dal militante obbediente al partecipante per conoscere, discutere e deliberare

Le questioni riguardanti la democrazia interna ed esterna ai partiti sono prioritariamente una questione di cittadinanza attiva, quindi di partecipazione attiva alla vita dei partiti e, nel contempo, una questione di legittimità democratica dell’agire politico. Sono questioni che si possono considerare sotto tre aspetti: 1) il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49 della Costituzione); 2) il dovere per i partiti di comportarsi con “metodo democratico”, atteso che i medesimi partiti sono organizzazioni destinate a svolgere un ruolo di particolare rilevanza costituzionale; 3) l’ingerenza indebita dei partiti, che sono organizzazioni esponenziali di un interesse di parte, nelle Pubbliche Istituzioni che, a loro volta, sono preposte a tutelare gli interessi generali del Paese. I tre aspetti sono tra loro intrecciati e costituiscono i connotati identificativi della liberal-democrazia che, ai nostri tempi, è sotto attacco da forze determinate a cancellare le libertà garantite dalla giovanissima Costituzione italiana.

Il diritto in capo ai cittadini di associarsi in partiti è previsto dalla Costituzione, ma molti dei comportamenti effettivi dei partiti tengono i cittadini o lontani da una partecipazione attiva o in condizione di militanza obbediente al capo partito di turno. Ciò può accadere facilmente nei partiti personali nati a misura delle ambizioni personali dei loro capi.

L’elusione degli obblighi derivanti dall’art. 49 della Costituzione risulta visibile, tra l’altro, comparando i comportamenti effettivi dei partiti con normative come quelle di cui al decreto legge 149/2013, convertito con modificazioni dalla Legge 13/2014 recante la “Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore”.

Comunque la normativa citata è sostanzialmente “claudicante” perché, pur indicando alcuni paletti del metodo democratico nella compilazione degli statuti dei partiti, ha una rilevanza limitata ad una sola “gamba”, quella dell’accesso e del godimento dei finanziamenti, mentre è sostanzialmente inidonea a far “camminare” i partiti, con la seconda “gamba”, quella riguardante gli aspetti strutturali e funzionali del “metodo democratico”.

Pertanto sarebbe ora di introdurre norme pienamente efficaci e cogenti, in piena attuazione dell’art. 49 della Costituzione, per far rientrare l’agire politico dei partiti nell’alveo costituzionale che richiede l’esercizio effettivo del diritto dei cittadini alla partecipazione attiva. In sostanza occorre superare il sistema del “militante” del partito inteso come cieca obbedienza e cieca fede politica per pervenire al sistema del “partecipante” col “metodo democratico”, il metodo fatto di comportamenti, ovvero di procedimenti rivolti a conoscere, discutere e deliberare.

 

2) L’ingerenza indebita dei partiti nelle Istituzioni

“Il governo costituzionale, e più ancora il governo parlamentare, quale oggi prevale agli altri in molte parti d’Europa e dell’America con varie forme, è sempre un governo di partito. Esso come ogni cosa umana ha pregi e difetti che gli sono inerenti, e per l’indole sua stessa inevitabili, quand’anche il partito che governa si tenga strettamente nella cerchia dell’azione politica. Ma ogni partito tende naturalmente ad uscirne e ad esercitare un’ingerenza indebita nella giustizia e nell’amministrazione, e ciò al fine di conservare e di estendere la sua propria potenza. Gli effetti che da questa indebita ingerenza derivano sono gravissimi, e producono perturbazione e iattura ai diritti e agli interessi dei cittadini che le istituzioni libere sarebbero invece destinate a tutelare.”

Queste parole, scritte da Marco Minghetti nel suo celebre libro del 1881 (I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione), rispecchiano una situazione che sembra simile alla situazione dei nostri giorni. 

I partiti di quell’epoca, nonostante i limiti e i difetti messi a fuoco dall’autorevole statista, avevano connotati riferibili ad una pluralità di scuole di pensiero politico. C’era un alto senso della disciplina e dell’onore dei singoli parlamentari, a qualunque parte politica appartenessero. Tutti gli esponenti dei partiti, compreso Minghetti, innanzi al trasformismo dimostrarono un grande impegno per la “riforma morale” dello Stato. In quel periodo storico, pur essendo presente un notabilato che non facilitava la partecipazione democratica peraltro penalizzata dall’assenza del suffragio universale, non esistevano partiti personali e padronali.

Nei nostri tempi stiamo attraversando una pericolosa fase storica che fa intravedere non solo l’invadenza dei partiti, ma l’assenza di ogni traccia dell’etica pubblica. È palese una “voglia” di appropriazione di tipo “feudale” delle pubbliche istituzioni. È una voglia che tende addirittura all’immedesimazione organica dei partiti nelle stesse istituzioni. Tra l’altro, c’è in sospeso il varo dell’ennesima legge elettorale dopo il decennio nero caratterizzato da tre leggi elettorali illiberali, il Porcellum l’Italicum e il Rosatellum. Sono leggi “congegnate” per permettere a quattro o a cinque capi partito di scegliere i componenti delle Camere. E c’è di più. Due delle tre leggi elettorali citate, il Porcellum e l’Italicum, sono state sottoposte al vaglio della Corte costituzionale e sono state dichiarate incostituzionali. Ciò, si noti bene, è avvenuto a seguito di ricorsi promossi da semplici cittadini che hanno agito non come esponenti di un partito o di una componente parlamentare.

Un sonoro schiaffo ai principi dell’etica pubblica è stato e continua ad essere lo spoil system all’italiana, introdotto sul finire del XX secolo per nominare ad libitum i vertici della pubblica amministrazione e per relegare l’alta burocrazia in un ruolo ancillare della politica. Sta di fatto che sono stati picconati i principi costituzionali riguardanti il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione e l’accesso mediante concorso agli impieghi nelle stesse pubbliche amministrazioni (art. 97). Altra picconata è stata inferta ai principi riguardanti lo specifico vincolo dei pubblici impiegati che “sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98). 

Significativa è stata la vicenda relativa allo sciagurato abbandono della prassi virtuosa di tenere separati gli incarichi di governo dagli incarichi di direzione dei partiti. Cominciò il Presidente del Consiglio De Mita. In seguito ci fu il turno di Craxi. Ad onor del vero c’è da dire che all’epoca dei Governi di De Mita e di Craxi l’abbandono della prassi dell’incompatibilità dei due ruoli, di capo partito e di capo del Governo, non suscitò grande scandalo perché all’interno dei due partiti c’erano correnti di pensiero e personalità autorevolissime che rendevano visibili elementi di dibattito e di democrazia interni ai rispettivi partiti.

Però la confusione dei ruoli di capo partito, una organizzazione di parte, e di capo del potere Esecutivo, un potere da esercitare nell’interesse della generalità dei cittadini, diede la stura alla “scuola di pensiero” secondo cui ci sarebbe la necessità di una “democrazia decidente”. Questa ineffabile locuzione, “democrazia decidente”, è la maschera sulla “voglia” di mettere in primissimo piano l’uomo solo al comando dappertutto: Sindaco, Governatore, premierato assoluto e finanche presidenzialismo all’italiana. Ciò in spregio della primaria funzione (di indirizzo e di controllo) degli organi collegiali rappresentativi del diritto alla partecipazione (Consiglio comunale, Consiglio regionale. Parlamento) e in spregio dei principi liberal-democratici concernenti la divisione dei poteri insegnati da Montesquieu. Sta di fatto che sono state messe in atto politiche e comportamenti che hanno determinato sia la crisi della “rappresentanza” e, quindi, delle assemblee elettive, che la crisi dei partiti. Queste due situazioni di crisi hanno un cammino comune e favoriscono l’avvento di un nuovo feudalesimo fatto da un notabilato ai livelli comunali, regionali e nazionali.

