L’autore risponde a un recente articolo di Pio Cerocchi, apparso sul nostro giornale online. Alla sottile accusa di un Papa responsabile di cedere alle insidie della secolarizzazione, viene qui esplicitata la natura profonda dei cambiamenti avvenuti e ancora in corso, tanto da far dire in conclusione: “Bergoglio non c’entra”.

Ho letto giorni fa su questo  giornale online un interessante articolo di Pio Cerocchi sulla crisi della Chiesa cattolica, dal titolo: “Una voce profetica forse. La Chiesa di Francesco a una svolta”. Ci ritorno in punta di piedi, e da laico, perché l’argomento merita ed è serio.

Cerocchi si sofferma su due aspetti importanti, tra loro  strettamenti legati. Da un lato vede il Papa che, facendo leva sui media, vuole ringiovanire e rinnovare la Chiesa, ma  non si accorge che il cristianesimo è in profonda crisi giacché si trova di fronte a una “…diffusa non credenza”. Dall’altro vede questa crisi aggravata dai vergognosi e incredibili fatti interni: la pedofilia in Francia,  come pure la faccenda  Becciu.  Alla fine non si scoraggia, e riempie di speranza le parole di Benedetto XVI quando denuncia  “…l’eccesso di mondanità”  della  Chiesa.

In linea di massima sono daccordo. La crisi della Chiesa su cui riflette Cerocchi, mi ha però fatto fare un tuffo nel passato. 

La secolarizzazione

Nei primi anni ’70, Franco Ferrarotti invitò Sabino Acquaviva nella facoltà di sociologia – appena inaugurata  a Roma – per tenere una conferenza-lezione sul suo famoso libro, frutto di un’ampia ricerca, edito nel lontano 1961: “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale“. Un classico di ‘Sociologia della Religione’, pieno di dati statistici. Lo studio di Acquaviva era tutto concentrato sulla secolarizzazione annunciata se non galoppante. Comprai  in quella occasione dell’incontro il libro,  che  tengo (caro)  a casa con la firma  di Acquaviva, e non posso nascondere che i primi stimoli su questa crisi me li fornì proprio il suo studio.  

Ebbene, non mancarono le polemiche sulle tesi formulate nel volume. Infatti, uscì dopo qualche tempo un libro di due sociologi in aperto contrasto con Acquaviva, mentre alcuni anni dopo lui stesso avrebbe ammorbidito le conclusioni, eccessivamente pessimistiche, chi era pervenuto. Oggi, del resto, non mancano gli studiosi che affrontano criticamente la questione della post-secolarizzazione. Benedetto XVI, a distanza di circa mezzo secolo, riprende e rafforza l’allarme lanciato a suo tempo: la “Secolarizzazione è ormai un processo che non interessa soltanto la società, poiché “…si trova addirittura all’interno della stessa chiesa”.

Che Benedetto avesse capito molto –  se non tutto –  sulla realtà della Chiesa che ha incontrato, sulle sue distorsioni e i suoi stretti contatti con ‘l’immanenza’ affaristica, a scapito della ‘trascendenza’ religiosa, sono in molti a sostenerlo. Forse i loro pareri sono stati accompagnati – o lo sono tuttora? – da qualche precipitoso e maligno sospetto sulle sue dimissioni. Fatto sta che anche Benedetto ha dato spazio a qualche preoccupazione, soprattutto nell’estabishment ecclesiale conservatore, quello che ancora oggi stenta a capire come va il mondo e come si stanno ribaltano le cose del mondo; quello bloccato cioè sulle glorie passate, sui ruoli di potere e prestigio, su una pastorale rivolta ad una società del primo Novecento, anziché lavorare – Vangelo alla mano – per affrontare i traumi sociali e culturali emersi dalla storia che respiriamo. D’altronde, “Il Vangelo nella storia” e “Con Dio e con la Storia” sono due titoli di libri che il “cattocomunista” Giuseppe Dossetti – antifascista e membro attivo nella Commissione dei 75 dell’Assemblea Costituente per la  redazione della nostra “…Costituzione sovietica” – così definita da Giuliano Ferrara – ci ha lasciato in eredità. Due titoli e due libri dimenticati. Sia dal clero, sia dai laici.

La Pastorale 

Non ci dovrebbero essere allora molti dubbi sul fatto che il lavoro che la Chiesa è chiamata a compiere, come pure la sua Pastorale, devono partire dal Vangelo, quindi dalla trascendenza e dalla preghiera.

Ma è un paziente  lavoro rivolto alla comunità dei fedeli, che se teso a creare vincoli e rapporti umani all’insegna dell’amore, deve nello stesso tempo tenere gli occhi sempre ben aperti sui terremoti economici, sociali e culturali in corso, con cui si confrontano quotidianamente i credenti. Ad essi spetta misurarsi con le ricadute traumatiche della globalizzazione, pilotata da quell’1% di Paperoni straricchi e da quel capitalismo finanziario e consumistico svincolato da elementari regole liberali, consegnatoci negli anni ’80  dalla svolta neoliberista di Margareth Thatcher. Una svolta – ricordo – nemica giurata delle politiche di solidarietà keynesiane e tutta concentrata sul privato, sul libero mercato e sul Pil, sui bilanci in ordine e sul “laissez faire”, senza lo Stato di mezzo che disturbi.

