A mezzogiorno di ieri, Carlo Casini ha recitato il suo Angelus in paradiso e mi piace immaginare che ad aprirgli la porta, come gli preconizzò Papa Francesco nel 2014, ci siano state tutte le creature per la cui vita aveva speso la sua. Il Papa per la verità disse che i bambini non nati l’avrebbero tirato in cielo.

Fiorentino di nascita, fu amico del più noto tra i fiorentini di adozione, Giorgio La Pira, il sindaco ‘santo’ di Firenze, con il quale condivise l’utopia di un nuovo umanesimo nella società della mercificazione e della sopraffazione dell’umano.

Carlo è stato un servitore della vita e la sua stagione umana si è incrociata fino a compenetrarsi con quella di altre grandi figure a cui fu legato da profondo affetto: Teresa di Calcutta, Jérôme Lejeune, Giovanni Paolo II, Elio Sgreccia. Insieme a loro Carlo Casini si trovò a fronteggiare, potendo solo arginarla, la marea montante dell’individualismo che travolgeva l’argine della solidarietà, l’ondata del relativismo etico a vantaggio degli istinti individuali, il declassamento della vita da dono a bene di consumo, il passaggio dall’etica della responsabilità al dogma dell’autodeterminazione, la sostituzione della lotta per i diritti umani (costitutivi e inalienabili) con la lotta per i diritti civili (riconosciuti dalla maggioranza che controlla la polis).

Giovane e brillante procuratore, ben prima di dedicarsi alla politica, si trovò proiettato di colpo nell’agone politico, imbattendosi a gennaio 1975 nella fabbrica fiorentina degli aborti del Dr. Canciani e di Adele Faccio. Poi, in un crescendo rossiniano, ci fu la sentenza del febbraio 1975 della corte costituzionale che ammetteva l’aborto “in caso di danno grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile”, ci furono nel 1976 i “mostri” inesistenti della diossina di Seveso, ci fu la legge 194/1978, che reca nel titolo la “tutela” della maternità, ma che ha garantito l’aborto on demand e impedito di tutelare la maternità trasformandola in un tabù.

Carlo Casini, rispose a tutto questo con lo studio, con l’animazione sociale e con l’azione politica. Da ex magistrato inventò nei fatti in Italia il bio-diritto, per dare fondamento giuridico e scientifico alla difesa della vita, fu tra i più attivi nel referendum abrogativo del 1981 della legge sull’aborto, lanciò, con l’aiuto della Chiesa, poderose raccolte di firme per leggi di iniziativa popolare, per petizioni. Furono campagne che non ottennero mai risultati concreti, ma che contribuirono fortemente a tenere alto il dibattito, a raccogliere un’opposizione culturale, a mobilitare la resistenza a quella cultura radicale che si è rivelata la vera e unica vincitrice sulle macerie della battaglia politica italiana del XX secolo.

Nel 1979 Casini scese anche in politica e, per la sua origine e la sua formazione, non poté farlo che nell’alveo di quel cattolicesimo sociale che animava larga parte del popolo democristiano, sebbene molto meno i vertici del partito. Carlo era convinto, come avrebbe detto Bagnasco alcuni decenni dopo, che la questione etica che riguarda il diritto alla vita è “la” questione sociale fondamentale: il fondamento del principio di eguaglianza e di non discriminazione, dal quale derivavano tutti i diritti che ci consentono di viveri liberi e eguali nella nostra comunità.

Per quanto più volte rieletto, non ebbe grandi successi a livello legislativo. Utilizzò il parlamento italiano e quello europeo come poderose tribune, ma forse fu la DC a utilizzare lui per raccogliere voti.

Poco a poco la politica italiana si è arresa alla mentalità abortista, e ogni parvenza di diga si è rotta dopo il crollo della DC. Gli epigoni di quello che fu un glorioso partito si sono divisi tra i cattolici del sociale e quelli della bioetica, finendo, anche inconsapevolmente, per servire altri disegni e mettendo tra parentesi, in un caso come nell’altro, istanze irrinunciabili per un cristiano.

