Alberto Melloni è uno studioso di rango. E non solo per l’arcipelago cattolico italiano. La sua  profondità di analisi, la sua vasta e raffinata cultura accompagnata dalla sua consueta ironia,  meritano sempre attenzione e rispetto. Come la sua ultima analisi sulla presenza politica e  pubblica dei cattolici nella società contemporanea. 

Ora, per evitare confusione e fraintendimenti, dobbiamo fare almeno una doppia valutazione in  merito alle recenti osservazioni di Melloni sul “Domani” ma anche, e soprattutto, sulla realtà che si  presenta davanti a noi e come noi, cattolici democratici e popolari, possiamo reagire.  

Innanzitutto, come si può dissentire da Melloni quando evidenzia la coriandolizzazione della  presenza politica dei cattolici? Anzi, nella sua analisi è stato ancora troppo parco di giudizi. Se  doveva citare gli esperimenti decollati almeno negli ultimi due anni, serviva un pallottoliere più che  un articolo. Sarebbe sufficiente scorrere l’elenco, un po’ patetico e un po’ comico, per rendersi  conto che qualcosa non funziona. Senza nulla togliere alla generosità, alla passionalità di  tantissimi e alla voglia, di alcuni, di strappare comprensibilmente e finalmente uno straccio di  candidatura per approdare in Parlamento dopo tanto peregrinare. Ma, al di là dei singoli casi, è  indubbio che una multiforme e variegata presenza, e quindi politicamente virtuale ed  organizzativamente quasi inesistente, è destinata ad essere oggetto di derisione all’interno e di  oggettiva debolezza all’esterno. Sia per la qualità della proposta e sia, soprattutto, per la credibilità  del progetto.  

Ma, ed è la seconda considerazione, Melloni esagera quando esprime una sprofonda sfiducia nella  possibilità che il cattolicesimo politico contemporaneo, seppur articolato e molto variegato al suo  interno, possa ancora organizzarsi nello scacchiere politico italiano. Perchè, al di là delle fasi  storiche che si susseguono, lo storico richiamo di Pietro Scoppola continua ad avere una bruciante  attualità. E cioè, la “cultura del comportamento e la cultura del progetto” per i cattolici democratici e  popolari richiedono ed invocano una presenza pubblica organizzata.

Certo, compatibile con le  dinamiche politiche, culturali e storiche del momento ma anche consapevoli che le potenzialità  programmatiche, ideali e politiche di quest’area non possono essere ulteriormente compresse. Ma  il nodo di fondo, e qui Melloni coglie nel segno e non era neanche tanto difficile – sempre detto fra  di noi – non può essere la semplice e banale riproposizione di sigle per lo più virtuali e funzionali, il  più delle volte, al bisogno di visibilità dei singoli proponenti. Ma la fecondità, la specificità e  l’originalità dell’esperienza storica del cattolicesimo politico italiano non è la presenza nel campo  della prepolitica nè, d’altro canto, l’offerta parcellizzata e molecolare. Continua ad essere,  comunque sia, quella di una presenza politicamente autorevole e organizzativamente autonoma. Il  problema da risolvere è come non ridurre questa doppia sfida in una operetta macchiettistica che  poi viene sbertucciata, e forse anche giustamente, da uno studioso preparato anche se un po’  prevenuto come il prof. Melloni.