Si sarà capito che la mia laica opinione è che questa pastorale, legata ai tempi storici che viviamo, in realtà non ci sia. La vedo lontana dallo sviluppo tecnologico in atto, con le sue ricadute sulla vita di relazione. Appare insomma distante da fenomeni irreversibili che pesano enormemente sul piano sociale, culturale e religioso. È facile stilare un rapido elenco: una classe operaia pressoché estinta, se poniamo mente a quanto ci raccontava già nel 1990 Edmondo Berselli; un ceto medio moderato salito da tempo sul ‘discensore’ e via via trasformato in ceto basso, dominato dalla preoccupazione per l’oggi e per il domani; una borghesia che non si sa più che fine abbia fatto, come hanno sottolineato anni fa De Rita, Cacciari e Bonomi; chiese vuote e chiuse, con seminari e sacerdoti assenti, e con matrimoni religiosi in discesa libera, come ricorda Franco Garelli;  figli in forte calo e quelli rimasti con le valigie in mano come dichiara l’Istat; famiglie di mogli e mariti ormai trasformate in sezioni del defunto partito comunista, con compagne e compagni. 

L’individuo

Dunque una società che si capovolge, con una etica  capitalistica che alla fine  scommette tutto sull’individuo solitario. Il quale, grazie alla scuola di economia neoliberista austriaca – non a caso di radici luterane – viene elevato a modello e metodo di analisi sociali a tutto campo. Sull’individuo, nuovo epicentro della società e della cultura, c’è solo da aggiungere che Benedetto XVI ne aveva visto l’avvento: “…La ‘morte di Dio’ annunciata da tanti intellettuali, cede il posto ad uno sterile culto dell’individuo”. Questo individuo appartato ha poi creato autonomie identitarie e  sovranismi devastanti. I quali, sulla spinta della Brexit, rompono il realistico desiderio di  regole europee comuni e condivise, e di una grande Europa unita politicamente, e non solo con la moneta. Una presa di distanza che ha visto ai nostri giorni accodarsi la  Polonia, l’Austria, la Danimarca, la Grecia, ecc. Un individuo che sta  chiedendo  referendum e leggi sul suicidio assistito, a tutela delle sue “sacre” e inattaccabili libertà, fatte proprie sulle piazze dalla preoccupante stupidità squadrista del fascismo No Vax. E che si è  trasferito in politica annullando il partito, e sostituendolo col leader, unico e solo rappresentante.

Un individuo insomma, non più persona in relazione, che prende in giro l’utopia di Bergoglio quando parla di “Fratelli Tutti”, e che si trasferisce tra i fedeli bloccandoli anche nella lettura della storia e nella testimonianza della storia: ” (…) Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere segni dei tempi?…” (Mt.16,2-3);  “(…) Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non valutate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc. 12,56-57). Ci tengo solo ad aggiungere, che un tale don Luigi Sturzo, quando sin dal 1919 ha chiamato i cattolici a calarsi nei tempi, facendoli  addirittura scendere nell’agone politico, aveva forse intuito  tutto. 

Conclusioni: la Storia

Di fronte alla scomparsa dei fedeli e alle crescenti sette  religiose, forse  Papa  Bergoglio ha capito che un  Sinodo era a questo punto necessario e indispensabile. Sinodo che significa stare insieme per discernere, in quanto la fede non è mai una  questione privata.

Ecco io mi limito a dire al mio amico Pio che Francesco sta spingendo  la sua Chiesa, e quel numero sempre più ridotto di fedeli, verso una consapevolezza sinora trascurata, e cioè a vivere nella storia e a leggere la storia; a vivere le novità  sociali e culturali e a interpretarle con gli occhi del Vangelo; a non isolarsi dai cambiamenti in corso d’opera già fuggiti di mano col clima, col lavoro e la società 5.0, e con quei 600 milioni (milioni !) di africani subsahariani che muoiono di fame e non vedono l’ora di emigrare. Il tutto alla luce degli Insegnamenti biblici ed evangelici, perché il cristiano non deve solo coltivare la (sua) spiritualità standosene a pregare chiuso in casa, e così  mettere  la (sua) anima in pace, ma deve vivere il mondo e nel mondo. Assieme agli altri e con gli altri.  

E Francesco questo lo ha capito perché non ha  nessuna intenzione di rinchiudere la sua Chiesa  in un monastero sull’Himalaya, ma pensa di farla misurare con i cambiamenti in atto, che lui definisce addirittura “metamorfosi“. Se poi viene accusato di trascurare la spiritualità e di leggere molto la società, lo si interpreta spesso in maniera superficiale. La spiritualità cristiana non è mai una pratica yoga per rilassarsi e distendersi. È un bisogno degli ‘affamati e assetati’ rivolto alla giustizia sociale immersa nella storia: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.”

Al mio amico Pio, vorrei sommessamente dire che sulla crisi del sacro, sulla secolarizzazione e sulla “diffusa non credenza”, Bergoglio non c’entra. Sono processi culturali e sociali frutto della storia che viviamo e respiriamo, comparsi da tempo sulla scena della modernità. E non c’entra neanche la crisi della spiritualità e della stessa fede, figuriamoci quella interna alla Chiesa. Condivido invece pienamente il suo augurio conclusivo o meglio la sua speranza in ordine alla rinascita e ripartenza della fede cristiana, in una Europa che auspicherei fondamentalmente più unita.