Abbiamo visto e sentito sconcertanti attacchi alle istituzioni come quelli in spregio del Parlamento definito “il luogo dove si parla e non si decide”. Gli stessi consigli comunali sono visti con fastidio dalla tendenza, ancora in atto, del “partito dei sindaci”, che da troppo tempo rivendica sempre più potere per il Sindaco. Ormai molti sindaci nemmeno partecipano alle riunioni del consiglio comunale. Ed è certo che il sindaco dei nostri tempi ha più potere di quanto non avessero i podestà di epoca fascista. Lo stesso fenomeno si registra a livello dei governatori regionali, che pretendono sempre più potere da gestire. E queste pretese vengono favorite, purtroppo, dalla sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione, una riforma che, di fatto, porta acqua al mulino della secessione rivendicata dal più antico partito presente in Parlamento.

Basterebbe esaminare l’evoluzione, nell’ultimo quarto di secolo, della normativa riguardante il “sistema dei controlli” interni ed esterni sull’operato dei sindaci e dei “governatori”, quest’ultima è la qualifica impropria dei Presidenti delle Regioni, per comprendere il come e il perché la gestione della cosa pubblica sia diventata una continua ricerca di mettere le mani sui palazzi del potere in termini proprietari. Altro che le indebite ingerenze prese in esame da Marco Minghetti nel 1881. Senza scomodare gli esperti di diritto pubblico, tutti noi sappiamo quanto si siano affievoliti e quanto siano inefficaci i controlli di natura amministrativa, di natura contabile e di natura politica, questi ultimi di competenza delle Assemblee elettive. In spregio all’etica della responsabilità, la responsabilità erariale è stata via via normata in modo da renderla quasi inapplicabile. Molti degli Organi consultivi sono stati ritenuti superflui e, quindi, o soppressi o inascoltati. Invece abbiamo visto crescere il conferimento di onerosi incarichi di consulenze ad estranei alla Pubblica Amministrazione. In carenza di sistemi stabilmente preordinati al controllo interno di legittimità degli atti e dei provvedimenti, è stata introdotta l’ineffabile figura dell’assessore alla legalità di nomina discrezionale da parte del Sindaco e del Governatore. 

Quanto al controllo di natura politica, si enfatizza la possibilità di consentire tale controllo episodicamente una volta ogni 5 anni e per un solo giorno, il giorno delle elezioni, ovvero il giorno del plebiscito per eleggere direttamente il sindaco e il governatore. E lo stesso si vorrebbe fare a livello nazionale, magari col presidenzialismo all’italiana altrimenti detto “il sindaco d’Italia”.

Nel quadro degli assetti, delle forzature, delle ingerenze e dei desiderata accennati per sommi capi, rientra la vicenda relativa all’inserimento nella scheda elettorale del nome del candidato premier. Un inserimento che, com’è noto, è incompatibile con il conferimento dell’incarico di competenza del Presidente della Repubblica.

Tutto ciò accade con un ricorrente attacco alla Costituzione, che viene considerata di ostacolo alla ineffabile “democrazia decidente”.

 

3) ll diritto alla partecipazione attiva

Il diritto alla partecipazione che coinvolga i cittadini, è l’idea del premio Nobel Wole Soyinka che avvertiva, fin dall’inizio del terzo millennio, la necessità di porre la partecipazione all’articolo 1 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e in tutti i primi articoli delle Costituzioni di tutti i Paesi del Pianeta. Giova ricordare in proposito quanto aveva affermato John Stuart Mill: “La libertà come principio, non si può mai applicare ad una società fatta di uomini che non abbiano ancora imparato a migliorarsi attraverso una discussione libera e alla pari. Fino ad allora, per loro non può esserci altro che una cieca obbedienza ad un Akbar o a un Carlo Magno, se sono abbastanza fortunati a trovarne uno.”

Sarebbe ora di affrontare le questioni della partecipazione con la piena consapevolezza che abbiamo in Italia una Costituzione, quella entrata in vigore nel 1948, lungimirante e certamente idonea ad indicarci la strada maestra per rendere effettiva la partecipazione attiva dei cittadini e per impedire le ingerenze indebite dei partiti nelle pubbliche istituzioni.

Sia nei “principi fondamentali” che nei “diritti e doveri dei cittadini” della prima parte della Costituzione, tutti compresi negli articoli da 1 a 54, ci sono molte indicazioni che direttamente o indirettamente ci parlano della partecipazione.

In particolare, l’art. 1 ci dice che “la sovranità appartiene al popolo” e l’art. 54 prevede l’adempimento delle funzioni pubbliche con disciplina e onore. L’art. 2 ci parla dei diritti inviolabili dell’individuo “sia come singolo e sia nelle formazioni sociali”. L’art. 3, comma secondo, menziona espressamente “l’effettiva partecipazione” e i diritti e i doveri correlati alla necessità di “rimuovere gli ostacoli di ordine sociale” che limitano di fatto “la libertà e l’eguaglianza”. L’art. 49 chiarisce la natura e il contenuto del diritto dei cittadini di associarsi “liberamente” in partiti per partecipare, o meglio, “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Il verbo “concorrere” che ha significato analogo a quello di “partecipare” è previsto come diritto dei cittadini a proposito della presenza dei partiti nel nostro ordinamento costituzionale.

L’art. 49 è chiarissimo anche a proposito del pluralismo dei partiti e dell’impossibilità che un partito possa immedesimarsi nello Stato o possa diventare partito unico come avvenne durante il fascismo: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti”. E la norma costituzionale ci dice che la questione dei partiti è fondata sul diritto soggettivo del cittadino di partecipazione attiva. 

L’avverbio “liberamente” posto a base della libera volontà di aderire ad una associazione, è il medesimo indicato nell’art. 18 sul diritto di associazione, un diritto che ha solamente tre divieti: contrasto alla legge penale, associazioni segrete, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Art. 18 e art. 49 prevedono entrambi due diritti fondamentali caratterizzanti la convivenza democratica in un regime di libertà individuale e di libertà delle associazioni. Sono diritti riguardanti sia l’individuo singolarmente considerato e sia, con pari dignità, l’associazione di cittadini. Una pari dignità che, in genere, viene cancellata nei regimi autoritari e che, infatti, fu cancellata dal fascismo. La nostra Costituzione la prevede nel sopra citato art. 2 declinando il “dovere” della Repubblica che “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Il diritto di associazione di cui all’art. 49 che fa menzione espressa dei partiti ha, ovviamente, oltre ai divieti di cui all’art. 18, il divieto di cui alle XII disposizioni transitorie e finali della Costituzione a proposito del divieto di “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. La locuzione “sotto qualsiasi forma” dovrebbe avere molto rilievo in Italia dove la Costituzione, certamente democratica e liberale, è stata e continua ad essere continuamente sotto attacco soprattutto per scardinare il principio della divisione dei poteri e per introdurre forme di premierato assoluto, o dell’uomo solo al comando, o del “presidenzialismo all’italiana”, o del “sindaco d’Italia”.

Il diritto (di associarsi liberamente in partiti) di cui all’art. 49 della Costituzione fa parte del Titolo quarto sui “Rapporti politici” della Parte Prima della Costituzione dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”.

