In soli due mesi di pandemia:  + 300.000  disoccupati e + 750.000 inattivi, persone cioè che non cercano nemmeno più un’occupazione e, tra poco, ci sarà il via libera ai licenziamenti per ora bloccati. Dalla crisi sanitaria ci infiliamo in una crisi sociale dai caratteri simili a quella del secondo dopoguerra. Già nel Giugno dell’anno scorso avevo scritto di questo tema che, con la pandemia non ancora conclusa, si sta terribilmente aggravando. Quando sarà finita l’emergenza, infatti, i governi di tutto il mondo dovranno affrontare il tema drammatico del disagio sociale. Un disagio tanto più grave in Italia che, accanto ai fenomeni di natura sociale ed economica, dovrà affrontare anche quelli di ordine istituzionale. Dopo il potere legislativo e quello esecutivo, con quanto è accaduto nel CSM e nella magistratura, siamo alla crisi di sistema.

Il Legislativo vive la condizione malferma di un parlamento espressione di una metà dell’elettorato e risultato di una legge elettorale incapace di garantire una maggioranza stabile di governo. L’esecutivo, come quello sorto dopo il voto del 4 Marzo 2018, figlio  della situazione di cui sopra, sostanzialmente era l’espressione di un “contratto necessitato”, che ha comportato l’avvio di un’alleanza di tipo trasformistico tra due partiti, M5S e Lega, portatori di interessi e di valori diversi e per molti aspetti alternativi. Un’alleanza andata in crisi nell’agosto scorso, sostituita da quella rosso-verde M5S-PD-LeU-ItaliaViva, anch’essa espressione di una condizione politica di emergenza e di necessità.

Lo sfascio che sta vivendo il CSM, infine, è il segnale drammatico di una crisi della giustizia con la quale appare in tutta la sua evidenza, la crisi di sistema dell’Italia. Si aggiunga (risultato delle politiche maldestre del governo giallo verde) il più forte isolamento internazionale patito dall’Italia nell’Europa, della cui Unione il nostro Paese è socio fondatore, per una politica estera ondivaga tra le rituali ubbidienze alle tradizionali alleanze occidentali e le pericolose aperture leghiste verso la Russia di Putin e pentastellate verso la Cina di Xi Jinping. Un isolamento che, solo con le nomine successive, dopo le elezioni europee, alla presidenza del Parlamento europeo di Sassoli e nella Commissione UE di Gentiloni e la paziente azione svolta dal premier Conte, si è potuto superare in Europa.

Anche sul fronte degli enti locali, dopo l’infausto riforma del Titolo V° della Costituzione, si vive con forti  e diverse preoccupazioni l’irrisolto tema della  maggiore autonomia delle regioni del Nord e dell’eterna questione meridionale. Continua la crisi strutturale dei bilanci di molti comuni italiani,  la confusa situazione della chiusura-non chiusura delle province con tutti i problemi di attribuzione delle competenze tra le stesse province, i  comuni capoluogo  e le città metropolitane nate, sin qui, solo sulla carta . Una  situazione di difficoltà e di crisi evidenziatasi ancor di più nella complessa gestione sanitaria della pandemia, con la confusione derivata dalle competenze esclusive e concorrenti tra Stato e Regioni. Ha sopperito sin qui la volontà di collaborazione che, tanto i responsabili dei governi regionali che la presidenza del Consiglio hanno saputo mettere in campo, pur con qualche distinguo e voglia di protagonismo, soprattutto per taluni, in funzione pre elettorale.

Se osserviamo anche la condizione della società civile, utilizzando la mia teoria euristica dei quattro stati: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non stato, ciò che emerge è il prevalere di una condizione di anomia morale, culturale, sociale, economica e finanziaria, caratterizzata dal prevalere di una scarsissima solidarietà di tipo meccanico funzionale, dal venir meno delle comunità, da una diffusa condizione di frustrazione premessa di possibili fenomeni di rivolta sociale, sin qui sotto traccia.

Al dramma sanitario vissuto dal Paese, si aggiungono le prospettive per alcuni versi ancora più ampie delle ricadute economiche e sociali. Il disagio sociale è caratterizzato da un’accentuazione sia delle diseguaglianze territoriali, che quelle tra i cittadini con l’ulteriore erosione del ceto medio e la divaricazione più severa tra ricchi e poveri. Il disagio sociale rischia contemporaneamente di ampliare il bacino di reclutamento della criminalità e di accentuare le spinte separatiste delle aree più sviluppate del Paese. Parimenti si stanno rafforzando le tendenze di forte contestazione alle politiche comunitarie, fino a un potenziale allontanamento dall’Unione europea, alimentate da culture sovraniste che, proprio nel dramma della pandemia, hanno rivelato la loro sostanziale inconsistenza e incompetenza di fronte a fenomeni globali che reclamano soluzioni di forte cooperazione internazionale. Se non si riprende il terzo stato produttivo già provato prima del Covid19 e adesso totalmente in ginocchio, la crisi rischia di diventare irreversibile.

