La storia della Democrazia Cristiana, un grande partito retto da tanti uomini illustri e preparati, ha fatto grande l’Italia nel mondo ma oggi non è ripetibile. Dunque, facciamo alcune premesse per ricordare le tappe più salienti della sua storia e nel contempo cerchiamo di esprimere un giudizio su questo argomento. 

 

Tutto ebbe inizio con la pubblicazione dell’enciclica di Papa Leone XIII, “Rerum Novarum” del 1891, che segna l’avvio dell’ingresso dei cattolici in politica. Com’è noto, per via del “Non expedit”, ai cattolici era vietato impegnarsi in politica. La prima versione della Democrazia Cristiana fu proposta da Romolo Murri, ma ebbe vita breve per la deriva a sinistra  e Murri dovette subire anche la scomunica. I cattolici impegnati in politica continuarono a svolgere il loro ruolo negli anni successivi, tanto è vero che nacque il PPI, nel 1919, con l’appello ai “liberi e forti” di Don Luigi Sturzo. Anche il PPI durò poco per l’avvento del fascismo, per cui lo stesso Sturzo dovette andare in esilio, prima a Londra e dopo a New York, esilio che durò circa ventisei anni.

 

Dopo la disfatta fascista, si formò la seconda versione della Democrazia Cristiana, con Alcide  De Gasperi, alla quale Sturzo, nel frattempo ritornato dall’esilio, partecipò attivamente dando il suo contributo con suggerimenti ed idee. Con il Referendum Costituzionale la Monarchia esce di scena. Nel partito furono attivi giovani di valore come Fanfani, Andreotti, Dossetti, Moro, La Pira, oltre lo stesso Sturzo. Con la Democrazia Cristiana, il Paese riconquista la libertà perduta, avviene la ricostruzione e il Paese si sviluppa tanto da diventare il sesto paese industriale, assumendo un prestigio in tutto il mondo.

 

Baget Bozzo individuava tre schemi di organizzazione della presenza pubblica dei cristiani. Il primo schema era detto eusubiano, delineato da Eusebio di Cesarea nella Vita e nella Laudes di Costantino, secondo cui la Chiesa interviene nella società per l’attuazione dei suoi principi attraverso un’istituzione politica autonoma. Il secondo schema detto gelasiano – da Papa Gelasio I –  stabiliva che il potere temporale fosse soggetto alla gerarchia ecclesiastica in forza di motivi spirituali. Il terzo schema, affermando la netta distinzione tra le due comunità, l’ecclesiale e la civile, riporta al discorso agostiniano, contenuto nel De civitate Dei di Aurelio Agostino. In questo caso, la Chiesa rinuncia a intervenire nella gestione del potere perché ritiene impossibile orientare, attraverso di esso, la società e i suoi principi.

 

Con le elezioni del 18 aprile 1948, vinte clamorosamente dalla DC, prende il volo la ricostruzione postbellica, anche grazie all’aiuto economico che De Gasperi ottiene dagli Stati Uniti d’America. Il Paese acquista fiducia, si rilanciano gli investimenti, cresce la produzione e con essa l’occupazione. La DC assume stabilmente la compartecipazione primaria nei governi che vanno dal 1948 sino al 1992, anno in cui gli scandali di Mani pulite la travolgono.

 

Subentrarono allora le divisioni dei democristiani, alcuni dei quali scelsero di confluire nello schieramento di centro sinistra, altri nello schieramento di centro destra. Nacquero alcuni piccoli partiti, condotti maggiormente a titolo personale, che poi non hanno espresso in tutti questi anni nessuna proposta politica capace di ricreare lo spirito del vecchio partito. È qui che s’impone lo schema di teologia politica che Baget Bozzo definiva “eusebiano”, talché la Chiesa prende le distanze dal mondo politico in virtù della separazione tra sfera spirituale e sfera mondana.

 

Oggi assistiamo non solo all’indecenza di svariate versioni della Democrazia Cristiana, tutte immancabilmente risibili, ma addirittura alla faziosità di chi pretende d’imporre la “sua” nuova Democrazia Cristiana. In realtà, la funzione storica della Democrazia Cristiana è finita, ed è finita con la morte di Aldo Moro, sicché i tentativi di riesumare un partito glorioso del passato è destinato a naufragare.

La storia, come sappiamo, non è ripetibile. Di essa il bravo politico deve fare tesoro per non incorrere gli errori del passato, sempre però con l’impegno di guardare avanti, con una visione innovativa, lontano cioè da modelli ripetitivo. Di per sé la riproposizione della Democrazia Cristiana appare fuori luogo, sembrando all’atto pratico un modo piuttosto becero di maneggiare una questione di potere. Quanti pretendono di ricreare la Democrazia Cristiana fanno finta di ignorare che questo partito appartiene ormai alla storia del Paese.

La prima versione della Democrazia cristiana, nasce e si sviluppa e muore in un periodo caratterizzato da profonde modificazioni della società italiana, da sostanziali mutamenti della gestione del potere pubblico e dell’economia. Dai moti popolari del 1893-94 e del 1898, in larga parte spintaneisti, si passa agli scioperi della classe operaia organizzata in leghe e sindacati. A cavallo del secolo la borghesia abbandona i metodi cari a Crispi e a Pelloux per assumere con Giolitti una linea di gestione del potere in grado di trasformare le tensioni sociali in spinte dirette a favorire lo sviluppo del capitale e dell’impresa.

