Chiesa e politica. Intervista a Gennaro Acquaviva. (Mondoperaio)

Nel numero di settembre di Mondoperaio 9/2021 è pubblicata questa intervista ad Acquaviva dal titolo Chiesa e politica, con la quale interviene sulla ricerca Il gregge smarrito: Chiesa e società nellanno della pandemia, EssereQui, Rubbettino, 2021.

Voi di Esserequi segnalate lirrilevanza della Chiesa in occasione della crisi pandemica, la sua subalternità alla politica, alla scienza. È un giudizio che immagino tu condivida.

Naturalmente. Anche io infatti ritengo che la crisi della Chiesa italiana, in particolare quella connessa con lazione positiva da essa espressa nel mondo in cui vive, opera e di cui è parte fondamentale, sia di gravi proporzioni: come è correttamente dimostrato nella ricerca. Forse posso aggiungere che io rispetto allo stato di crisi proposto dagli estensori del volume sono più pessimista: talché avevo proposto un titolo più netto, invece de Il gregge smarritolavrei intitolato Pecore senza pastore. Naturalmente sappiamo bene che questa crisi si inserisce in una condizione della spiritualità nellOccidente mondiale, e in particolare nella nostra patria europea, che è in atto ed in evidenza da decenni con una progressione che appunto è solo più visibilmente emersa a seguito della crisi pandemica ed in questi ultimi due anni. Ma, ripeto, le caratteristiche proprie della crisi allitaliana che emergono da queste pagine sono connaturate nello specifico tessuto storico e culturale della società italiana da tempo e con modalità proprie.

Quali sarebbero queste specificità? Cosa avrebbe de- terminato questa afasia della Chiesa in una congiuntura tanto drammatica per il nostro Paese?

Non voglio farla troppo lunga e perciò vengo subito al punto che più mi interessa: quello del rapporto tra il cat- tolicesimo vissuto e soprattutto la sua realtà organizzativa, qui in Italia, e la politica. Questa formidabile presenza cattolica è stata, sappiamo, protagonista molto importante della vita politica italiana da sempre: ma fu decisiva so- prattutto dopo il 1944-45, almeno fino a Tangentopoli. Questo è avvenuto anche in virtù del permanere al suointerno e per un lungo periodo anche dopo il Conciliodi una sua specifica condizione di unità rispetto alla politica, costantemente e tenacemente promossa e sostenuta direttamente dalla Gerarchia ecclesiastica.

Le sue caratteristiche e la sua finalizzazione può e deve essere naturalmente anche interpretata e storicamente criticata; ad esempio io avrei da proporre come ho fatto frequentemente per decenni molte critiche ed osservazioni, che ritengo ben fondate. Ciò non toglie che il permanere di una condizione di attiva e forte presenza cattolica nella politica abbia influenzato decisamente e direttamente sia la condizione della Chiesa italiana che, ovviamente, la vita politica dopo il 1945. Penso che non ci sia bisogno di spendere troppe parole per dimostrare questo dato di fatto. Mi permetterai almeno di sottolineare un punto per me decisivo. Lo faccio citando uno dei maggiori teorici e storici di questo rapporto vitale tra Chiesa e politica durato almeno cinquantanni: Gianni Baget Bozzo.

Egli nel momento della sua crisi conclusiva ne scrisse approfonditamente in un libro stampato appunto nel 1994: Cattolici e democristiani. Una esperienza politica italiana(Rizzoli 1994).

Nel volume si dimostra con grande lucidità e fondamento, come la costruzione della classe dirigente della Chiesa italiana, a partire dalle vicende del 1945-1948, sia stata strettamente e indissolubilmente legata alla crescita, allo sviluppo, allaffermazione della presenza politica della Democrazia cristiana. I vescovi italiani che si affermano e gestiscono splendidamente la vicenda ecclesiale per i quarantanni successivi, un lungo percorso che è dominato e in qualche maniera concluso con il pontificato di papa Montini, sono la dimostrazione visibile e convincente di questa condizione, di questo dato di fatto. Quella realtà cattolica diffusa e vitalissima, altolocata e assai solida è stata protagonista importantissima della vita politica italiana almeno fino a Tangentopoli.

Il crollo improvviso che allora avvenne del sistema dei partiti (e naturalmente innanzitutto in quello della Democrazia cristiana), per di più ritenuto moralmente degradante per come si era costruito e soprattutto per come era avvenuto, ha condizionato a tal punto i vescovi italiani da modificare radicalmente il loro precedente orientamento, addirittura la loro stessa visione della politica. Tal che, pur se gradualmente, essi si sono di fatto ritirati dalla partecipazione dalla vita democratica del proprio Paese, limitandosi a contemplarne gli sviluppi a distanza di sicurezza, pur se continuando ad impegnarsi nella guida positiva di plurime attività sociali e dedicandosi prevalentemente a coltivare, nel rapporto Stato-Chiesa, questioni morali e problematiche culturali.

Lafasia, quindi, è di vecchia data, il pastore si è, per così dire, ritratto da tempo oltre Tevere lasciando il suo gregge in preda al risentimento e allincertezza senza sostegno e senza consiglio.

