Mentre può tirare un sospiro di sollievo per l’accordo raggiunto a Bruxelles sul Recovery Fund, a Roma il premier Giuseppe Conte è costretto a misurarsi faticosamente con le turbolenze della sua maggioranza. Lo spettro della crisi continua ad aggirarsi tra i Palazzi del potere. Sembra profilarsi un blocco di interessi che torna a premere sulle istituzioni – in primis sul Quirinale – per giungere alla sostituzione in tempi rapidi dell’attuale Presidente del Consiglio.

Vediamo i numeri. Una nota dell’Agenzia Italia, diffusa nella serata di ieri e riportata dal Domani d’Italia, analizza la media degli ultimi sondaggi da cui si evince il deterioramento dei consensi a favore del governo e dei partiti che lo sostengono. Il dato più evidente e significativo è quello riguardante la simmetria che si riscontra nell’osservare come i conflitti all’interno della maggioranza, ad esempio sulla gestione dei 209 miliardi del Piano europeo destinati a rimettere in piedi l’Italia, favoriscano direttamente la Lega e per estensione le forze di opposizione.

In questa fase, insomma, il sistema politico non conosce intercapedini di compensazione: l’elettore deluso non sceglie di rifugiarsi nell’astensione, ma passa armi e bagagli dall’altra parte della barricata. È la classica spia di un disagio che non incrocia forme e luoghi di ricomposizione politica. Salvini rilancia pertanto la sua iniziativa sfruttando le semovenze tattiche di Berlusconi.

L’aspetto curioso di questa destra anomala, fino a ieri apparentemente destinata a scomporsi tra europeisti e antieuropeisti, è che riesce nonostante la torsione sovranista imposta da Lega e FdI a fregiarsi di una improvvida copertura del cosiddetto centrismo post-democristiano. Infatti, sulla riforma del Mes si è dispiegata una sibillina esercitazione in ambito cattolico moderato attorno a distinguo di dubbia valenza politica – in sede parlamentare l’esempio più grave per ambiguità lo ha fornito il drappello dell’Udc – avendo a riferimento, in ogni caso, la coda sempre meno lumescente della cometa Berlusconi.

È sull’europeismo che va ricostruita la comunanza d’indirizzo tra spezzoni di mondo popolare. Nel nome di De Gasperi non si può fiancheggiare l’oltranzismo demagogico di chi osteggia la politica di equilibrio della stessa Angela Merkel. C’è un limite a tutto e oggi, se non si vuole disperdere l’ultimo granello di fedeltà alla tradizione democristiana, il limite consiste nel tenere a bada il demone del sovranismo. Offuscare questa necessità, per la quale s’impone un soprassalto di rigore, vuol dire soltanto che sulla strategia di fondo s’insedia il motivo della convenienza, senza più decoro.