Con fiducia verso una nuova fase di collaborazione

I recenti progressi dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Cina sono al centro della lunga intervista esclusiva concessa dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ai giornalisti Francesco Sisci e Zhang Yu e pubblicata sul «Global Times».

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano

I recenti progressi dell’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Cina sono al centro della lunga intervista esclusiva concessa dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ai giornalisti Francesco Sisci e Zhang Yu e pubblicata sul «Global Times». Ne riportiamo una traduzione italiana, ringraziando il quotidiano cinese per la disponibilità del testo.

L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese è stato firmato. Adesso il dialogo prosegue. Con quale frequenza si incontrano le due parti? Può raccontarci qualche dettaglio al riguardo?

Sì, il 22 settembre 2018 si è giunti alla firma di un Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina. Le due parti sono ben consapevoli che tale atto costituisce il punto di arrivo di un lungo cammino, ma è soprattutto un punto di partenza. C’è fiducia che si possa ora aprire una nuova fase di maggiore collaborazione per il bene della comunità cattolica cinese e per l’armonia dell’intera società. I canali di comunicazione stanno funzionando. Ci sono elementi che mostrano un aumento di fiducia tra le due parti. Stiamo inaugurando un metodo che pare positivo e che certamente dovrà ancora essere messo a punto nel tempo ma che, fin da ora, ci fa sperare di poter raggiungere progressivamente risultati concreti. Dobbiamo camminare insieme, perché solo così potremo rimarginare le ferite e le incomprensioni del passato, per mostrare al mondo che anche partendo da posizioni lontane si possono raggiungere intese fruttuose. Vorrei sottolineare un aspetto che sta particolarmente a cuore a Papa Francesco, cioè la vera natura del dialogo. In esso, nessuna delle due parti rinuncia alla propria identità e a quanto è essenziale allo svolgimento del proprio compito. La Cina e la Santa Sede non stanno discutendo sulla teoria dei rispettivi sistemi, né vogliono riaprire questioni che appartengono ormai alla storia. Stiamo invece cercando soluzioni pratiche per la vita di persone concrete, che desiderano praticare serenamente la loro fede ed offrire un contributo positivo al proprio Paese.

C’è una certa opposizione al dialogo tra il Vaticano e il Governo cinese. Lei che cosa pensa di questa opposizione e che cosa vorrebbe dire agli oppositori all’interno della Chiesa?

Come avviene in generale nelle questioni complesse e quando si è posti di fronte a problemi di vasta portata, anche nello specifico dei rapporti sino-vaticani è un fatto normale che si confrontino posizioni diverse e si propongano soluzioni altrettanto diverse, a seconda dei punti di vista da cui si parte e delle preoccupazioni che prevalgono. Perciò, non c’è da stupirsi di fronte alle critiche, che possono sorgere sia all’interno della Chiesa sia in Cina o in altre parti, per un’apertura che può apparire inedita dopo un così lungo periodo di confrontazione. E mi pare umano e cristiano manifestare comprensione, attenzione e rispetto per chi le esprime. Certo, non tutti i problemi sono risolti! Tante questioni debbono essere ancora affrontate e lo stiamo facendo con buona volontà e determinazione. Sono ben consapevole che qui nessuno ha in tasca la verità assoluta (o la bacchetta magica!), ma posso dire anche che siamo impegnati a cercare soluzioni durevoli, che siano accettabili e rispettose di tutti. Ovviamente, un’altra cosa sono le critiche che vengono da posizioni pregiudiziali e che sembrano mirare solo a conservare vecchi equilibri geopolitici. Per Papa Francesco — il quale è ben consapevole di quanto è avvenuto nel passato anche recente — il principale interesse nel dialogo in corso è di ordine pastorale. Egli sta compiendo un grande atto di fiducia e di rispetto per il popolo cinese e la sua millenaria cultura, con la motivata speranza di ricevere una risposta altrettanto sincera e positiva. La cosa davvero importante è che il dialogo sia in grado di costruire progressivamente un più vasto consenso proprio portando frutti abbondanti. Un primo e duplice frutto a ben guardare già c’è: da un lato, si inizia a superare le reciproche condanne, ci si conosce di più, ci si ascolta, si comprendono meglio le esigenze dell’interlocutore; dall’altro, si apre la prospettiva che due soggetti internazionali tanto antichi, vasti e articolati — come la Cina e la Sede Apostolica — divengano sempre più consapevoli della responsabilità comune verso i gravi problemi del nostro tempo. A sfide globali debbono corrispondere risposte globali. E il cattolicesimo per sua natura è un fatto globale, in grado di favorire in modo originale la ricerca di senso e di felicità, di consolidare il valore dell’appartenenza a una specifica cultura e nello stesso tempo di sperimentare la fraternità universale. Come ha sottolineato di recente un vescovo cinese, le comunità cattoliche in Cina chiedono oggi di essere pienamente integrate nella comunione universale, portando alla Chiesa il dono di essere cinesi.