Peraltro, tutti i 7 articoli del Titolo quarto, dall’art. 48 (diritto di voto, personale, libero, eguale e segreto) all’art 54 (doveri da adempiere con disciplina ed onore) sono diritti e doveri del cittadino che comportano speciali obblighi (e responsabilità) in capo alle entità (partiti, pubbliche istituzioni, etc.) nelle quali tali diritti (dei cittadini) vengano esercitati.

Gli altri soggetti coinvolti nei 7 articoli del Titolo quarto sono destinatari di vincoli e di obblighi che la Costituzione indica avendo comunque al centro e come presupposto il diritto (o il dovere) dell’individuo. Così, per fare qualche esempio, a fronte del dovere di tutti i cittadini di “concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, c’è il vincolo (per le istituzioni) secondo cui “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Altro esempio si può fare a proposito dell’art. 51 che prevede l’obbligo per la Repubblica a promuovere “con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

L’art. 49 della Costituzione, non pone direttamente in capo ai partiti il diritto di “partecipazione” alla determinazione della politica nazionale. Sono i cittadini i titolari del diritto. E i partiti sono previsti, in termini strumentali, per l’esercizio del diritto di partecipazione posto in capo ai cittadini. E c’è di più. C’è un vincolo preciso alle modalità della partecipazione nei suoi riflessi interni ed esterni dei partiti: il “metodo democratico” che è, quindi, elemento costitutivo e di legittimazione dell’associazione chiamata partito. L’esistenza di un partito unico è uno dei connotati dei regimi autoritari, mentre il pluralismo dei partiti attiene agli aspetti esterni del metodo democratico. Ma per quanto attiene agli aspetti interni al partito, il metodo democratico comporta regole che abbiano natura e contenuto di sicura democraticità. Pertanto non può certamente essere considerato conforme alla Costituzione, con tutto ciò che ne consegue, un partito personale o padronale oppure un partito organizzato come un Consiglio di Amministrazione di una società per azioni. Queste ultime, come si sa, sono regolate da norme di natura privatistica e i loro “metodi” decisionali sono subordinati a meri interessi della proprietà ricadenti nel regime del diritto privato. D’altronde, i cittadini che si associano in partiti hanno diritti di partecipazione attiva totalmente differenti dai soci di una società per azioni. Nelle società per azioni si partecipa alle perdite e ai profitti di natura economica della singola associazione e del singolo associato. È una partecipazione quasi totalmente passiva (salvo il diritto di partecipazione alle assemblee societarie) in attesa degli utili sul denaro investito. Nei partiti si partecipa di persona col proprio impegno e con la propria credibilità messi in gioco per la buona convivenza di tutti i cittadini nell’intero Paese e, per alcuni temi come l’ambiente o la pubblica sanità, per la buona convivenza nell’intero Pianeta.

Il “metodo democratico” pone paletti che consentono di riconoscere i confini nell’ambito dei quali possano agire legittimamente i partiti, che sono soggetti alle disposizioni costituzionali poste a presidio di diritti e doveri definiti nel Titolo IV (“Rapporti politici”).

Durante la prima Repubblica il “metodo democratico” interno ai partiti era di solare evidenza perché c’erano in vita organizzazioni politiche che erano diffuse sul territorio ed erano animate da pensiero politico che veniva posto a confronto in puntuali congressi. All’esterno del partito c’era un pluralismo di partiti ricchi di storia e di pensiero politico.

Del tutto differente è la situazione caratterizzata dalla presenza di partiti personali e padronali che sono, per loro natura, lontani dal “metodo democratico”. Infatti questi ultimi partiti sono visibilmente gestiti col metodo della cooptazione e del decisionismo del capo. Alcuni addirittura portano il cognome del capo del partito. Innanzi ad un partito che porti nel nome e nel simbolo il cognome del proprio capo viene immediatamente da pensare che si tratti di una formazione politica legata al culto della personalità e dei pieni poteri del capo carismatico. Non viene certamente in mente il culto e la cultura del metodo democratico. E il culto della personalità, eufemisticamente definito “leaderismo” nei nostri tempi, è sempre foriero di disastri come quelli che abbiamo visto durante il secolo scorso.

Quanto all’ingerenza indebita dei partiti, è da sottolineare che lo spoil system all’italiana, introdotto sul finire del XX secolo per nominare ad libitum i vertici della pubblica amministrazione, è stato e continua ad essere un vero disastro. Infatti sono stati picconati i principi costituzionali riguardanti il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, nonché l’accesso mediante concorso agli impieghi nelle stesse pubbliche amministrazioni (art. 97). Altra picconata è stata inferta ai principi riguardanti lo specifico vincolo dei pubblici impiegati che “sono al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98). Infatti, i vertici della pubblica amministrazione, reclutati per la loro fedeltà ai partiti, vengono relegati in un ruolo ancillare di chi abbia effettuato la loro nomina. Con ciò diventano, nel contempo, i parafulmini delle incapacità e delle inefficienze della politica a farsi carico delle proprie responsabilità.

4) Alcuni connotati del metodo democratico già presenti nel diritto positivo

Pur in assenza di una legge attuativa dell’art. 49 della Costituzione, il “bisogno” di giustificare per legge il finanziamento dei partiti ha indotto il legislatore a definire alcuni punti di riferimento del metodo democratico e, in particolare, alcuni “requisiti di trasparenza e democraticità” e alcuni connotati della democrazia interna e dei controlli.

Basta scorrere alcuni articoli della normativa vigente per rendersi conto che il contenuto e la natura di quei requisiti e di quei connotati sono scarsamente osservati da molti partiti, specialmente quelli personali e padronali. 

Purtroppo non ci sono conseguenze rilevanti in capo ai partiti per le loro “devianze” e per le loro “invadenze”. Ma è importante leggere alcune indicazioni che possono mettere a nudo alcuni comportamenti omissivi o commissivi di partiti poveri di pensiero politico, ma ricchissimi di immense risorse finanziarie finalizzate alla mera occupazione dei palazzi del potere.

I partiti politici che intendano avvalersi dei benefici previsti dalla legge sono tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico “nel rispetto della Costituzione e dell’ordinamento dell’Unione europea”. E nello statuto vanno previsti:

“a) il numero, la composizione e le attribuzioni degli organi deliberativi, esecutivi e di controllo, le modalità della loro elezione e la durata dei relativi incarichi, nonché l’organo o comunque il soggetto investito della rappresentanza legale;

  1. b) la cadenza delle assemblee congressuali nazionali o generali;
  2. c) le procedure richieste per l’approvazione degli atti che impegnano il partito;
  3. d) i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia; le modalità di partecipazione degli iscritti all’attività del partito; 
  4. e) i criteri con i quali è promossa la presenza delle minoranze, ove presenti, negli organi collegiali non esecutivi; 
  5. f) le modalità per promuovere, attraverso azioni positive, l’obiettivo della parità tra i sessi negli organismi collegiali e per le cariche elettive, in attuazione dell’art. 51 della Costituzione; 
  6. g) le procedure relative ai casi di scioglimento, chiusura, sospensione e commissariamento delle eventuali articolazioni territoriali del partito;
  7. h) i criteri con i quali sono assicurate le risorse alle eventuali articolazioni territoriali;
  8. i) le misure disciplinari che possono essere adottate nei confronti degli iscritti, gli organi competenti ad assumerle e le procedure di ricorso previste, assicurando il diritto alla difesa e il rispetto del principio del contraddittorio;
  9. l) le modalità di selezione delle candidature per le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, del Parlamento nazionale, dei consigli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e dei consigli comunali, nonché per le cariche di sindaco e di presidente di regione e di provincia autonoma; 
  10. m) le procedure per modificare lo statuto, il simbolo e la denominazione del partito; 
  11. n) l’organo responsabile della gestione economico-finanziaria e patrimoniale e della fissazione dei relativi criteri; 
  12. o) l’organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio;

o bis) le regole che assicurano la trasparenza, con particolare riferimento alla gestione economico-finanziaria, nonché il rispetto della vita privata e la protezione dei dati personali. 

