Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La deflagrazione del PD era cosa che non poteva non avvenire, anzi maturava già da tempo. Questo partito già nasceva come “concessione” di una classe dirigente che non credeva affatto in quel progetto, anzi lo boicottava apertamente: ricordate quel piccolo capolavoro di parole, espresse da D’Alema, per definire il progetto del PD e, infine, dichiarando il suo radicale scetticismo? Ecco quella “classe dirigente” aveva già messo la parola fine a quel “sogno”.

L’altro cuneo infilato nella struttura del partito fu messo durante la segreteria Renzi. Il giovane emergente aveva compreso bene quale fosse la malattia irreversibile del PD. Conquistò la segreteria proprio avendo chiaro l’abiettivo, rinnovare il partito, ma soprattutto liberarlo da chi lo stava uccidendo ancora adolescente. La chiamò, un po’ sfacciatamente, “rottamazione”. Ma era il concetto centrale e a ragione, il problema del PD era la classe dirigente.

Infatti portò con sé un bel gruppo di persone giovani e competenti. Finalmente il partito sembrava altro e con il governo Renzi raggiunse traguardi significativi sia di governo che di consenso. Ma purtroppo non aveva fatto i conti con i vecchi “marpioni” che ancora avevano le mani in pasta nel potere. E iniziarono le manovre di delegittimazione del segretario, già da subito, ricordate “stai sereno” per Letta? E arriviamo al referendum. L’apparato, che rischiava di essere definitivamente spazzato via, colse l’occasione e tutti ostacolarono quel momento che poteva essere per l’Italia la svolta verso la modernizzazione con la soluzione di molti problemi che oggi stanno emergendo drammaticamente. Ve li ricordate Bersani e Speranza che brindavano per la sconfitta del “loro partito”?

Ve li ricordate questi e altri che uscirono dal PD fondando una nuova formazione? Ed ora uno va per talk show a fare il patriarca della politica e l’altro fa il ministro di belle speranze! E Zingaretti che blatera di scissione riferendosi a Renzi. Il PD andò alle elezioni del 2018 con quella scissione e con quella sconfitta. Quindi, Zingaretti farebbe bene a ricordare lucidanente le ragioni di quella débâcle. E oggi, dopo le sue strumentali dimissioni si vergogna del partito?

Si dovrebbe vergognare della sua gestione e della sua classe dirigente! Pensava davvero, insieme a Bettini (sic!), che poteva salvare il PD con questa classe dirigente, magari prendendo dal quel crogiuolo di competenza del M5S?
Un po’ di umiltà e autocritica per rinnovare un partito ormai vocato alla fine.
Spero che l’Assemblea nazionale del partito chieda a Letta la scelta di una classe dirigente all’altezza, mi raccomando senza chiamarla “rottamazione”!