La vagheggiata presenza della Cina può rappresentare un ostacolo insormontabile. Un po’ di realismo consiglia allora di attenersi a un canone di maggiore prudenza, se non si vuol compromettere l’avvio dei negoziati di pace. 

Ieri su “Avvenire”, il quotidiano cattolico diretto da Marco Tarquinio, lo storico Agostino Giovagnoli ha posto l’attenzione sul problema della pace che, a dispetto delle perduranti condizioni critiche, esige l’impegno a costruire fin d’ora i presupposti per l’avvio dei negoziati. Lo si deve fare, con tenacia e lungimiranza, anche mentre si continua a combattere sul campo. Ora, lo sforzo che mira a portare al tavolo delle trattative le dirette forze belligeranti, Russia ed Ucraina, può avvalersi dell’esempio virtuoso della Conferenza di Helsinki del 1975. Non è la prima volta che si chiama in causa quell’evento così importante e significativo, certamente frutto di un intenso lavorìo politico e diplomatico. Un’indicazione è venuta qualche tempo fa dallo stesso Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, il quale allo “spirito di Helsinki” si è richiamato esplicitamente.

Dice Giovagnoli: “Ecco perché è importante ripartire da lì. Ma, naturalmente, una nuova Conferenza per la pace in Europa non potrà essere una ripetizione di Helsinki 1975. La situazione è troppo diversa”. E aggiunge: “Segnalo solo due elementi di novità. In primo luogo, non si potrà tenere nella capitale della Finlandia perché questa, chiedendo di entrare nella Nato, ha abbandonato la sua neutralità. (Perché – faccio un’ipotesi – non tenerla a Roma, in linea con un impegno più forte dell’Italia per la pace e in sintonia con la voce di papa Francesco contro la guerra?). L’altra novità riguarderà i partecipanti”.

Quest’ultimo aspetto sollecita in effetti una specifica attenzione. Precisa ancora Giovagnoli: “A Helsinki, nel 1975, ci furono anche Stati Uniti e Canada, due Paesi non europei ma essenziali per garantire la sicurezza in Europa. Oggi questa sicurezza sarebbe ulteriormente rafforzata dalla partecipazione di altri Paesi, in primo luogo la Cina”. La proposta è molto impegnativa e chi scrive se ne rende conto. “A qualcuno tale partecipazione non piacerà – riconosce in effetti Giovagnoli – e altri porranno la condizione di un impegno per far cessare il conflitto più forte di quello dispiegato finora da Pechino. Ma tale partecipazione sarebbe importante per fare della fine del conflitto tra Russia e Ucraina il primo passo per un nuovo ordine multilaterale a livello globale”.

Non c’è dubbio che la proposta abbia in sé un’ambizione suggestiva. Si tratta però di capire se non sia sproporzionata, ovvero troppo carica di aspettative, al punto di rendere inagibile la speranza di una “nuova Helsinki”. Roma sarebbe una sede adeguata, avrebbe tutto il fascino dell’universalità come fulgida aureola di colloqui tanto decisivi, destinati appunto ad avere, secondo le intenzioni, un impatto sugli assetti geopolitici globali. Tuttavia la vagheggiata presenza della Cina può rappresentare un ostacolo insormontabile. Un po’ di realismo consiglia allora di attenersi a un canone di maggiore prudenza, non prefigurando un’estensione così ampia dei partecipanti, pena la smentita di ogni ragionevole opportunità circa l’organizzazione di un tavolo di pace.