Per la Chiesa cattolica l’inculturazione è sempre stata importante nel predicare il Vangelo. Ora la Cina sta compiendo una “sinizzazione” delle religioni. Lei che cosa pensa dell’inculturazione e della “sinizzazione”?

L’inculturazione è condizione essenziale per un buon annuncio del Vangelo, che per portare frutto richiede, da un lato, la salvaguardia della sua autentica purezza e della sua integrità e, dall’altro, di essere declinato secondo la peculiare esperienza di ciascun popolo e cultura. Ne è testimonianza esemplare la feconda esperienza di Matteo Ricci che ha saputo farsi autenticamente cinese all’insegna dei valori dell’amicizia umana e dell’amore cristiano. Per il futuro, sarà certamente importante approfondire questo tema, specialmente il rapporto tra “inculturazione” e “sinizzazione”, avendo presente che la leadership cinese ha avuto modo di ribadire la volontà di non intaccare la natura e la dottrina delle singole religioni. Questi due termini, “inculturazione” e “sinizzazione”, si richiamano a vicenda senza confusione e senza contrapposizione: possono essere in qualche maniera complementari e aprire prospettive per il dialogo sul piano religioso e culturale. Direi, infine, che i principali protagonisti di questo impegno sono i Cattolici cinesi, chiamati a vivere la riconciliazione, per essere autenticamente cinesi e pienamente cattolici.

La Santa Sede ha svolto un ruolo positivo nell’aiutare la Cina a vedersi riconosciuti gli sforzi per dare un giro di vite contro il traffico di organi. Esistono altri ambiti in cui le due parti possono lavorare insieme?

Come accennavo poco sopra, molte sono oggi le sfide globali che chiedono di essere affrontate con spirito di positiva collaborazione. Penso qui in particolare alle grandi questioni della pace, della lotta contro le povertà, delle emergenze ambientali e climatiche, delle migrazioni, dell’etica dello sviluppo scientifico, del progresso economico e sociale dei popoli. Per la Santa Sede è di primaria importanza che in tutti questi ambiti venga rimessa al centro la dignità della persona, a cominciare dal concreto riconoscimento dei suoi diritti fondamentali ivi compreso quello alla libertà religiosa, e il bene comune, che è il bene di tutti e di ciascuno. Sono orizzonti molto ampi che oggi più che mai esigono un impegno comune da parte di tutti, credenti e non credenti. La Santa Sede continuerà a fare la propria parte nel quadro della comunità internazionale ed è disponibile ad ogni iniziativa che promuova il bene comune.

Questo è un tempo difficile per tutto il mondo, e in particolare per alcuni paesi. Che cosa potrebbe dire lei, personalmente, come uomo di fede, ai leader politici?

