Draghi ha le idee chiare sulle prospettive di governo, per questo i suoi avversari lavorano (inutilmente) alla sua destituzione.

 

Il Premiere non si lascia intimidire. Ha detto nel passato di non volersi candidare, ma le circostanze lo obbligano ad assumere la postura di un leader di partito. Anche se il partito di Draghi non c’è e (forse) non ci sarà. Chi confida in lui, non solo in Italia, non riesce ad immaginare, infatti, un suo destino da Cincinnato. Quale sarebbe l’alternativa?

 

Cristian Coriolano

 

La cronaca rivela nell’altalena di rivelazioni e di smentite che la paventata crisi di governo non smette di accendere la fantasia dei cultori di un certo ritorno alla politica, configurabile con il chiaro tentativo di licenziamento del Premier. Come se Draghi, invece di prospettare negli ultimi tempi un più stringente impegno di governo, carico perciò di volontà e strategia politica, stesse barcollando sotto i colpi della sua ubriachezza da potere. In realtà, fatto il richiamo alla necessità di porre un argine al populismo, l’ex banchiere lavora alla definizione di un profilo più coerente della maggioranza, anche in vista delle elezioni del prossimo anno. Questo esige un chiarimento, passo dopo passo, per identificare una formula che consenta di presentarsi al giudizio dell’elettorato con la forza di un progetto valido per il Paese.

 

Ieri la tensione si è acuita a seguito delle reazioni in casa M5S per uno scoop del Fatto Quotidiano. Ecco, dunque, un’ora di colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il leader M5s Giuseppe Conte dopo una giornata in cui ha tenuto banco la notizia che Mario Draghi avrebbe chiesto a Beppe Grillo di esonerare Giuseppe Conte. E sarebbe stato proprio questo – secondo l’Agenzia Italia – l’argomento sul quale Conte avrebbe riferito a Mattarella, confermando che le interferenze esterne in un partito o movimento politico sono gravi. In ogni caso, non si sarebbe parlato di alcuna ipotesi di uscita dal governo.

 

In precedenza, Draghi e Conte hanno avuto modo di sentirsi al telefono senza riuscire tuttavia a rimuovere i sospetti. “Nel tardo pomeriggio fonti di palazzo Chigi hanno smentito che Draghi abbia mai chiesto al garante del Movimento di rimuovere l’Avvocato del popolo dai vertici del Movimento stesso. Dal Quirinale non trapelano ovviamente dettagli del colloquio, ma solitamente al Colle – chiosa sempre l’agenzia di stampa – non si sale per annunciare crisi di governo ma per affrontare temi concreti a maggior ragione se tra le forze di maggioranza e palazzo Chigi si sono verificate frizioni”. Viene fatto notare, per giunta, che l’incontro era stato concordato già da alcuni giorni in concomitanza con i malumori e i contrasti susseguenti alla scissione di Di Maio.

 

Draghi in sostanza non si lascia intimidire. Ha detto nel passato di non volersi candidare, ma le circostanze lo obbligano ad assumere la postura di un leader di partito. Anche se il partito di Draghi non c’è e (forse) non ci sarà. Chi confida in lui, non solo in Italia, non riesce ad immaginare, infatti, un suo destino da Cincinnato. I giochi sono aperti. Nel Pd, addirittura, sono apertissimi, visto che Letta tutto può fare meno che lasciar cadere nel vuoto – l’esempio deplorevole è quello di Bersani con Monti –  la collaborazione che lo lega alla cosiddetta Agenda Draghi. Una mossa sbagliata e lo stesso Letta finirebbe per screditarsi agli occhi di una pubblica opinione sempre più severa. Non c’è all’orizzonte un’alternativa a Draghi. E dunque, potrebbe mai concepirsi un “nuovo Ulivo” che nascesse con la mascherata intenzione di liquidare il più prestigioso e autorevole civil servant della nazione?