Si può fare a meno di riportare tutta la casistica concernente l’incasso, la rendicontazione e i controlli per del denaro destinato ai partiti. Ma è da porre in rilievo che le sanzioni pecuniarie previste in casi di inadempimenti da parte dei partiti sono fin troppo blande. D’altronde, la normativa resta claudicante perché cammina con la sola gamba dei finanziamenti e non sono previste garanzie specifiche e cogenti per le questioni attinenti al metodo democratico ovvero per gli aspetti relativi all’esercizio del diritto alla partecipazione attiva dei cittadini.

Questi piccoli passi per regolare i partiti al loro interno non sono, ovviamente, la vera e propria attuazione dell’art. 49. In Italia il metodo democratico viene sacrificato sull’altare dell’autoreferenzialità e del “qualunquismo di giornata” dei capi carismatici e delle oligarchie. L’autoreferenzialità è una malintesa idea della libertà, perché senza regole certe e affidabili si riducono gli spazi di libertà dei cittadini che hanno il diritto di liberamente e laicamente aderire ad una formazione politica non per mero atto di fede.

Una provocazione

Le  culture  politiche  convergenti e  da  ridefinire  

Alle blasfemie e alle sparate provocatorie, Matteo Salvini ci ha ormai abituati. Basta che abbia una telecamera davanti. E basti ricordare quel giuramento di Milano sul Vangelo , e quel comizio di Siracusa col Rosario in mano. Ora se ne esce dicendo che la Lega è l’erede dei valori di Berlinguer. Boh ! Diciamo pure, però, che se guarda solo ai voti e alle classi sociali che votano Lega, un poco di ragione c’è l’ha: il 50%  circa dei suoi elettori è composto  da operai e lavoratori autonomi. Un dato che conferma la vecchia  previsione di D’Alema sulla Lega come “costola del movimento operaio” . Questa sua paradossale uscita mi ha però sollecitato una riflessione e una convinzione. La riflessione è quasi scontata e riguarda  il rimescolamento delle identità dei partiti italiani, con la crisi delle differenze fra le culture politiche storiche provocata  dalle profonde trasformazioni in corso.  Si giustifica con un dato molto semplice legato ai cambiamenti strutturali, antropologici, sociali, economici e culturali, che viviamo.

E che, dopo,  tutti insieme si riversano inevitabilmente sul  politico. Partiti  che da solidi sono ormai diventati liquidi e mutevoli nell’offerta. Rivolti a pezzi di società variabili e una volta rigidamente schierati nelle appartenenze. La convinzione riguarda invece  le risposte da dare a una tale crisi delle identità, che non possono essere tanto  diverse l’una dall’altra. A  misura cioè di singolo partito politico,  di singolo elettorato , di singolo leader di partito.   Come è noto,  il dibattito su Sinistra, Centro e Destra, compresi i luoghi geometrici intermedi, non è nuovo. Ed è già pieno di una interessante bibliografia. E’ compito  dei filosofi della politica, discutere e individuare i grandi principi fondanti e i grandi valori  della democrazia  e del vivere civile  che ci attendono. Il fatto nuovo è, che di fronte ad una concentrata ed unica sfida globale –  il mercato, i profitti, la finanza , la crescita a prescindere dalla distribuzione, le migrazioni, ecc.  –  questi valori pur mantenendo le caratteristiche che si sono affermate da Pericle in poi, non possono essere molto diversificati.  Diventando necessario concentrare e unire le risposte ai mutamenti epocali, con   soluzioni il più possibile univoche e unitarie. Saranno però proprio questi valori che ci permetteranno di prendere le distanze dalle ultime ideologie, dalle scorciatoie, dalle illusioni, e dai populismi. E sarà il realismo politico che potrà accorciare le distanze tra i partiti,  avvicinando i loro  obiettivi sociali ed etici , i traguardi da raggiungere.                     

Le  tante  sfide  già sotto i nostri occchi.                                                                     

Le sfide del futuro appartengono in parte già al passato. E sono sotto i nostri occhi da un poco di tempo.  Sono tante  e diverse . Ma sono novità assolute nella storia dell’uomo. Proprio per questo è da ritenere che basti un poco di buon senso per dire che le risposte da dare non possono essere altrettanto tante e diverse.  Si pensi al clima e ai ghiacciai che spariscono. All’acqua dei mari che si  alza. All’equilibrio ecologico  del pianeta , e all’energia rinnovabile.  Alla biodiversità e al cambiamento climatico. Alle foreste amazzoniche. E soprattutto alle  povertà in drammatico aumento con 400 milioni circa di poveri concentrati nell’Africa Subsahariana, e pronti a scappare dalla fame e dalle guerre. Si pensi ai big data, agli algoritmi che dettano i ritmi alla nostra vita sociale. A cosa sarà il lavoro tra una decina di anni.  All’intelligenza artificiale e alla robotica che smantelleranno il mondo lavorativo che conosciamo.  Allo smart working che ci accompagnerà oltre la pandemia. Al mondo digitale delle poche aziende globali che lo gestiscono. Ai “Treni proiettile”  magnetici giapponesi che corrono a 600 Km l’ora.  A Marte che ci attende. E si pensi alla nuova economia globale in pieno sviluppo e nelle (poche) mani di un capitalismo finanziario e digitale che chiede uno Stato minimo. Se non assente. Eh.. insomma,ne abbiamo di sfide. Una serie di sfide incredibili che sono vere e proprie  rivoluzioni delle  nostre conoscenze, ma che  conducono a vere e proprie rivoluzioni  delle nostre strutture sociali, economiche,  culturali, e dunque politiche. Verso cui bisognerebbe concentrare e  far convergere  risposte e soluzioni univoche .

Con una sola avvertenza a scanso di equivoci. E cioè che questo urgente lavoro unitario , deve far capo alla testa e non alle pancia. Accorciando distanze , sì.  Ma evitando nello stesso tempo di cadere nelle trappole – pericolose –  del pensiero unico e del partito unico,  dove si livella ogni dibattito, e si fa morire il sacrosanto diritto alla libertà di associarsi e di dissentire.  E’ stata la mistica Simon Weill ad avvertirci molti anni fa di questo pericolo. Quando ha ragionato sulla morte del partito politico quando si riduceva ad una sola dimensione. Per questo, pur di fronte a problemi epocali che chiedono risposte coraggiose non dissimili,  bisogna continuare ad aver fiducia nel pluralismo. Legittimando i corpi intermedi , specie quelli che partono dal basso . Riconfermando senza discussioni il  ruolo insostituibile del Parlamento : silenzioso durante il Corona virus !  Rispettando i municipi con i loro  problemi reali locali. Delegando poteri  e  sovranità a quella Europa unita indicataci dai padri fondatori.  Applicando quel benedetto principio di  sussidiarietà, ma evitando  per favore di evocare fascismi quando si necessita di utili e necessarie decisioni centrali nelle mani del Governo. Tutto questo a  patto che sia un  pluralismo vero. Non quello finto  venduto come vero.  Un pluralismo sostanziale, insomma. Non quello artefatto per accontentare i tanti partiti personali oggi a misura di solitari leader. O  quello favorito e incentivato soltanto dalle leggi proporzionali che conducono ad un pluralismo politico formale, che,  nella prospettiva dei cambiamenti spesso si riduce a ripetute fotocopie di partiti  e programmi, ad eccezione di qualche virgola.                                     

