Nei sistemi democratici classici ogni partito che non voglia restare bloccato ad vitam aeternam al 2% dei voti ha il problema non semplice di essere “di parte” ma anche – al contempo – di rappresentare un interesse generale che serve a legittimarlo come forza di governo dell’intero Paese. Questo naturalmente in teoria: la pratica spesso è tutt’altra realtà.

Nel momento in cui aspirano a governare, centrodestra e centrosinistra devono avere una visione generale del Paese, una “narrative” dal forte richiamo simbolico. La Sinistra è tradizionalmente attenta a una società più equa nella distribuzione delle risorse (e nel contrasto agli effetti distorsivi prodotti dalla pandemia) con un minore livello di conflittualità. La Destra è tradizionalmente attenta allo Stato come garante (“law and order” di non trumpiana memoria) del necessario interesse generale.

In questo mix di atteggiamenti diversi si situa l’identità dei due attori della competizione politica democratica. Ora, il fatto centrale accaduto in Italia è il progressivo abbandono delle rispettive identità storiche da parte delle forze politiche. Da tempo, infatti, la Sinistra ha smesso i panni di protettrice del lavoro dipendente. Ha accettato la proliferazione di forme di lavoro sempre più deboli e precarie. Allo stesso modo, ha accettato che l’istruzione (già derisa dal dibattito sui “banchi a rotelle” e sulla Dad) abbandonasse la centralità del merito e del bisogno. Naturalmente non è solo Letizia Moratti a ipotizzare prestazioni sanitarie “differenziate” tra le regioni italiane (basate sul Pil e sulla ricchezza). Ancora, la Sinistra sembra aver deposto qualunque atteggiamento critico nei confronti del cosiddetto establishment. Anzi, quest’ultimo viene spesso visto e considerato da buona parte della Sinistra come il proprio “editore di riferimento”. L’ingegnere Carlo De Benedetti ha giustificato la nascita del quotidiano Domani con un presunto “deficit di informazione a Sinistra”. Qualche domanda bisognerebbe anche porsela.  

Non meno evidente è, da parte della Destra, l’abbandono del cosiddetto “senso dello Stato”. Durante i 365 giorni trascorsi dalla prima manifestazione pubblica del Covid in Italia (è di un anno fa il ricovero della coppia cinese allo Spallanzani) soprattutto sui giornali della Destra si è notato un continuo dileggio a prescindere, nei confronti di qualsiasi disposizione proveniente dalle autorità. Quasi un invito, più o meno esplicito, a una disobbedienza da Dpcm. Non è un fenomeno isolato. E’ piuttosto la prosecuzione di un ribellismo che cerca di far leva sui danni prodotti dalla pandemia a determinate categorie sociali (ristori) e in vista di questo fine si incoraggiano forme di elusione fiscale soft e aggiramento di divieti e restrizioni. In questo scenario, la Destra evidenzia un concreto disinteresse per rimediare all’inefficienza della pubblica amministrazione, nel tentativo di sanzionare soprusi e scorrettezze. Lo stesso disinteresse manifestato per i tanti fenomeni (piccoli e grandi) di disgregazione del tessuto sociale, di frantumazione dell’unità del Paese. Per i tanti localismi, ad esempio sui “furbetti” nella campagna di vaccinazione nazionale. 

Dalla perdita (o comunque dall’abbandono) delle rispettive identità storiche nasce in gran parte il vuoto pneumatico in cui si dibatte la vita politica nazionale. Da qui infatti il suo carattere sempre più casuale e occasionale, la sostanziale insensatezza dei suoi dibattiti, dettati solo dall’attualità più immediata e stringente, perciò destinati a esaurirsi in pochi giorni. Dibattiti che non hanno mai al centro nessuna delle grandi questioni vitali del Paese (ad esempio come “gestire” i 209 miliardi del Recovery Fund) e nessuna prospettiva di lungo periodo. Da qui anche il carattere del tutto nomade della affiliazione politica, come stiamo vedendo durante l’ultima crisi di governo. Il tutto in una atmosfera di totale improvvisazione, dilettantismo politico e miseria culturale. 

Mentre scriviamo, non sappiamo come si concluderà la triste vicenda della crisi di governo. Registriamo le parole – di grande equilibrio e saggezza – del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al termine del primo giro di consultazioni. “È doveroso dar vita presto a un governo, con adeguato sostegno parlamentare, per non lasciare il nostro Paese esposto all’emergenza sanitaria, sociale ed economica in questo momento così decisivo per la sua sorte”.