Ciclicità e memoria

Sul connubio tra musica e versi

Tratto dall’Osservatore Romano a firma di Marcello Filotei

Con la franchezza che non gli ha mai fatto difetto Ezra Pound sentenziò che «ai poeti che non studiano musica manca qualcosa». Del resto dopo che alla fine del xix secolo i simbolisti francesi sperimentarono le proprietà musicali del linguaggio, ispirandosi principalmente alle opere di Edgar Allan Poe, nessun poeta moderno ha potuto più ignorare la stretta affinità che esiste tra queste due arti. Ma se i simbolisti hanno mirato spesso a realizzare un flusso “sonoro” accattivante anche a scapito del significato, è noto che Thomas S. Eliot, che pure deve molto a quell’esperienza, la pensava diversamente.

Nella sua citatatissima opera monografica sull’argomento, The Music of Poetry, del 1942, l’autore dei Quattro Quartetti ha ampiamente chiarito la sua posizione: «La musica della poesia non è qualcosa che esiste al di fuori del significato. Altrimenti potremmo avere poesia di grande bellezza musicale senza alcun senso, e non ho mai incontrato una tale poesia». Al tempo stesso quello che Eliot chiamava «elemento incantatorio» (in particolare in riferimento alle opere di Poe) riesce ad accrescere la possibilità di comprendere lo stile stesso del poema, mentre l’argomento o la “storia” narrata è spesso di minore importanza in questo senso. Anche di questo ci parla ancora oggi uno dei Quattro Quartetti, il primo. «Tempo presente e tempo passato, sono forse presenti nel tempo futuro, il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.

Se tutto il tempo è eternamente presente, tutto il tempo non è riscattabile». I celebri versi d’apertura di Burnt Norton, qui nella traduzione di Elio Grasso, pongono l’accento sulla fondamentale questione della memoria. È noto che il componimento, del 1936, fu ispirato da una visita di due anni prima a un castello disabitato nel Gloucestershire e la riflessione prende avvio dalla quantità di testimonianze visibili in quel luogo. Una meditazione sulla ciclicità, sul principio e sulla fine. Il giardino delle rose di Burnt Norton spinge Eliot a guardare quei ruderi con il filtro mentale dell’alternasi delle stagioni, evocando la fecondità e l’aridità, ascoltando i suoni ospitati nel passato, annullando la distanza fra il giorno e la notte: tutto confluisce nella memoria.

Appare significativo che proprio in questo quartetto l’autore faccia diretto riferimento alla musica come arte del tempo. «Le parole si muovono, la musica si muove soltanto nel tempo; ma quanto soltanto vive può soltanto morire». Qui in pochi versi, come sanno fare i poeti, Eliot pare inquadrare la fondamentale essenza della musica, la sua caratteristica distintiva: il fatto di inverarsi esclusivamente nello scorrere del tempo, di non esistere nell’attimo singolo, ma di assumere la sua essenza mettendo in relazione ogni momento con quello precedente e con il suo successivo. Forse per questo il poeta individua «soltanto nella forma» e «nel modello» il mezzo attraverso cui «le parole o la musica possono giungere alla quiete», paragonando questo processo alla staticità attiva del vaso cinese che «si muove perennemente nella sua quiete».

E il verso seguente è forse ancora più chiarificatore quando specifica: «Non la quiete del violino, finché la nota resiste, non soltanto quella, ma la coesione, o diciamo che la fine precede il principio, e la fine col principio erano sempre lì prima il principio e dopo la fine». La «coesione», quindi, il rapporto, la relazione. È vero che i versi di Eliot hanno ispirato anche direttamente molte composizioni musicali. Emblematico il caso del musical Cats interamente poggiato su testi del poeta. «Gli attimi di felicità/ Li abbiamo sperimentati ma non ne abbiamo colto il senso/ E avvicinarsi al significato ne fa rivivere l’esperienza» canta Old Deuteronomy e Grizabella riprende il tema in Memory, basato su Rapsodia in una notte di vento, «ricordo il tempo in cui sapevo cosa fosse la felicità».

Meno seguita appare però l’esortazione a ricercare nuovi significati del modello, nel perenne movimento della quiete, non limitandosi alla «quiete del violino, finché la nota resiste». Forse questa può rappresentare una indicazione per gli artisti di oggi che non vogliono limitarsi a riproporre calchi del passato. L’invito a concentrarsi sulla «forma» è probabilmente uno degli elementi principali dell’attualità di Eliot.