Non così Carlo, che alla bioetica, e al biodiritto ha sempre accompagnato la proposta sociale e legislativa per la prevenzione dell’aborto, per l’educazione, per l’aiuto alle gestanti in difficoltà, fino a promuovere una poderosa rete di volontariato attorno all’attività dei Centri di Aiuto alla Vita (il primo proprio a Firenze nel 1975) e delle Case d’Accoglienza. Con le parole e coi fatti Carlo ha promosso e sostenuto in Italia la cultura dell’accoglienza e della vita.

Poi col tempo si sono affacciate nuove sfide, sempre più difficili: l’aborto della RU-486, tornato ad essere solitario; l’aborto inconsapevole e spensierato delle pillole dei giorni dopo; lo sfruttamento della povertà femminile con l’utero in affitto e la compravendita di gameti spacciata per ovodonazione; le limitazioni all’obiezione di coscienza e le discriminazioni degli obiettori; le pressioni di quello che Papa Francesco chiama il colonialismo dell’ideologia gender; il diritto alla sospensione dei sostegni vitali, che per via giurisprudenziale è diventato presto suicidio assistito e diventerà a breve eutanasia; la nuova eugenetica; le sirene del transumanesimo che stanno avendo il sopravvento sul nuovo umanesimo lapiriano.

Dimenticando gli orrori di Norimberga, si sta contrabbandando pericolosamente per libertà di ricerca scientifica l’uso di metodi di indagine “disinvolti” che utilizzano gli esseri umani, sia allo stato embrionale.

Nel campo avverso, molte di queste sfide hanno trovato sostegno in una pervasiva legislazione e regolamentazione, soprattutto in sede europea, finalizzata a promuovere ogni sorta di attacchi alla vita, mascherandoli come salute riproduttiva, gender equality, empowerment femminile, compassione, diritto alla morte nel best interest del paziente, controllo di qualità degli embrioni, etc. Un potere in Europa che, per cancellare ogni residua resistenza culturale, distribuisce cospicui finanziamenti per percorsi formativi e progetti di ricerca, purché rigorosamente “politically correct”.

Carlo se ne è andato mentre alcune di queste istanze sono riuscite ad annebbiare il senso comune di tanti cattolici e, peggio ancora, ad anestetizzare il senso etico di uomini politici di estrazione cattolica, sapendo di poter far leva anche sul comprensibile disagio di alcuni uomini di chiesa, insofferenti nel trovarsi in contraddizione con il mondo.

Nel frattempo, il dibattito sulla vita si è ormai ridotto a scontro tra la sopraffazione del potere massonico che domina l’informazione a senso unico e il fondamentalismo settario di alcuni pro-life.

Restano la sua testimonianza e la passione con cui si è battuto per le sue idee. Ho avuto il privilegio di conoscerlo da giovane medico e di collaborare con lui da presidente della Federazione Mondiale dei Medici Cattolici e nella Pontificia Accademia per la Vita, di cui entrambi siamo stati membri. Ho avuto l’onore di succedergli quale presidente del Movimento per la Vita Italiano, seppur per una breve e controversa stagione. Ne ho ripercorso anche alcune tappe della vita parlamentare, trovandomi esposto come lui, ma con meno compagni di lui, nella nuova stagione del vuoto ideale e politico. Come lui ho perso, senza rinunciare a combatterle, alcune battaglie fondamentali, come quella sulle unioni civili e quella sul fine vita. Per me è stato un maestro. Come lui resto un cattolico sociale, irriducibile alle ideologie, indisponibile alla resa culturale.

Carlo se ne è andato nei giorni della pandemia. Se ne è andato apparentemente sconfitto, ma la sua testimonianza lascia semi per un futuro migliore. Chissà che non sarà proprio il confronto con la morte per il coronavirus a far riscoprire un nuovo rispetto per la vita e a far maturare una rinnovata solidarietà con la vita dei più fragili.

Grazie Carlo, spero che un giorno ci sia essere anche tu tra gli amici che verranno a “tirarmi” su in Paradiso.