Cogestione e rappresentanza dei lavoratori nella gestione delle società partecipate.

La Cisl batte su questo chiodo da anni. Il testo qui riprodotto è lo stralcio di un recente documento della Fit-Cisl (Federazione italiana trasporti) del Lazio intitolato “Una nuova mobilità per Roma Capitale”. In fondo riportiamo il link per accedere al documento integrale.

 

Uno dei diritti fondamentali dei lavoratori, rivendicato negli ultimi anni dalle grandi Confederazioni sindacali, è quello relativo alla partecipazione alle scelte produttive e organizzative delle imprese. Un diritto che può tradursi in scelta strategica laddove contribuisca efficacemente ad una ridefinizione organizzativa e alla conseguente qualificazione professionale e salariale del lavoro, all’innovazione dei processi produttivi necessari per la competitività ed il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

 

Un’impostazione che ritrova attualità in considerazione delle previsioni straordinarie di investimento che insisteranno sulla mobilità, racchiuse nel PNRR. Una valutazione che, nel caso specifico, si rafforza in virtù della valenza che il servizio di trasporto pubblico e, per estensione, le società che vi operano, assume in termini economico-industriali, di asset strategico per il mercato e la competitività del tessuto produttivo territoriale, sociale, in quanto elemento che contribuisce all’assottigliamento delle disparità e delle disuguaglianze.

 

Se a ciò si aggiunge la constatazione circa il carattere sostanzialmente pubblico delle risorse che ruotano intorno al settore, non è così assurdo attribuire in maniera strutturale alle suddette società il concetto di Corporate Social Responsibility, in quanto erogatrici/produttrici di servizi pubblici di interesse generale, la diffusione dei quali è direttamente proporzionale al soddisfacimento della domanda sulla quale convergono i bisogni di tutti gli Istituti componenti la società: Famiglie, Istituzioni, Imprese, Associazionismo. Quindi, per estensione della catena del valore, imprese aventi come core aziendale il perseguimento del bene comune, dove le responsabilità dei gestori vengono estese dagli obblighi verso gli azionisti ad analoghi impegni verso gli altri stakeholder, in primis i lavoratori.

 

Si tratta di considerazioni che inducono a pensare che siano maturi i tempi per iniziare ad introdurre modelli sperimentali, se non pioneristici, di partecipazione. Da intendersi sia come partecipazione alla governance dell’impresa, quale area strategica per scelte imprenditoriali socialmente responsabili, anche in ragione di una sostanziale coincidenza dell’interessa sociale (d’impresa) con l’«interesse comune» nella società pubbliche che svolgono servizi essenziali, sia come partecipazione organizzativa, attraverso la quale far concorrere i lavoratori all’innovazione dei processi produttivi e alla qualificazione del lavoro.

 

Modelli che non andrebbero ad esaurire la dimensione del “conflitto”, esaltandola, piuttosto, dentro la più ampia cornice della creazione del valore condiviso che può trovare concreta espressione nell’aumento del benessere aziendale, nell’incremento dei livelli di produttività, nella fluidificazione dei processi decisionali, nella pre-distribuzione delle risorse, nell’ accrescimento del senso di appartenenza dei lavoratori.

 

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