Democrazia: provocazioni dal (mancato) voto locale. L’analisi di “Aggiornamenti Sociali”.

Riportiamo la parte centrale (“Non esiste un unico astensionismo”) dell’editoriale, a firma di Padre Giuseppe Riggio, che apre il numero di novembre della rivista dei gesuiti di Milano.

La ricerca delle possibili ragioni per spiegare la contrazione significativa nel numero dei votanti deve tenere in conto la complessità della realtà. Alcuni non vanno a votare per disaffezione e disillusione: non si riconoscono in nessuna delle proposte politiche presentate, ritenute distanti, screditate, “pubblicitarie”, ecc., per questo ritengono inutile esprimersi. Diversa è la situazione di coloro che non sono critici nei confronti della politica, ma pensano che il loro voto non possa realmente incidere, perciò decidono di non “sprecarlo”. Questo comportamento si può verificare quando si considera come già acquisito l’esito delle elezioni oppure quando si ritiene che non vi sia una grande differenza tra le proposte dei vari candidati e partiti, per cui la vittoria di uno o dell’altro non avrebbe significativi risvolti pratici. Poi vi sono coloro che sono semplicemente disinteressati ai temi politici o disinformati, a cui si aggiungono – ma costituiscono un caso a parte e fisiologico – quanti non possono recarsi al voto per ragioni oggettive (ad esempio, anziani, malati). Volti distinti di un unico fenomeno, che viene in genere riassunto con la parola “apatia”: di fronte a una situazione che non suscita (o non suscita più) nessun tipo di passione, si resta indifferenti e passivi, non si trova più nessuna spinta effettiva a compiere un’azione, in questo caso quella di votare. L’accento sull’apatia pone l’attenzione sui comportamenti dei cittadini, ma rischia di lasciare in ombra l’altro polo in gioco, quello dell’offerta politica e della sua qualità. In elezioni che non sono particolarmente contese, l’invito a “turarsi il naso” fatto nel 1976 da Indro Montenelli non ha nessuna presa. Perché andare a votare quando ritengo che i vari candidati siano scarsamente preparati? Perché dovrei essere obbligato a comprare un “prodotto” di scarsa qualità?

 

Diversa è l’astensione motivata dalla protesta, dalla sfiducia, dalla contestazione nei confronti del sistema istituzionale e politico nel suo insieme e sugli esiti delle politiche messe in atto. In questo caso le critiche hanno come obiettivo principale la classe dirigente, senza fare troppa distinzione tra quanti sono al governo, chiamati all’esercizio del potere, e coloro che sono all’opposizione, con il compito di dare voce ad altre visioni e soluzioni. L’insoddisfazione è tale che non si trova neanche una motivazione sufficiente per dare un voto di protesta a forze politiche che siano fuori dal “sistema”. L’astensione è allora il mezzo scelto per esprimere il proprio dissenso radicale nella sfera delle istituzioni, mentre le proteste nelle piazze danno voce, alle volte in modo convulso, a un malessere profondo.

 

Ci troviamo di fronte, pertanto, a fenomeni tra loro distinti, che si traducono in una scelta di astensione, più o meno consapevole secondo i vari casi. Nonostante questa varietà, si può comunque rintracciare un elemento di fondo comune: tanto l’astensionismo apatico quanto quello di protesta segnalano che è venuto meno un tassello essenziale perché il circuito democratico, in particolare la relazione tra cittadini e istituzioni, possa funzionare adeguatamente. Questo tassello assente può essere identificato nella fiducia nella politica, nell’adeguata informazione, nell’interesse per quanto accade nella propria città o nel proprio Paese… Però, in modo più radicale, ciò che è venuto a mancare è la percezione dell’importanza del proprio voto, che non è più ritenuto uno dei modi privilegiati per esprimere la propria voce nella società, per sostenere idee e soluzioni in cui si crede per interessi, bisogni e aspettative riconosciuti prioritari. Il crescente astensionismo certifica allora la sensazione di espropriazione della cittadinanza e di impotenza nutrita da quanti si sentono inascoltati e pensano che in ogni caso il loro voto non cambierebbe nulla, costretti a subire le conseguenze di decisioni prese sopra le loro teste. Una dinamica che si ritrova anche nei vari complottismi, che prendono sempre più forza nell’ultimo periodo e si alimentano proprio della sensazione di essere esclusi dai processi decisionali (cfr Riquer C., «Croyance et complotisme», in Ètudes, giugno-luglio [2021] 65-73).

 

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