E’ un momento complicato, per l’Europa. Le cose non stanno andando come dovrebbero. E come l’imponente piano di aiuto economico varato lo scorso anno in risposta alla pandemia aveva lasciato sperare. Era quella, infatti, una concreta dimostrazione di quanto l’Unione fosse in grado di reagire alle avversità con una potenza collettiva e con una solidarietà fra le nazioni davvero significativa dando così maggior forza alle ragioni della federazione. Oggi, al contrario, prima ancora che il Next Generation UE venga avviato e inizi a dispiegare i suoi effetti, l’immagine icastica e l’imbarazzante scena svoltasi ad Ankara, una vera e propria umiliazione subìta dalla Commissione Europea nella persona della sua più alta rappresentante, conferma e amplifica le difficoltà della UE. Ma non è solo questo.

Il ritardo nella campagna vaccinale, il declino improvviso e inaspettato di Angela Merkel – ovvero dell’unico leader politico continentale – dovuto ad una seconda fase dell’epidemia devastante in Germania quanto la prima era stata sostanzialmente contenuta, i problemi già emersi con la nuova America di Biden, che pure sta offrendo alleanza politica non però senza contropartite, il riacutizzarsi delle tensioni con la Russia, palesemente mostratesi nell’offensivo trattamento riservato da Putin all’Alto Rappresentante Josep Borrell in occasione della sua visita a Mosca: tutti fattori che accrescono le difficoltà di una Unione che nel mentre avvia la Conferenza sul proprio futuro si trova a gestire un presente, come detto, assai complicato.

Io non so se ad Ankara il regista di un episodio che si presta a varie letture, incluse quelle ironiche, sia stato il presidente turco o addirittura quello del Consiglio Europeo, o se invece si sia trattato di un clamoroso errore (voluto?) del cerimoniale. So però che, oltre all’inaccettabile umiliazione sessista subìta da Ursula von der Leyen, si è svolto agli occhi del mondo un nuovo atto dello scontro – a volte sotterraneo, altre esplicito – fra le due istituzioni unioniste che rappresentano le due opposte visioni dell’Europa, quella comunitaria e quella nazionalista. Due visioni che convivono a fatica, ovviamente, e che hanno generato un compromesso che nei momenti di maggiore difficoltà mostra tutti i suoi limiti. 

La sedia che mancava ad Ankara è la plateale testimonianza di come un campione del nazionalismo, Erdogan nel caso, veda l’Europa, ovvero una somma di stati e non un’entità unica. Al pari di Trump, ieri, e di Putin, sia ieri sia oggi, egli preferisce parlare e trattare con i singoli stati nazionali che con l’UE. Nell’occasione, Charles Michel rappresentava proprio quella visione. La questione femminile è un elemento in più. Gravissimo, peraltro. Ma il punto politico è quell’altro. Ecco perché Michel avrebbe dovuto reagire e non facendolo si è mostrato inadeguato al ruolo che occupa. Però occorre riconoscere – e a questo tendono le interpretazioni più maliziose – che l’incidente non si sarebbe svolto (non, almeno, in questi termini) se la figura della presidenza del Consiglio Europeo non esistesse. Se la Commissione fosse il vero e unico governo europeo, rispondente al Parlamento di Strasburgo. Se le competenze federate fossero maggiori e ben delineate. Di questo dovrebbe discutere la Conferenza sul futuro della UE. Emergerebbe così, fra l’altro, la superiorità valoriale delle istituzioni europee a fronte di questi regimi autocratici ostili ai diritti umani, a quelli delle donne, a quelli delle minoranze. Magari qualche nostro sovranista avrebbe l’opportunità per fare una riflessione in più…

Ma quello che oggi interessa maggiormente l’opinione pubblica europea è naturalmente la pandemia. Come venirne fuori. La debolezza che la Commissione ha mostrato nella definizione contrattualistica dell’acquisto dei vaccini (“un po’ leggera” l’ha definita Draghi) sta assestando un colpo parecchio duro alla sua propria credibilità presso i cittadini europei, che infatti come al solito stanno guardando ai propri governi nazionali e non certo a Bruxelles per risolvere quella che oggi è la questione numero uno. E così quanto di buono è stato seminato nel 2020 rischia d’essere seppellito, prima ancora che fiorisca, nel 2021. Probabilmente non sarà una Conferenza nata dopo continui rinvii testimonianti difficoltà politiche più che organizzative a evitare questo pericolo. Ma resta il fatto che l’uscita dalla pandemia, quando sarà, imporrà all’Europa un cambio di passo. Necessiterà a tal fine di nuove leadership. Che stavolta una di queste sia italiana?