Uno degli elementi che il singolare e sempre più ingarbugliato dibattito sul referendum che taglia i parlamentari sta riproponendo alla nostra attenzione è che è sempre più difficile capire chi, oggi, in Italia rappresenta la “casta” politica e chi interpreta, e quindi rappresenta, la cosiddetta “anti casta”. È una operazione complessa dipanare questa matassa. Ma ci provo anche se è difficile farsi capire. 

Dunque, secondo la vulgata principale l’anticasta oggi in Italia sarebbe rappresentata principalmente dal partito – cioè i 5 stelle – che conta il maggior numero di parlamentari, di ministri, di sottosegretari e forse dei membri del Cda dei maggiori centri di potere nel nostro paese. Cioè, per capirci, l’anticasta sarebbe rappresentata e interpretata da chi gestisce saldamente il potere. E la casta, di grazia, chi la rappresenta? Beh, la risposta è semplice, sempre secondo la vulgata principale. Sarebbero tutti quelli che guardano il potere con il binocolo e che, di conseguenza, sono tranquillamente seduti sugli spalti e guardano la disputa della partita – cioè chi gestisce il potere vero e reale – dalle tribune. 

Ho voluto riproporre questa immagine, plastica, per rendersi conto del paradosso che caratterizza questo strano e singolare dibattito referendario. Cioè, un film che sentiamo da molti anni e con slogan che ormai conosciamo quasi a memoria. Ma con un piccolo particolare, rispetto ad anni fa Quel partito populista, anti politico, antiparlamentare e radicalmente e coerentemente contro la democrazia rappresentativa è da tempo saldamente al potere e gode di tutti privilegi, i benefit, le corsie preferenziali e via discorrendo che, da sempre, caratterizza il potere nel nostro paese. Eppure, ascoltando le parole d’ordine e gli slogan che campeggiano su quasi tutti gli organi di informazione noi assistiamo alla banale e semplice ripetizione di tutta quella propaganda che, dal “Vaffaday” in poi, ha dominato il confronto politico nel nostro paese. Soprattutto quando si parla di privilegi, casta, anti casta, stipendi dei politici, istituzioni rappresentative, partiti organizzati e quant’altro. Come se nulla, nel frattempo, fosse cambiato. 

Per fortuna, seppur raramente e con molta cautela e prudenza, ha iniziato a far breccia nel dibattito pubblico il tema che chi è al potere, di norma, rappresenta la casta politica. E non la rappresentano coloro che il potere lo sognano a giorni alterni. Al contempo, e altrettanto timidamente, ha fatto anche breccia il capitolo del “costo” della democrazia. E qui il tema è più delicato, perchè più profondo e carico di contenuti politici, culturali e persin costituzionali. Perchè, alla fine, il cuore della disputa referendaria, al netto del populismo anti politico e anti parlamentare dell’universo grillino, è riconducibile proprio al “costo” della democrazia. Ovvero, se la conservazione e la qualità della democrazia, e dei suoi istituti costituzionalmente garantiti e riconosciuti, è sempre e soltanto un costo, la soluzione al problema è abbastanza semplice, se non addirittura banale, da trovare: e cioè, si tagliano i costi. Del resto, qual’è la differenza se ci sono 600 parlamentari o 400 o 300? Se si risparmia di più, ma perchè mai non si deve procedere speditamente? Anche perchè, come ci ha spiegato un parlamentare dei 5 stelle – candidamente ma coerentemente con la storia di quel partito – con la riduzione secca dei parlamentari italiani attraverso il referendum di settembre, si risponde con maggiore efficacia all’esigenza di rendere “meglio controllabile” le assemblee di deputati e senatori. Una osservazione, oserei dire, giusta e del tutto coerente con chi non crede nella democrazia rappresentativa, nella centralità della funzione e del ruolo di un Parlamento libero e democratico e, soprattutto, per chi è estraneo alla antica tradizione parlamentare del nostro ordinamento costituzionale. Ma il capitolo dei costi, perchè di questo si tratta quando si parla del cuore e della specificità del populismo nostrano, si potrà tranquillamente applicare a qualsiasi aspetto della vita sociale e democratica. Qualunque sia il settore e qualunque sia il livello 

della rappresentanza democratica da colpire e sforbiciare. Alcuni esempi? Non è difficile stendere un elenco. Perchè tutti quei consiglieri regionali e non la metà per ogni regione? Perchè non accorpare e fondere centinaia e centinaia di Comuni italiani? Perchè non tagliare drasticamente il “pubblico” in tutti i settori che “costano”? L’ elenco potrebbe essere terminato. Si tratta solo di partire e poi si vedrà. 

Ecco perchè quando si parla di “qualità” della democrazia non si può scherzare. E non si deve scherzare. Al di là delle polemiche da cortile, delle convenienze momentanee e dei tatticismi e posizionamenti di puro potere. Come ormai molti hanno ben compreso. Certo, sappiamo molto bene che dopo 20 anni di ubriacatura antipolitica, antiparlamentare, populista e demagogica sostenuta e supportata dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, la rotta non può essere invertita frettolosamente e rapidamente. Ma tenere alta l’attenzione sul profilo, sulla natura, e sulla funzione della democrazia – parlamentare, rappresentativa e costituzionale – vale una battaglia. Anche quando è minoritaria, controcorrente, forse ancora sicuramente antipopolare e quindi molto coraggiosa. Ma non si può e non si deve indietreggiare nè, tantomeno, nascondere.