Il momento storico
Salvini con sua beata incoscienza mi ha però fatto pensare anche alla politica del  particolare  momento storico che viviamo. Con l’ importanza della presenza di uno Stato , pandemia o meno, che deve continuare a fare  la sua irrinunciabile parte reagendo a quel neoliberismo modello laissez faire .

Del  meno Stato e più  privato. E così spiazzando quei diversi studiosi e  editorialisti  innamorati del libero mercato  come  unica e sola possibilità di sopravvivenza civile, che hanno sempre snobbato Keynes. Un momento storico che deve essere però tolto dalle mani dei tanti che confondono il bene comune col bene particolare, il  bene di tutti col bene di una sola parte.   E tutto questo  mentre l’economia si incammina verso lidi sconosciuti e le società  necessitano di urgenti analisi sui cambiamenti strutturali e le sfide incredibili che essi  ci riservano.  Sotto questo aspetto, e sapendo delle difficoltà, ritengo che lo smussamento delle differenze e l’avvicinamento delle risposte politiche e partitiche sul futuro già presente, debba essere precipuo  compito della ragione più che della passione. Più della scienza politica che della scienza populista con i suoi canoni depositati nel mondo dei media, dei social e dei selfie. Un  compito nuovo ma arduo nello stesso tempo. Capisco. Che  ha poco da fare con la cattura del consenso politico-partitico.  Ma  capace di leggere un capitalismo ormai concentrato nelle mani della sola finanza e lontano dai controlli democratici,  che crea quelle diseguaglianze e povertà di portata mondiale, e  con un mercato azionario pilotato da solo da quell’1% di super ricchi  che detta le leggi alla democrazia, esercitando un potere extrapolitico  su cui sorvolano anche i liberisti.

Gli interrogativi
Ci sono risposte diverse da dare per questi problemi? E , per caso,  una  destra  sociale,  una volta che indirizza il suo sguardo verso la società anziché verso le sue idee,  riesce veramente a essere diversa da una sinistra sociale?
Esiste dunque qualche  possibilità per ridurre le differenze, soprattutto quelle tardo ideologiche, concentrandoci tutti, a destra, al centro e a sinistra, sulle sfide che ci attendono ? Esiste questa volontà ? O invece dobbiamo creare differenze fittizie per proseguire allegramente su quelle partitiche storiche, sulle cui distinzioni  occorre una totale ritaratura perché di destra e  sinistra, come le abbiamo sempre intese, non hanno più niente ?   Esiste la possibilità di conciliare il sacrosanto diritto costituzionale di concorrere alle elezioni politiche e di essere presenti, evitando però la proliferazione inutile dei partiti,  quando ormai se ne contano 54 registrati,  18  in Parlamento , e 9 fuori dal Parlamento  che arrivano a 26 se si tiene conto dei gruppi parlamentari, delle liste per l’Europa e di quelle nazionali locali ?
Ho cari amici che la pensano in modo diverso. Ma se la mia chiacchierata porta al bipolarismo e al bipartitismo, devo ammettere che  ciò non mi scandalizza per niente. E, guardando al futuro, è anzi un mio auspicio che trascura anche le
Terze Vie  fallimentari. Non concede però nulla ai populismi che guardano alle c.d. caste e alla classe politica, indispensabili ieri come oggi . Quelli cioè  del… né destra né sinistra ! Perché rimane sul tappeto e in bella evidenza l’eguaglianza. Quella tanto cara a Norberto Bobbio che ci deve fare luce. Accompagnandola con i  diritti dell’uomo, la giustizia e la carità, e possibilmente con l’utopia di Bergoglio sul Salario Universale. .
Il dibattito su Sinistra, Centro e Destra
Quando era già partito un processo spontaneo di ridefinizione, è  stato Marco Revelli  a interrogarsi, circa 30 anni, fa sull’ “Identità smarrita”  di Sinistra e Destra” . Facendo seguire questa sua riflessione da un lavoro provocatorio e ancora più chiaro sin dal suo titolo: Finale di partito. Nel quale  –  scontando la scomparsa del vecchio partito di massa trasformato in comitato elettorale nelle mani di un leader in diretto rapporto con gli elettori per dare così ragione a Bernard Manin e alla sua  “Democrazia del pubblico” ,   e  con gli occhi rivolti a quella  “Postdemocrazia”   denunciata da Colin Crouch  caratterizzata dall’enorme e incontrollabile potere delle lobby economiche e dei mass media  –  sono proprio le identità di  sinistra, destra e…centro,   ad essere messe sotto osservazione. Sono anche gli anni in cui Pietro Scoppola ragiona su quella Repubblica dei partiti  che ha  frenato l’avvento di una democrazia compiuta.  Soffermandosi sulle ragioni storiche del centrismo, e  lanciando velati avvertimenti sulle èlite interne ai partiti, premessa alla loro crisi di identità, ai  giorni nostri matura. Subito dopo arriva il lavoro di Norberto Bobbio su  Sinistra e Destra ,  indicata come alternativa tra i fautori dell’uguaglianza e i sostenitori della diseguaglianza. Una distinzione utile, feconda e lungimirante che ha avviato un dibattito ancora in corso.  Ripreso recentemente anche da  Civiltà Cattolica con l’articolo di Francesco Ochetta del Maggio 2018 : “Destra , Sinistra e le nuove appartenenze della politica”  che  si interrogava su cosa potesse sostituire queste ormai vecchie categorie politiche. Mentre nei riguardi del Centro, tutta la storia politica italiana si rivolge non solo a dove si stava seduti negli emicicli parlamentari, ma anche al centrismo storico della vecchia Dc. Spesso definito moderato e cattolico. Un centrismo in quegli anni  giustificato da una “Politica di centro…necessaria per l’Italia post-fascista,  portando al superamento dell’antifascismo e alla convinzione che il partito comunista di Togliatti sarebbe , prima o poi, diventato democratico” . Cosi la filosofa Lorella Cedroni, introduceva   un bel  libriccino di Reset edito nel 1995: “Centrismo vocazione o condanna ?”,   che è consigliabile leggere per le considerazioni ancora attuali  sul centrismo  e sul centro politico. Su quei ceti medi moderati e su quella borghesia,  oggi scomparsi dalla scena sociale e culturale, e sulla mediazione, in quei tempi indispensabile. Il tema riguarda il  dialogo  “…a distanza”  tra il cattolico Augusto Del Noce  e Norberto Bobbio, che si dichiarava ateo ma che sosteneva ad alta voce  di ignorare  la definizione di ateo. E le considerazioni sono forse utili per capire l’importanza del superamento del centrismo e del centro politico storici, tornati oggi d’attualità grazie alla legge proporzionale, pensando che da sola possa creare una domanda sociale  e definire una identità cultural-politica. Con qualche fuga in avanti sul popolo cattolico e moderato che in tempi di secolarizzazione dovrebbe rappresentarne la base sociale, e  che alcuni miei stimati amici assieme alle loro associazioni vedono con molto ottimismo.  Non sono più i tempi di Del Noce e  Bobbio. Con il  centrismo di quegli alle spalle di una Chiesa cattolica, spaventata e timorosa dell’ateismo marxista e della Cortina di ferro. Giustificato  e forse necessario  negli anni del secondo dopoguerra, a causa della   nota situazione internazionale, e se vogliamo anche nazionale, che ha caratterizzato le identità  partitiche di quel tempo storico, mentre Aldo Moro si scaldava i muscoli e osservava. Ma senza elaborare una qualche originale filosofia politica… di centro, inesistente allora come oggi, se non quella sorretta dalla Guerra fredda. Con una identità  “innervata solo in alcuni valori cristiani tradizionali da difendere”,  oggi a secolarizzazione avanzata impossibile. Non fa male alla chiacchierata  ricordare che la Dc , partito di Centro, se non di centrodestra, è stata sin d’allora protagonista di riforme economiche e sociali di netto sapore di sinistra .
Prime conclusioni.
Devo riconoscere  che  dietro queste mie divagazioni,  ci sono anche le allegre provocazioni  di  Giorgio Gaber. Ma che sicuramente non ci sono, lo ripeto,  le intenzioni populiste di Beppe Grillo del né… né. Nonché di tutti i populismi esistenti che alzano la  bandiera dell’anticasta e della post destra e della post sinistra senza chiarire.  Poiché  è alla razionalità politica che ci si deve rivolgere, e non alla passionalità. Alla testa e non alla pancia.  Alla fine capisco di trascinarmi l’ironia del mio vecchio parroco . Che pochi mesi  dopo il successo elettorale del M5s, mi ha frettolosamente avvertito che “…il centro elettorale della vecchia Dc, compreso quello della sua bella (sic!) sinistra interna, è stato occupato da Grillo … e che oggi non essendoci più il Pci,  è il Pd il  nuovo partito politico di centro, …perché la sinistra, la destra e lo stesso vecchio centro  sono morti” .
Mi tocca infine ricordare , a scanso di equivoci, che se abbiamo ancora bisogno delle distinzioni geometriche orizzontali , e se  abbiamo la voglia di mantenere una  Sinistra, un Centro e una Destra, ebbene dobbiamo  avere il coraggio di dire a chiare lettere che esse indicano, e devono indicare, altre , ma altre cose. Anche se, come ho cercato di chiarire, non  tanto  diverse rispetto alle sfide del  postmoderno. Il che significa che se  vogliamo mantenere queste distinzioni, ponendoci con auspicabili atteggiamenti razionali  di fronte alle incognite,  le  soluzioni vanno trovate rimanendo insieme il più possibile.
Poiché non è più il proprio elettorato che va difeso.
Ma la società e il mondo in cui viviamo nel loro insieme.   

