L’amico Ettore Bonalberti, con la sua consueta passionalità e partecipazione, ha riproposto all’attenzione di tutti noi il tema cruciale di come ridare visibilità e concretezza alla tradizione politica e culturale del cattolicesimo politico e sociale nel nostro paese. Ora, senza entrare nel dialogo epistolare tra Ettore Bonalberti e Lucio d’Ubaldo con le rispettive posizioni, credo sia necessario almeno richiamare tre aspetti che restano importanti per tutti noi. Soprattutto per coloro che arrivano dall’esperienza della Democrazia Cristiana e che si sono riconosciuti per molti anni nell’esperienza politica e culturale dei cattolici impegnati in politica. 

Innanzitutto c’è l’ambizione, condivisa e sentita da tutti, di evitare di continuare a giocare un ruolo meramente satellitare o periferico o marginale nella vita politica italiana. Per troppo tempo, infatti, e per svariate motivazioni, abbiamo assistito ad una sorta di inspiegabile “silenzio” pubblico dei cattolici democratici e popolari che ha avuto la conseguenza concreta di rendere sterile ed inconcludente questo filone ideale nella concreta dialettica politica italiana. 

In secondo luogo resta aperto il tema, peraltro decisivo, di come rideclinare organizzativamente la ricerca e la volontà di ridare un giusto protagonismo politico a questa cultura. E qui la risposta non è nè univoca e nè omogenea. L’unico aspetto su cui mi permetto di avanzare una riflessione è quello di evitare, se possibile, di continuare a dar vita a gruppi o movimenti o partiti destinati al fallimento politico ed elettorale. Abbiamo avuto troppi esempi che, nel corso di questi anni, seppur ispirati dalla buona volontà e dalla generosità dei singoli, si sono dimostrati di fronte alla prova politica ed elettorale del tutto avulsi dalla realtà concreta. Uno stillicidio che non si deve più ripetere anche perché si rischia, inconsapevolmente, di consegnare alla storia una cultura, un pensiero e un progetto politico che invece può ancora giocare un ruolo decisivo nella povertà della politica contemporanea. 

In ultimo, e non per ordine di importanza, la disputa se il futuro di un cosiddetto “partito di centro” deve essere autonomo o deve dichiarare sin da subito la sua collocazione in un “campo politico” definito e definitivo. Ora, anche se siamo collocati in un contesto politico profondamente trasformistico, non c’è alcun dubbio che il mondo cattolico italiano è sempre stato una realtà fortemente plurale al suo interno e, pertanto, con prospettive politiche diverse se non addirittura alternative. Ecco perché non deve stupire se, oggi, ci sia una inclinazione a fare una scelta di campo nel momento in cui si decide, per un verso o per l’altro, di “scendere in campo”. Appartiene alla libera dialettica democratica che, come detto, attraversa storicamente ed orizzontalmente l’area cattolica italiana. 

Quello che conta, semmai, è quello di continuare un dialogo e un confronto libero e franco tra di noi senza lanciare anatemi e senza avere la presunzione e l’arroganza di rappresentare tutti. Solo i moralisti di professione e i cosiddetti “sepolcri imbiancati”, per dirla con Donat-Cattin, rappresentano questa deriva. E proprio il confronto tra Ettore e Lucio dalle colonne del Domani D’Italia è la conferma che si può costruire un percorso condiviso pur partendo da presupposti un po’ diversi. Perché, alla fine, abbiamo una comune cultura di riferimento e leader e statisti altrettanto comuni che ci hanno insegnato molto con il loro magistero politico, culturale, ideale, sociale e forse anche etico. E questo non lo possiamo mai dimenticare.