Oggi più che in passato i leader politici sono chiamati a enormi responsabilità. Quanto accade a livello locale ha quasi immediatamente ripercussioni sul piano globale. Tutti siamo interconnessi, per cui le parole e le decisioni di pochi influenzano la vita e il modo di pensare di molti. Come uomo di fede e come sacerdote vorrei invitare chi ha responsabilità politiche dirette a tener conto di questo potere di influenza sui popoli, un potere che può dare le vertigini. Vorrei dire loro che anche nelle situazioni più difficili e di fronte alle scelte più complesse non abbiano timore di alzare lo sguardo, al di là dei successi immediati, per cercare senza precondizioni soluzioni durevoli e lungimiranti, che contribuiscano a costruire un futuro più umano, più giusto e più degno per tutti. Mi permetto di indicare, a questo proposito, il messaggio di Papa Francesco per la celebrazione della cinquantaduesima Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2019, dal titolo: «La buona politica al servizio della pace», che offre preziose indicazioni a tutti coloro che hanno responsabilità politiche.

Lei ha trattato con i rappresentanti cinesi per molti anni. Qual è il ricordo più forte di questo periodo? E quello più bello?

Conservo vivi e grati ricordi del periodo in cui, come sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, ho trattato con i rappresentanti cinesi e ringrazio il Signore per avermi concesso di fare questa bella esperienza. Non sono mancati, ovviamente, preoccupazioni e timori. In non poche occasioni mi è sembrato che non avremmo mai fatto dei progressi e che tutto si sarebbe interrotto. Ma è prevalsa, da entrambe le parti, la volontà di andare avanti e, con pazienza e determinazione, abbiamo cercato di superare gli ostacoli del cammino. Ecco, precisamente ciò è rimasto particolarmente impresso nella mia memoria. I momenti più belli sono stati quelli in cui abbiamo vissuto insieme momenti di familiarità e di amicizia, che ci hanno consentito di conoscerci e di apprezzarci di più e, in fin dei conti, di condividere l’umanità che ci accomuna al di là delle differenze che esistono fra di noi. Si tratta di situazioni che hanno un profondo valore in sé stesse, ma che sono state pure utili a creare un’atmosfera più favorevole durante i negoziati. Ricordo, in particolare, un’intera giornata trascorsa ad Assisi con la delegazione cinese in una domenica di primavera: gli affascinanti luoghi francescani e il clima che si era creato fra di noi mi aprì il cuore a una grande speranza, che mi ha sostenuto in tutti gli anni successivi e che ancora mi sostiene. Di essa abbiamo visto le prime realizzazioni e, con la grazia di Dio, ne vedremo di ulteriori, a beneficio di tutta la comunità cattolica cinese, che abbraccio fraternamente — in primo luogo quanti hanno maggiormente sofferto e soffrono — e di tutta la popolazione di quel Paese, alla quale auguro sinceramente ogni bene.

Ha un messaggio particolare per il popolo cinese e per i suoi leader?

Vorrei trasmettere ai leader, ma anche a tutti i cinesi, il saluto, l’augurio e la preghiera di Papa Francesco. Ai cattolici, in particolare, il Santo Padre chiede di intraprendere con coraggio il cammino dell’unità, della riconciliazione e di un rinnovato annuncio del Vangelo. Egli guarda alla Cina non solo come a un grande paese ma anche come a una grande cultura, ricca di storia e di saggezza. Oggi la Cina è tornata a suscitare dappertutto grande attenzione e interesse, specialmente nei giovani. Al riguardo, la Santa Sede spera che la Cina non abbia timore di entrare in dialogo con il più vasto mondo e che le Nazioni del mondo diano credito alle profonde aspirazioni del popolo cinese. In tal modo, lavorando tutti insieme, sono certo che potremo superare le diffidenze e costruire un mondo più sicuro e più prospero. Con le parole di Papa Francesco diremmo che solo uniti possiamo vincere la globalizzazione dell’indifferenza, operando come creativi artigiani di pace e tenaci promotori di fraternità.