‘Ndrangheta, dalla frutta ai bar affari da 24,5 mld

Dal controllo sui bar, ristoranti e negozi di frutta e verdura fino al furto dei raccolti come l’uva, il volume d’affari delle agromafie è salito a 24,5 miliardi di euro con attività che riguardano l’intera filiera del cibo, approfittando anche della crisi causata dall’emergenza coronavirus.

L’agroalimentare per Coldiretti è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi economica perché  consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione le agromafie impongono la vendita di determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della mancanza di liquidità, arrivano a rilevare direttamente grazie  alle disponibilità di capitali ottenuti con il commercio della droga. Un fenomeno che minaccia di aggravarsi ulteriormente per gli effetti della pandemia che potrebbe spingere le imprese a rischio a ricorrere all’usura per trovare i finanziamenti necessari.

In questo modo la malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

Ma è drammatico anche il moltiplicarsi delle razzie nei campi, per un bottino stimato in 300 milioni di euro all’anno che finisce sul mercato nero ed alimenta i canali dell’abusivismo e dell’illegalità, come nel caso della banda specializzata in furti d’uva sgominata da carabinieri della stazione di Licodia Eubea e del Nucleo radiomobile della compagnia di Caltagirone.

Non si tratta più solo di semplici “ladri di polli” quanto spesso di veri criminali, che mettono a segno raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole. La paura dilaga nei campi dove ci si sta organizzando con ronde e servizi di vigilanza notturni  ma con il ripetersi di questi fenomeni molti imprenditori si stanno scoraggiando e addirittura non denunciano più le razzie.

Autotrasporto, ok del Parlamento europeo al pacchetto Mobilità

“L’approvazione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo del pacchetto Mobilità rappresenta un successo per l’Unione europea e anche per l’Italia, che ha visto accolte le priorità rappresentate nel corso del negoziato durato tre anni: certezza delle norme, loro controllabilità, strumenti di controllo, tutela delle condizioni dei lavoratori, criteri certi per le condizioni di accesso al mercato e alla professione, regolamentazione delle attività di cabotaggio”. Questo il commento del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti De Micheli al via libera da parte del Pe alla riforma del settore del trasporto su strada.

“Si tratta di una vera e propria riforma del settore dell’autotrasporto in Europa, – soiega il Ministro – che stabilisce norme chiare sulle condizioni di accesso al mercato e alla professione nel settore dell’autotrasporto, sui tempi di guida e di riposo ed in generale sulle condizioni di lavoro degli addetti del settore e sull’uso dei dispositivi per il controllo delle prestazioni di lavoro. Norme che non si prestano ad interpretazioni che consentano la loro circonvenzione e che assicurano parità di condizioni alle imprese dell’autotrasporto.

Il Parlamento europeo ha adottato, dunque, un’importante riforma nel settore del trasporto su strada, grazie al via libera – senza modifica – da parte degli eurodeputati ai tre atti normativi adottati dai ministri Ue ad aprile. L’accordo politico con il Consiglio era stato raggiunto nel dicembre 2019. Per porre fine alle distorsioni della concorrenza nel settore del trasporto su strada e garantire migliori condizioni di riposo per i conducenti, sono state rivedute le norme sul distacco dei conducenti, i tempi di guida e i periodi di riposo dei conducenti ed è stata prevista un’applicazione più rigorosa delle norme sul cabotaggio (il trasporto di merci effettuato a titolo temporaneo da trasportatori non residenti in uno Stato membro ospitante). Inoltre sono previste una concorrenza più equa e la lotta alle pratiche illegali. I tachigrafi dei veicoli saranno utilizzati per registrare i passaggi di frontiera al fine di contrastare le frodi. Per evitare il cabotaggio sistematico, è previsto un periodo di incompatibilità di quattro giorni prima che si possano effettuare ulteriori operazioni di cabotaggio all’interno dello stesso paese con lo stesso veicolo.

Un video dai ricercatori dell’Iss per un’estate in sicurezza

Vivere pienamente l’estate senza trascurare le regole per non tornare indietro. È questo il messaggio con cui i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità si rivolgono ai cittadini, e soprattutto ai giovani, ricordando in un video le precauzioni essenziali per contrastare il virus senza farci rinunciare alla convivialità dell’estate e che ci permettono di trascorrere le vacanze in sicurezza.

A ricordare le regole a nome di tutto l’ISS sono: Flavia Riccardo, epidemiologa del Dipartimento Malattie Infettive dell’ISS, Alberto Mateo Urdiales, ricercatore presso lo stesso Dipartimento, Maria Luisa Scattoni, responsabile dell’Osservatorio Nazionale Autismo dell’ISS.

Paolo Cabras: la sua Dc era quella di Moro e Zaccagnini.

