Ddl Zan e opzione donna: conflitto di genere.

Ragioniamo sugli effetti che il Ddl Zan può provocare sul terreno pensionistico. Ancora non sono state esaminate le implicazioni che scaturiscono dalla ‘assolutizzazione’  del tema riguardante la tutela delle persone appartenenti all’universo lgbtq. Alcuni aspetti problematici possono essere già individuati, se si adopera la lente del corretto discernimento.

 

Francesco Provinciali

 

Che non sappia la destra ciò che fa la sinistra non riguarda solo le nostre mani. Anche in politica l’aforisma trova frequente dispiego: anzi le contraddizioni spesso si giocano in casa, da ambo le parti. La sinistra si ingarbuglia e si incarta da sola, dal centro a sinistra, e l’orchestrina della destra si allunga e si accorcia come una fisarmonica ad ampio mantice, dal centro a destra. È di questi giorni la notizia di una ripresa in considerazione del tema pensionistico, il Presidente Draghi è pressato da richieste di revisioni ma la sua ben nota perspicacia gli permette di arrivare da solo a capire che, mutatis mutandis, tra ruota della storia che gira, corsi e ricorsi, evidenze economiche e contingenze epocali ….niente al mondo dura per sempre, fosse anche la più limata e architettata riforma delle pensioni.

 

Come ricorda Giuliano Cazzola – un vero esperto del settore – in una intervista su “www.pensionipertutti”del 22/7 u.s., “il Decreto salva Italia del 2011 conteneva una riforma approvata da una maggioranza di due terzi dei parlamentari in ambedue le Camere, considerata ottima da tutti gli osservatori internazionali, difesa dalla U.E. , che non ha prodotto nessuno degli effetti devastanti di cui è accusata, tanto che l’Italia è diventata il Paese dell’anticipo, poiché il numero delle pensioni anticipate supera di circa due milioni quello dei trattamenti di vecchiaia”. Da parte sua il magazine sussidiario.net del 13/8, partendo dall’analisi di Patrizia Del Pidio su orizzontescuola.it, e considerando gli scenari per il post-quota 100, avanza quello di una possibile proroga biennale per l’APE sociale. Si accenna così ad una ventilata estensione del range dei beneficiari che includa “il pensionamento anticipato anche alle categorie definite fragili” ma non solo: nell’agenda politica del Governo prenderebbe sempre più consistenza l’ipotesi di un prolungamento dell’opzione donna che da un lato consentirebbe alle beneficiarie di continuare ad avvalersi dell’anticipo pensionistico mentre dall’altra, sulla base dei dati forniti dal Tesoro, non costituirebbe un aggravio per le casse dello Stato a motivo della compensazione determinata dal ricalcolo interamente contributivo.

 

Su Vanity Fair del 12 agosto questa evenienza viene confermata in tutta la sua postulata attesa: “Uno dei problemi da affrontare è però sicuramente la situazione femminile, per cui al momento è presente la misura di Opzione Donna, un sistema che prevede il prepensionamento per la componente femminile della popolazione, che garantisce l’accesso in anticipo alla pensione sia per le lavoratrici autonome che per quelle dipendenti. Si tratta di una misura che prevede che le donne, con 35 anni di contribuzione, possano interrompere il lavoro e accedere alla pensione già a 58 anni, per le lavoratrici dipendenti, e 59 per le autonome. Una delle ipotesi sul tappeto è quella di dare a questo intervento una fisionomia quasi strutturale”.  Questa conferma è attesa come parte della possibile riforma prevista per l’autunno, insieme alla “quota 41” che sostituirebbe “quota 100”, ovvero la possibilità di lasciare il lavoro al compimento del 41° anno di servizio, indipendentemente dall’età anagrafica. Oggettivamente tutto è legato al peso che questi ritocchi avranno sulla bilancia governativa degli eventuali aggiustamenti da fare, tenuto conto degli altri temi caldi: gestione della pandemia, ipotesi del 3° vaccino, green pass, lezioni in presenza, blocco dei licenziamenti, reddito di cittadinanza, ius soli, recovery plan, Ddl Zan.  Per citare i più dibattuti.

 

Sempre che il Ddl Zan non definisca “sessista” questa scelta accondiscendente verso il mondo del lavoro al femminile. Detta così può sembrare una sciocchezza, ma in realtà mette a nudo la vulnerabilità e il pericolo di interpretare alla lettera il  “coming out “che il Ddl Zan postula e sostiene. Perché – come accaduto in altri ambiti della vita civile e dello sport – se passa la linea dell’identità sessuale “percepita” come prevalente rispetto a quella data da madre natura (espressione forse anch’essa discriminante nella definizione del genere femminile della natura) potrebbero verificarsi dei casi di traslazione di genere per beneficiare di questa opzione, attualmente definita “donna”. Uomini che diventano donne all’anagrafe.

 

Secondo Vanity Fair una analisi sul tema delle pensioni “al femminile” mette anche in rilievo il fatto che le stesse siano ‘sempre’ inferiori a quelle degli uomini. Un’incongruenza che si stima in una minusvalenza media di 498 euro mensili. Questo potrebbe di converso dissuadere aspiranti pensionandi uomini a percepirsi e dichiararsi al femminile per usufruire dell’opzione donna, ma potrebbe ispirare qualcuna che si “sente uomo” ad un improvviso cambio di genere opposto. Chi spinge per una celere approvazione del Ddl Zan come se fosse l’ombelico dell’universo esistenziale, dovrebbe riflettere su queste eventualità che non sono fantascientifiche, ma fanno parte delle possibili derive innescabili dal testo attuale del disegno di legge.