Quali sono oggi gli interessi e i valori prevalenti? Interessi “particulari”, innanzi tutto,  e “bene comune” ridotto a un oggetto misterioso per lo più dimenticato. Sul piano dei valori sono più diffusi quelli di natura egoistica, di esclusione e di chiusura alla comprensione e all’ascolto. Di qui la riduzione della politica a slogans di immediata e facile comprensione, con la comunicazione prevalente e diffusa dei social media e la politica ridotta a tweet e a scambi spesso irripetibili su facebook e instagram. La pandemia ha fatto, tuttavia, riscoprire valori di solidarietà e comunità di straordinario impatto sociale. Immediata la reazione di segno contrario quella emersa dalla manifestazione della destra e dei “pappalardini” del 2 Giugno a Roma.

Col venir meno dei  riferimenti politico  culturali  tradizionali, quelli che sono stati alla base della nascita della Repubblica e del patto costituzionale, nell’attuale deserto delle culture politiche, lo strumento essenziale per offrire la soluzione storico politica all’ esigenza dell’equilibrio tra interessi e valori, ossia al ruolo proprio  della politica, risulta inesistente e/o incapace di dare risposte,  si ricorre a sporadici e occasionali mezzucci, più in linea con le tecniche di propaganda che con soluzioni e proposte di ampio respiro e di lungo periodo.

In questa condizione di crisi di sistema, la maggioranza giallo rossa al governo, ahimè, con la crisi della sinistra e l’assenza di un centro democratico, popolare e liberale credibile, sembra non avere alternative concrete; salvo quella  di un’alleanza di estrema destra, tra Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia con la Lega,  a netta dominanza salviniana. Una maggioranza quest’ultima che, se prevalesse, darebbe, dopo settant’anni di vita della Repubblica, la guida del Paese alla destra estrema e porterebbe al più grave isolamento dell’Italia in Europa.

Per uscire da questa grave crisi di sistema servirebbe un profondo mutamento spirituale e culturale, prima ancora che politico e organizzativo, senza il quale, temo, sarebbe impossibile affrontare le tre questioni essenziali del caso italiano:

  1. la questione antropologica, che attiene ai valori fondamentali della vita:
  2. la questione ambientale, su cui si gioca il destino dell’umanità e del pianeta Terra;
  3.  la questione del nostro stare insieme nell’Unione europea, collegato al tema della sovranità monetaria e della sovranità popolare da cui dipendono tutte le altre riforme per garantire lavoro, pace e sicurezza al nostro Paese e alla quale sono strettamente connesse tutte le gravi conseguenze economiche e sociali post pandemiche.

Quanto al primo tema si tratta di testimoniare e tradurre sul piano istituzionale le indicazioni della dottrina sociale cristiana: dall’”Humanae Vitae” di San Papa Paolo VI a quelle di Papa Francesco. Quanto al tema ambientale, si tratta di impegnarci a tradurre sul piano politico istituzionale quanto indicato da Papa Francesco nella sua straordinaria enciclica “ Laudato Si”. Insomma serve rimettere in campo la cultura del popolarismo, unica in grado di offrire risposte convincenti ispirate dai valori della solidarietà e della sussidiarietà nell’età della globalizzazione.

Sul terzo tema, come vado scrivendo da molto tempo, si tratta di ripristinare la legge bancaria del 1936: tornare al controllo pubblico di Banca d’Italia e, nell’Unione europea, della BCE e reintrodurre la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. I provvedimenti suddetti sono necessari per una ripresa di sovranità monetaria e popolare, pur nel rispetto dei limiti consentiti dalla nostra appartenenza all’UE e sarebbero in linea con la migliore tradizione della DC in materia di politica bancaria e finanziaria da essa sostenuta con Guido Carli, sino all’infausto decreto Barucci-Amato del 1992, che determinò il superamento della legge bancaria del 1936.

Il sottosegretario al ministero del Tesoro e finanze, On Alessio Villarosa, che ben conosce questi temi, potrebbe/dovrebbe farsi carico urgentemente di queste indicazioni, trascinando il M5S dalla fase delle proteste a quello delle proposte di riforma reali per il bene del Paese. Senza questa riforma di struttura finanziaria, anche “il Piano di rinascita” annunciato ieri dal premier Conte rischia, altrimenti, di tradursi nell’ennesimo libro dei sogni.