.Pubblichiamo il testo della commemorazione tenuta dal figlio dello storico dirigente della Dc, Paolo Cabras, la mattina di sabato scorso 4 luglio nella circostanza delle esequie, svoltesi alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.

 Papà era un uomo di parte, convinto delle sue idee, determinato e non disposto a facili compromessi.

Per lui la politica è stata, più che una scelta, la scoperta di una vocazione maturata all’università. Una passione alla quale non ha esitato a sacrificare una promettente carriera di medico tra le lacrime di mia nonna. Quando decise che il suo futuro sarebbe stato la politica, virò su medicina legale per guadagnarsi da vivere, ma i suoi orizzonti erano oramai altri. 

Era consapevole di come in politica fossero fondamentali il confronto e la mediazione, senza però mai rinunciare a porre al primo posto la coerenza con i suoi principi e la sua concezione dell’impegno politico. A questo si devono i suoi cambi di corrente nella democrazia cristiana, a volte dolorosi, e per i quali pagò inevitabilmente un prezzo. Rimase sempre fedele alla sua visione di un grande partito popolare, in grado di rappresentare anche i ceti deboli e di fare concorrenza, su quel terreno, alla sinistra socialista e comunista.

Nutriva stima e considerazione per molti suoi colleghi ma non nascondeva la negatività dei suoi giudizi nei confronti di altri. Sapeva riconoscere le ragioni e il valore di chi vantava una diversa appartenenza. 

La sua DC era quella di Moro e Zaccagnini che, come sappiamo, durò poco e finì tragicamente.

Divenne piuttosto noto come assessore del comune di Roma all’edilizia, quando erano ancora molte le famiglie costrette in alloggi fatiscenti. Alle elementari scrissi in un tema che mio padre era assessore alle baracche suscitando, comprensibilmente, l’ilarità dei miei compagni. 

Pur avendo avuto importanti incarichi di partito e avendo svolto un’intensa attività parlamentare, di potere ne ha sempre gestito poco.

Non ci ha mai chiesto di partecipare alla sua avventura politica ma fui io a chiedergli di poter assistere ad un congresso nazionale. Ero lì il giorno del suo intervento mentre un manipolo di compagni di partito, per farlo concludere, gli dava, con tono non propriamente gentile, del comunista e batteva vigorosamente le mani sul palco da dove stava parlando (senza riuscire a interromperlo). Aveva perso il congresso.  

È stato uomo di parte in politica ed è stato anche uomo di parte nella Chiesa. Rivendicava l’ispirazione cristiana in politica ma, fedele alla lezione di Luigi Sturzo, non ha mai preteso di fare politica in nome della Chiesa, né tantomeno in nome di Dio. Ha studiato all’istituto Massimo, dove mio nonno Mario insegnava, ed ha avuto sempre un solido legame con i gesuiti, personale e intellettuale. La sua Chiesa era quella di don Mazzolari, di don Milani, di Padre Balducci e di Padre Turoldo, la chiesa di papa Francesco, una Chiesa schierata con gli ultimi e che scorgeva nel Concilio Vaticano II i segni di una nuova primavera.

Non è un caso che a celebrare oggi sia un gesuita come padre Massimo Nevola, né il fatto che ci troviamo in questa bella basilica di Santa Maria in Trastevere. Qui infatti papà conobbe l’allora parroco, don Vincenzo Paglia, e con qualche fatica lo convinse a curare una rubrica su “Il popolo”, il quotidiano della democrazia cristiana di cui allora era direttore. Per superare le resistenze di don Vincenzo gli disse che non potevano solo criticare dall’esterno – si riferiva alla comunità di Sant’Egidio – ma che dovevano sporcarsi le mani se volevano cambiare davvero la democrazia cristiana. 

Per noi è stato sempre e soprattutto un padre con cui scherzare, giocare e godere di momenti di ineguagliabile felicità. Conosceva il dovere e la responsabilità, ma ricorderemo innanzitutto la sua gioia di stare, prima insieme a noi e alla mamma e poi anche con i nipoti, una gioia che non si è mai attenuata. Indimenticabili i suoi arrivi in montagna ad agosto inoltrato dove ci raggiungeva, noi bambini e la mamma, con regali per tutti: da quel momento cominciava la vacanza perfetta.

Non amava parlare di sé e per superare le distanze ricorreva spesso all’arma dell’ironia. Le vittime delle sue battute ed imitazioni erano soprattutto zii e cugini. A volte risultava troppo insistente e qualcuno dimostrava di non gradire. Io, col tempo, ho capito quanto fosse interessato all’umanità di chi incontrava di cui sapeva spesso cogliere ed evidenziare gli aspetti peculiari. In questo modo ci ha insegnato ad apprezzare e ad amare ancora di più – lui, appassionato di teatro e di cinema – la commedia umana della nostra grande famiglia.

Gli ultimi anni sono stati duri ma ci hanno anche regalato momenti di grande intimità. Fino a quando ha potuto ha mantenuto vivi i suoi interessi e le sue passioni. 

Ringrazio la mamma per quello che ha fatto e ringrazio tutti coloro che oggi hanno voluto rendergli l’estremo saluto.

 

Il reset pandemico

Ancora in questi giorni non sappiamo quanto potrà durare la pandemia e quali altre crisi, che speriamo non dovremo affrontare. Ma già ci siamo resi conto che queste difficoltà così intensamente vissute da tutte le persone, stanno generando una mentalità e coscienza più adatte a riordinare, nelle priorità, le necessità personali e comunitarie. Potrebbe definirsi un salutare reset, che però non abbiamo avuto nell’altra crisi, quella finanziaria di più di un decennio fa, che seppur gravida di interrogativi per la vita delle persone e per le prospettive della economia e della democrazia, non ha avuto quella capacita di coinvolgimento emotivo che costituisce quella energia capace di generare il motore per il cambiamento d’epoca.

Il lockdown già ha provocato un fulmineo cambio di passo già lo ha provocato nel costume, nelle relazioni tra persone e nel lavoro. Ma ci sono stati già segni molto profondi sopratutto per l’affermazione di nuovi paradigmi: il recupero da parte delle élites europee della consapevolezza della propria storia, della propria vocazione democratica, della importanza ruolo di continente unito per l’equilibrio del mondo. La reazione dell’EU nel far fronte alla emergenza sanitaria ed economica ne è una prima prova, ma ancora più forte, ha riguardato la progettazione ormai palese di livelli più intensi di motivazioni, per giungere finalmente ad un assetto più definito di Stato federale.

L’Europa è stata addormentata per tre quarti di secolo, avviluppata nei suoi nazionalismi ed opportunismi insensati, mentre altre aree regionali si sono affermate per la primazia nella economia, e nella guida dei processi politici e nella supremazia militare in ogni scacchiere internazionale. Nel tempo, contemporaneamente alla riduzione del protagonismo europeo, si sono man mano fatte avanti potenze asiatiche ed euro-asiatiche governate internamente da dittature o da democrazie ai primi passi, che fanno sorgere grandi dubbi per i destini futuri del mondo. Costoro negli ultimi anni sono diventati su più piani tanto aggressivi, da suscitare forti dubbi sulla probabilità di un loro interesse ad intorbidire le stesse acque europee sostenendo più o meno palesemente ‘l euroscetticismo’, per evitare lo sviluppo della UE, come grande concorrente economico e politico alla leadership del mondo.

Questo scenario, e la ritrovata consapevolezza di confermarsi eredi diretti dell’Umanesimo generatore del protagonismo delle persone per la determinazione del proprio destino nella vita comunitaria, sono state le spinte principali, a distanza della prima dichiarazione di Schuman per la comunità del carbone e dell’acciaio di 70 anni fa, di ripresa di disegni progettuali di grande portata.

