L’intenso rapporto umano e spirituale tra lo statista e la figlia religiosa delle Suore dell’Assunzione. Lucia raggiungerà suo padre in Paradiso il 5 dicembre 1966, a soli quarantun’anni, lasciando la madre e le sorelle in un dolore immenso per la prematura dipartita. Riposa nel cimitero del Verano. 

Luciano Cardinali

Da qualche giorno Lucia chiedeva al padre di dedicarle un tempo tutto per lei e finalmente De Gasperi la accontentò. Un sabato mattina del marzo 1947: le gemme turgide dei platani del Gianicolo non lasciavano dubbi sull’arrivo della primavera. Lucìola, come vezzeggiativamente veniva chiamata in famiglia, non la prese alla larga e disse con chiarezza a suo papà che, dopo lunga meditazione, aveva deciso di consacrarsi al Signore entrando in convento. Turbato, egli le domandò – parafrasando Montalembert – chi mai fosse quel «ladro divino» che ruba le figlie ai padri, ma subito dopo si mostrò dolcissimo ed ebbe parole piene di comprensione. Gli ultimi mesi prima del distacco furono difficili: molti addii, tante spiegazioni, un impegnativo esercizio di umiltà e di pazienza per chi invece, al colmo della gioia e dell’energia, vorrebbe solo volare libero verso i sentieri della volontà di Dio. 

Talvolta De Gasperi, di fronte alle piccole tenerezze di Lucia che gli porgeva il caffè o gli recava i giornali, le chiedeva di non farlo più, di iniziare a disabituarlo alle sue cure, ma in realtà ne aveva compresa la decisione. Le scrisse: «So bene che tu hai scelto il meglio, che il Signore ha maggior diritti su di te per una paternità più alta e priore, so che saremo uniti nello spirito e vivremo ancora nel Suo comune servizio; ma perderò la tua familiarità, la tua vicinanza, il tuo soccorso. A questo pensiero do talvolta un’impressione di impazienza. Lascia andare, non badarci: è l’egoismo che rigurgita. Poi viene il sereno della comprensione, della fiducia in Dio e anche della gratitudine verso di Lui, che ti ha eletto nonostante l’indegnità mia». Il 27 novembre 1947 Lucia si laureò a pieni voti in Lettere antiche, discutendo una tesi su La concezione morale di Esiodo, e il pomeriggio del 7 dicembre successivo, vigilia dell’Immacolata, fece il suo ingresso tra le suore dell’Assunzione. Prima di lasciare l’abitazione di via Bonifacio VIII, che per tanti anni era stata la sua casa, entrò nello studio del padre per congedarsi da lui e chiederne la benedizione. «Oh no, non debbono portarti via, verrò io stesso ad accompagnarti nella casa del Signore!», le rispose. Il portone di un Istituto religioso di viale Romania si chiudeva alle spalle della secondogenita, ma il legame affettivo e spirituale tra padre e figlia non si spezzerà; anzi, modulato in forme nuove, si intonerà a una comunione di pensieri e di intenti profonda e calorosa. 

Si realizzava quanto don Luigi Moresco, suo direttore spirituale, aveva detto a Lucia quindicenne che gli chiedeva di passare al vaglio la vocazione che sentiva di aver ricevuto: «Conserva questa scintilla nel cuore, che poi diventerà fiamma e sarà la benedizione della tua famiglia». La vita religiosa di suor Lucia non sarà lunga, ma di certo fu luminosa. Fu insegnante amatissima dalle sue scolare, sulla cui formazione incise in profondità, ma soprattutto fu una suora felice, convinta della sua scelta, assidua alla preghiera e allo studio mai abbandonato, dalla vita spirituale coltivata e custodita con cura. Dalla lettura dei suoi scritti, il dato costante che emerge è una grande libertà interiore: anche a fronte di una certa facilità di contatto e della capacità di stringere relazioni autentiche, ella sapeva riservare un margine di distacco perché tutto fosse schietto e limpido, perché il tratto dell’umanità, anche nelle sue forme più nobili ed elevate, non snervasse la sua missione di consacrata: indicare Dio e sparire. Scrive: «Dio vuole per me una grande solitudine. Io gli chiedo di coltivare in me un grande amore per gli altri, ma un amore puro, che non richieda nulla, né un appoggio, né una consolazione, né uno sguardo». In un appunto del 7 giugno 1953 annota: «Quando si hanno in qualche modo delle pecorelle da fare pascere, siano pure delle alunne del liceo, c’è sempre il pericolo di dimenticare che sono del Cristo». Il suo desiderio giovanile, cantato in una poesia in cui esprimeva l’anelito a «tendere all’alto come fiore alpino, e bere luce e illuminare il mondo», si compiva in maniera libera e fruttuosa nella strada che il Signore le aveva indicato e che ella decisamente percorreva. 

Dal silenzio del chiostro, mai dimenticò la sua famiglia di origine. Ogni compleanno, onomastico, anniversario, ogni occasione di vita domestica erano impreziositi da un verso, da un biglietto, da un fiore. Non lasciava mai cadere il ricordo di nessuno. Specialmente, come si diceva, non si interruppe mai il dialogo con il padre, il quale di carattere era animato da un inestinguibile bisogno di calore che alimentasse la sua fede testarda nell’umanità. Sapendolo assorbito in un’attività politica svolta a ritmi serrati e confidando che la sua preghiera potesse guidarne l’opera secondo giustizia e rettitudine, suor Lucia prese a inviargli biglietti contenenti riflessioni di natura spirituale per sostenerlo nella sua vita di fede, animata in questo da una convinzione condivisa, che cioè entrambi, in modo sensibilmente diverso ma contiguo, offrissero la loro opera a Dio svolgendo una comune missione a vantaggio degli uomini; e a chi stava in convento spettava di pregare per chi invece lavorava nel mondo: «Che il mio silenzio dia a te la parola efficace che porta frutto». 

 

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