In questi giorni si legge spesso sui giornali che gli intellettuali non esistono più, sono scomparsi. Sia quelli che venivano chiamati “organici” perché mettevano i loro saperi e le loro conoscenze al servizio del partito cui aderivano, sia gli “indifferenti” che non avevano cioè alcuna passione politica ma si limitavano a coltivare le loro scienze e i loro impegni accademici e professionali.

La Democrazia Cristiana, ad esempio, nasce da una costola dei Popolari, fondati da don Luigi Sturzo, che erano stati un grande partito. Il suo primo leader, Alcide De Gasperi, ai tempi del fascismo era stato ospitato e assunto in Vaticano, dove lavorava nella Biblioteca Apostolica. In quella sede conobbe un giovane Andreotti, che stava lavorando alla tesi in Giurisprudenza con un lavoro sulla Marina Pontificia del ‘600. Il bibliotecario trentino lo apostrofò con queste parole: “Lei non ha nient’altro di meglio da fare?”. Il giovane Giulio, infatti, non lo aveva riconosciuto.
Anche gli altri “cavalli di razza” della Dc erano intellettuali di professione prestati alla politica come Fanfani, Dossetti, La Pira. In una recente intervista pubblicata sul “Corriere della Sera”, Vittoria Leone ricorda che “Moro era molto legato a mio marito, era stato suo assistente di diritto penale all’Università di Bari. Il destino li volle entrambi candidati della Dc al Quirinale. Votarono i gruppi parlamentari, Giovanni vinse per otto voti e Aldo fu leale, non armò i soliti franchi tiratori”.

La maggior parte degli esponenti dei principali partiti dell’Italia del secondo Dopoguerra, erano persone di discreta esperienza e cultura politica e facevano parte di quello che allora si chiamava il “notabilato” nelle libere professioni: medici, avvocati, docenti universitari. Gli esponenti democristiani contendevano principalmente al Pci la guida della pubblica opinione (l’egemonia culturale di Gramsciana memoria) e delle istituzioni locali. Quanto ai comunisti, la loro svolta è rappresentata dal Congresso di Lione, dove viene messo fuori gioco il massimalismo di Bordiga. A Lione nasce il Pci moderno. Il gruppo dirigente era guidato da personalità come Togliatti, Terracini, e poi arrivarono anche Amendola, Ingrao, Tortorella, Macaluso, Reichlin, Giorgio Napolitano.

Persone naturalmente diverse, di diverso sentire, ma accomunate da una vasta cultura che discendeva da personaggi come Antonio Labriola, Giustino Fortunato e perfino Benedetto Croce. Anche Enrico Berlinguer era un intellettuale e guidò il partito per diversi anni fino alla sua prematura scomparsa. La nuova generazione del Pci era comunque dotata di ampie letture e interessi culturali. Massimo D’Alema era “intelligente e abile” (secondo una definizione dello stesso Berlinguer). Walter Veltroni è stato direttore dell’Unità, vicepresidente del Consiglio del primo governo Prodi (“il miglior esecutivo della Repubblica”, secondo lo stesso Veltroni) ministro dei Beni Culturali, sindaco di Roma per due mandati e coltiva cinema, scrive romanzi e memorie.

Ci si chiede: dove sono, oggi, gli intellettuali? Il dilettantismo politico (spesso derivante da quello professionale) ha progressivamente inquinato e deformato la democrazia italiana. Un fenomeno non inconsueto nella vita pubblica italiana è emerso a modificare in peggio la qualità della nostra convivenza sociale. Si chiama demagogia e ha come strumento il populismo. Forse, in una situazione del genere, almeno gli intellettuali dovrebbero allarmarsi. In realtà prevale l’antica attitudine alla viltà e alla furbizia: si preferisce non prendere posizione. Oggi la parola è passata, ormai definitivamente, a chi non ha niente da dire. E il segreto sta nel fatto che questi si rivolgono a chi non ha tempo e voglia di ascoltare. In questo modo ogni fesseria è sempre viva e vegeta, mentre il pensiero sembra diventato un esercizio per presuntuosi.

Forse quello che una volta si chiamava “impegno politico” oggi dovrebbe partire dalla condizione fisica e spirituale degli italiani. Bisogna partire dalle menti e dalle scuole di formazione politica. Da questo punto di vista il governo in carica sembra assai lontano dal poter svolgere un qualunque lavoro di politica culturale. Allora sì che la necessità degli intellettuali (organici o indifferenti) risulta vitale per il futuro di una democrazia.