Dunque un progetto che avrà conseguenze positive per i nostri popoli, ma anche per tanti altri, che sono molto lontani dai diritti democratici, civili e sociali, che proprio i filosofi del nostro continente indicarono come orizzonti fecondi di libertà e di benessere. Rifortificare quelle fondamenta, ha in senso di recuperare in Europa l’idea cardine che senza una filosofia di fondo quale bussola per organizzare la democrazia, si scivola facilmente nel populismo disgregatore; mentre per i popoli ancora senza libertà, una indicazione salda e sperimentata, che senza democrazia l’uomo degrada perdendo anche il senso della sua dignità e della sua storia.

Piero Bassetti: “Occorre portare il Paese unito e vitale sulla scena dell’Unione Europea”.

Sig. Presidente della Giunta, Sig. Presidente del Consiglio Regionale, signore e signori,

Devo dire che l’invito a concorrere a elaborare i primi 50 anni della nostra Regione mi ha fatto un grande piacere e onore. Quando 50 anni fa partimmo per attuare la Regione Lombardia, mai avrei immaginato che oggi sarei stato qui con voi a celebrarne, il primo mezzo secolo di attività. Mi sento quindi in dovere di ringraziare innanzitutto il Padre Eterno per avermi donato la lunga vita e la buona salute grazie a cui posso avere questa occasione. Ma soprattutto il Presidente e tutti voi, per il vostro invito. (Ringrazio anche i presidenti di Giunta o del vecchio Consiglio presenti).

Consentitemi in questa circostanza, indubbiamente una circostanza storica,  di potervi parlare non soltanto come testimone delle origini della nostra Regione, ma anche come qualcuno che vuole guardare ai Cinquant’anni trascorsi non solo per commemorarli ma anche per confrontarli con gli orizzonti che si aprono oggi alla Lombardia e perciò all’Italia. Non si riflette mai abbastanza sul fatto che le Regioni costituiscono forse la novità più radicale della Costituzione repubblicana del 1948, a parte ovviamente le statuizioni di principio e la proclamazione dei diritti e dei doveri dei cittadini.

Qui il discorso completo di Piero Bassetti per il 50esimo della Regione Lombardia

Anziana scippata mentre entra in Chiesa ai Gordiani

E’ accaduto tutto improvvisamente ieri pomeriggio alla Parrocchia di Santa Maria della Misericordia, al Prenestino, nel V° Municipio di Roma. Una signora, quasi ottantenne, aveva attraversato il cortile per entrare in Chiesa, e sulla porta d’ingresso è stata aggredita da due malviventi. Mentre uno l’ha strattonata e messo una mano sulla bocca intimandogli di non strillare, l’altro gli rubava l’orologio, il braccialetto e la collana. La signora si svincolava e i due si sono dati alla fuga, ma ha inseguito i due scippatori che si sono rifugiati nel Campo Nomadi di via dei Gordiani, che è confinante con la Parrocchia. Entrata con coraggio nel campo attrezzato del Comune di Roma, è stata soccorsa e assistita da una famiglia del campo, ma dei due ladri nessuna traccia. Dopo poco sono arrivati i Carabinieri, che hanno svolto i rilievi e gli accertamenti, ed è arrivata anche l’ambulanza che ha provveduto al primo soccorso della sfortunata parrocchiana. 

Oggi i Carabinieri sono tornati al Campo Nomadi per proseguire le indagini su questo triste episodio di malavita di periferia. Va ricordato che quest’anno la Parrocchia ha subito tre furti di notevole gravità, con danni valutati in molte decine di migliaia di euro. Sono stati rubati, tra l’altro, strumenti audio per il teatro, oltre 100 pannelli fotovoltaici dai tetti, panche e compressori. Tutti regolarmente denunciati. Questa ultima vicenda inqualificabile e incomprensibile, ha scosso profondamente la Comunità parrocchiale e i sacerdoti della Chiesa, perché il clima nel quartiere è diventato “molto pesante”, di fronte ai continui episodi di criminalità nel territorio.

Prepariamoci

Di una cosa possiamo essere certi, non ci sorprenderà più. Almeno questo è un vantaggio. Un vantaggio non da poco, soprattutto se ci si attiene alle regole e alle leggi stabilite. Come abbiamo visto, il virus si batte anche, se non soprattutto, con la cultura. La cultura del diritto, la cultura del buon ordine.

Chi ha invece inteso trascurare questo aspetto, si è trovato in gravi difficoltà. Cito solo un Paese tra tanti: gli Stati Uniti d’America. Ora, tra gli estremi dei comportamenti cinesi e il lassismo degli americani, meglio tenere un atteggiamento responsabile, che non sia né da regime poliziesco né da Paese lasciato in balia dei comportamenti individuali.

Siamo all’11 luglio e da due tre giorni, anche da noi, il virus ha leggermente rialzato la testa. Ancora tutto sotto controllo, però testimonia quanto sia ancora insidiosa la sua maligna presenza. Non è da escludere che a temperature autunnali possa nuovamente riprendersi una cattiva scena.

Fermo restando che proprio ieri il Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato che lo Stato di Emergenza sarà prolungato fino al 31 gennaio 2021. Altri sei mesi. La scienza è sempre in allarme. Dovremmo credere che la farmacologia tiri fuori il coniglio dal cappello e che un vaccino si possa applicare all’inizio del prossimo anno. Ma vaghiamo nel campo delle speranze.

L’economia e la sfera sociale saranno messe ancora sotto torchio. Anzi, nell’ambito della prima le ripercussioni negative busseranno alla porta a fine estate. Sul piano prettamente sociale dovremmo aver già abbondantemente acquisito le norme sostanziali del comportamento: MASSIMA ATTENZIONE, DISTANZE RISPETTATE, MASCHERINE DA INDOSSARE IN LUOGHI CHIUSI, IGIENE DELLE MANI E PRONTO INTERVENTO ALL’APPARIRE DEI PRIMI SINTOMI INFLUENZALI.

Questa, sarà la cassetta degli attrezzi comportamentali. Gli italiani hanno dimostrato, tranne qualche sporadico caso, di meritarsi un giudizio corposamente positivo. C’è da mettere sul piatto, però, anche una stanchezza spirituale. Abbiamo accumulato da inizio marzo, uno stress non da poco. Dobbiamo saper fronteggiare eventuali restrizioni che metteranno a dura prova ancora il nostro stile di vita.

La parte produttiva, in tutti i suoi settori, si è già equipaggiata per non essere più esclusa dalla propria funzione. Il corpo di un Paese importante come l’Italia, non potrebbe più tollerare chiusure improvvise di settori vitali per la ricchezza del Paese. Purtroppo, ci sarà da registrare anche una miriade di realtà non solo in affanno, ma pure in obbligo di chiusura. E tutto questo già ci fa allarmare, perché vi saranno grigie ripercussioni sul tessuto sociale, che richiederà sicuramente un ulteriore intervento di pratiche da welfare, al fine di attenuare le gravi difficoltà che purtroppo, per molti si stanno ormai, tristemente, profilando.

Per quello che si può, godiamoci il sole dell’estate, a chi è concesso, pure il mare o la montagna. Comunque sia, facciamoci una scorpacciata di luminosità. Ne avremo un gran bisogno quando il sole tenderà a piegarsi verso il basso nella sfera terreste.