Lettera inviata a Claudio Tito di Repubblica. Come d’intesa con l’interlocutore, essendo confidenziale il tenore della conversazione, si omette qui la risposta fornita.

Caro dott. Tito,

con il solito interesse ho letto stamane [ieri per chi legge, ndr] il suo commento politico [Le scelte del Pd. La sindrome della subalternità – La Repubblica, p. 27]. Condivido largamente la sua rappresentazione dei problemi “di linea” che attanagliano il Pd. Un passaggio mi spinge, tuttavia, a fare una garbata osservazione. In alcuni casi, infatti, occorre essere puntigliosi.

È vero, il Pd patisce l’incombenza di uno spirito di subalternità. Nello specifico, alcuni dirigenti del partito citano De Gasperi in modo perlomeno affrettato, se non improprio. E questo andrebbe rilevato con doveroso puntiglio. Sembra quasi che l’obiezione anti-presidenzialista, espressa dallo statista trentino nel settembre del 1946 dinanzi ai costituenti dc riuniti nel convento dei Passionisti di San Giovanni e Paolo al Celio, fosse per una fisima o un’ossessione anticomunista, e quindi riconducibile a una ragione prettamente contingente e strumentale.

Perciò la citazione lascerebbe intendere che in fondo la sinistra, essendo ormai integralmente sinistra di governo, dovrebbe superare il vincolo che all’epoca pose De Gasperi. Dovrebbe cioè scommettere come che sia sulla modernizzazione del sistema politico-rappresentativo, anche nella sostanza utilizzando il taglio dei parlamentari a mo’ di grimaldello per realizzare – Ceccanti dixit – finalmente un modello a impianto bipartititico.

Si tratta di un’ipotesi di lavoro poco ponderata, che si nutre per altro della semplificazione della eredità degasperiana, stretta inverosimilmente nella morsa comunismo-anticomunismo. In realtà, De Gasperi riteneva comunque necessario assicurare il massimo di equilibrio nell’ordinamento costituzionale, di certo per non aprire le porte a tentazioni o meglio a forzature autoritarie. È priva di mordente questa “vecchia“ preoccupazione? Appartiene irrimediabilmente al quadro della Guerra Fredda? È fuori dai dilemmi odierni della cosiddetta post-democrazia? Non pare proprio, anzi! La richiesta salviniana di “pieni poteri” – giusto per fare un esempio concreto – era ed è un dato allarmante per la democrazia del nostro Paese.

Oggi il pericolo viene da una destra radicale, populista e antieuropeista. Rimane perciò immutato il valore di una Costituzione a forte impronta garantista, con tutto quel che consegue in termini di equilibri di potere, forme e strutture di rappresentanza, riserve in materia di procedure democratiche. Meglio tenersi stretta, in definitiva, la prudenza di De Gasperi. Una prudenza, potremmo dire, più che attuale per la sua interna carica ammonitrice.

Cordialmente