È proprio così. Ma vorrei tornare a ricordare che questa rottura si è realizzata soprattutto perché anche la Chiesa, almeno sul fronte strettamente politico, usciva in qualche maniera sconfitta, e per di più impaurita, da questa vicenda anche in ragione delle potenziali corresponsabilità che gli potevano venire direttamente addebitate rispetto alle vicende di corruzione politica. È stato soprattutto per questa ragione che la Gerarchia ecclesiastica non ha voluto o non ha potuto cogliere la possibilità, che allora (1994-96) poteva forse essere colta, di diventare ancora una volta elemento forte di animazione etica ed umana di tutta la democrazia italiana, proprio utilizzando la lunga fase iniziale che caratterizzò la transizione del dopo Tangentopoli. Questo ha, tra laltro, impedito o comunque fortemente ostacolato, ove mai fosse stato proposto, lo svolgimento di un ruolo attivo e partecipativo del laicato cattolico nella ricostruzione della politica, assecondando di fatto la naturale, pur se prudente, tendenza antipolitica che, da allora, prese concretamente a circolare in tante parti vitali del mondo cattolico, proprio in conseguenza di come era avvenuto il crollo del sistema dei partiti.

È facendo riferimento a questa condizione, insieme di estraneità e di compromissione, che possiamo farci ra- gione della condizione drammatica che caratterizza il presente della Chiesa in Italia: appunto, un popolo senza pastore. Quello che allora successe fu un grave errore: e va aggiunta per la verità che esso è prevalentemente da addebitare a chi allora guidava la CEI e cioè il Cardinale Ruini. Che un sistema politico mal congegnato, nato nel 1992-1994 con le tare incorporate dellingiustizia e della violenza, presidiato da una classe dirigente prevalentemente ed inevitabilmente raccogliticcia e molto spesso impreparata, soprattutto perché senza radici; che un sistema siffatto sia stato lasciato a se stesso, senza partecipazione, senza mediazioni, senza correzioni dalla forza spirituale e dalla rete umana e concretamente diffusa che rappresentava un grande passato e che è tuttora parte importantissima del futuro della Nazione italiana, è stato veramente un grande errore, di cui oggi purtroppo siamo tutti obbligati a pagare dazio. A partire naturalmente da chi ha la responsabilità di guidare i cattolici dItalia.

Forse la Chiesa si è estraniata dalla società italiana, dalle sue tradizioni culturali e politiche, perché non ha più al suo interno chi sappia interpretarle.

Luna cosa lega laltra. Prendiamo la nostra esperienza e convinzione di socialisti: di ieri e di oggi. Craxi non aveva certamente tendenze clericali. Egli fu lunico leader politico di spicco, dopo le battaglie del 1948, che si alzò a controbattere duramente, nella solennità di unAula parlamentare, quella che considerava linammissibile ingerenza di un Papa, pur grande e carismatico, nellattività legislativa di una libera nazione. Eppure questo socialista garibaldino era assolutamente convinto che il tessuto italiano, la rete complessa di relazioni e di persone che tutti i giorni costruiscono questo Paese, non poteva reggere senza il cristianesimo ed i suoi testimoni, non poteva andare avanti senza la sua storia, la sua carità, la sua cultura politica, il suo senso sociale. Per questo a chi cercava di proporgli dubbi sulle forme del finanziamento alla Chiesa che egli aveva deciso di realizzare gli intimò duramente: Non affamate i preti!.

Per Esserequi serve una messa a terra, una forza organizzata in grado di riammettere nella politica italiana i cattolici e quanti tra i laici fanno comunque riferimento ai valori cristiani, sei daccordo?

Non so se sarebbe possibile parlare oggi di una forza or- ganizzata: probabilmente essa nel presente potrebbe essere fuori tempo e fuori storia. Né parlerei di strumenti concreti e forme operative da mettere in campo. La cosa più importante almeno per me, è capire, e convincere altri, che oggi i pastori della Chiesa che è in Italia debbono essere sollecitati a riflettere sullalta responsabilità civile e politica che li interpella. In particolare debbono essere invitati a considerare criticamente i risultati a cui è giunta oggi la politica della Nazione che è affidata anche alle loro cure pastorali, sicuramente anche a seguito dei comportamenti che essi troppo spesso hanno adottato nei passati trentanni. Per la cattolicità italiana è veramente giunto il momento di riflettere sul ruolo da essa svolto in questo lungo periodo per sostenere la realizzazione del bene comune. Ripeto: andando oltre il contributo pur positivo che essa ha comunque prodotto e senza dimenticare il numero infinito di particelle di bene che questo mondo garantisce ogni giorno al nostro popolo.

In sostanza. La Chiesa cattolica ha una responsabilità storica così vasta rispetto alla Nazione italiana che qualsiasi piccola o grande preoccupazione o ogni tradizionale prudenza dovrebbe oggi essere messa da parte. Questa responsabilità va assolta subito, prima che sia troppo tardi.

Per saperne di più

https://www.fondazionesocialismo.it/wp-content/uploads/2021/09/Un-gregge-smarrito.pdf