L’organizzazione delle masse operaie attorno al Partito socialista poneva al movimento cattolico il problema di una strategia politica autonoma volta al recupero del proletariato, vieppiù estraneo all’influenza della Chiesa. Nel contempo i governi liberali offrivano al Papato inedite forme di collaborazione, culminanti nel Patto Gentiloni, per arginare l’iniziativa del Partito socialista.

Il PPI di Sturzo muove da una critica radicale al centralismo dello Stato, all’affarismo parlamentare e alla corruzione. Erano aspetti connessi e dipendenti, nell’insieme, da un modello elitario di potere. Sturzo criticava tutto questo perché vedeva il lato oscuro di uno Stato che faceva proprie le attribuzioni dei comuni e violava la libertà d’insegnamento, i diritti personali e familiari, riducendo la scienza e le lettere a un bagaglio di mestieranti. Questa critica non intendeva colpire lo Stato liberale in quanto tale, ma la tendenza accentratrice che in esso si manifestava ai danni della vita amministrativa locale. Tutto ciò era anche alimentato dalla visione meridionalistica, fortemente anti protezionista, che ebbe in De Viti De Marco il suo maggiore esponente.

In origine il prete calatino si prodigò a far sì che nella sua Scalia sorgesse e si manifestasse appieno l’impegno municipale dei cattolici. Nasce così l’idea del partito nel quadro stesso delle sue stesse attività sociali, organizzative e amministrative, intese come mezzo di elevazione sociale e morale delle masse contadine, come presupposto per il riscatto del Mezzogiorno e come base per lo sviluppo di una coscienza civile, politica e democratica dei cattolici organizzati. 

In definitiva Sturzo, nell’ambito di una prospettiva politica vasta, fa rientrare tanto le lotte contadine quanto l’impegno amministrativo. Nel discorso di Caltagirone evidenziò i tratti costitutivi dell’avanzata dei cattolici nelle istituzioni, dando spessore a quelle linee politiche e ideologiche che avrebbero dovuto qualificare questa impresa. Si staccò pertanto dalle vecchie posizioni intransigenti, considerandole del tutto superate. Da qui germoglia quel movimento che anni dopo, con il famoso appello  a  “liberi e forti”, si traduce nella formazione del Partito popolare.  

Nel Ventennio il piccolo nucleo dei popolari mantiene accesa la fiaccola della libertà. L’antifascismo di De Gasperi era tutto imperniato sulla sua formazione religiosa e culturale, come rifiuto dell’autoritarismo e della violenza del regime. Gli articoli sull’Illustrazione Vaticana dimostrano come De Gasperi avesse tenuto in vita istanze e valori largamente funzionali all’organizzazione politica dei cattolici democratici dopo la caduta di Mussolini. Del resto, negli anni della dittatura, l’Azione cattolica rappresentò l’unico spazio di libertà nell’azione di inquadramento formativo di giovani, donne e uomini, rimanendo questo organismo al di fuori della stretta morsa del regime. 

Le prospettive culturali che uomini come Montini e Righetti offrirono ai giovani della FUCI e dei Laureati cattolici stavano fuori da qualsiasi schema o suggestione autoritaria e dall’influenza dell’idealismo gentiliano. Si afferma in quel tempo la lezione di Jacques Maritain, quindi l’idea della democrazia come “sistema di vita, nel quale l’opera di ciascuno confluisce con l’opera di tutti e la libertà del dono reciproco si traduce in effettiva fraternità”. 

De Gasperi sfiora, senza adeguarvisi ingenuamente, queste peculiari suggestioni. Egli non scarta del tutto il pensiero di Maritain, ma conserva l’ancoraggio culturale alla tradizionale sociologica cristiana ottocentesca. Dopo vari incontri con i giovani della FUCI e dell’Azione cattolica, con l’opuscolo sulle Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana,  butta le basi per il nuovo programma politico. In effetti Le Idee ricostruttive rappresentano una specie di carta costitutiva della Democrazia cristiana. La tesi fondamentale si ritrova nel seguente passaggio: “Una democrazia rappresentativa espressa dal suffragio universale, fondata sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri e animata dallo spirito di fraternità, che è fermento vitale della civiltà cristiana, questo deve essere il regime di domani”. 

In una corrispondenza con Sturzo, De Gasperi scriveva di avere dato al partito l’epiteto DC e si congratulava con Sturzo per la sua approvazione. La DC idealmente era legata al popolarismo sturziano, ma fu una cosa del tutto diversa, per le diverse condizioni storiche, ambientali e politiche nelle quali il partito deveva operare. Infatti il PPI, dopo la prima guerra mondiale, si era presentato nella come portavoce e sostenitore di certe istanze del mondo rurale e di quei ceti che più degli altri avevano subito i danni della politica economica e dello sviluppo industriale del paese dall’unità in poi. La DC è diversa poiché nacque sotto il clima dell’antifascismo e della Resistenza. Dunque, la fascia di consenso della DC si dimostrò molto più ampia rispetto a quella del PPI.

Orbene, dopo questo approfondimento oggi rileviamo che vi sono numerose versioni della DC, ma nessuna si è cimentata seriamente con i problemi del tempo presenti. Tutti parlano di ricostruire la DC, ma senza alcun riferimento alle condizioni attuali di un Paese che sta vivendo una crisi economica e politica molto profonda. La Chiesa, d’altronde, non ha alcun interesse a “benedire” nuovamente la DC – ma quale sarebbe, poi, questa DC – perché la società è cambiata e per i motivi esposti prima non ci sono più le condizioni per una nuova DC.

Si ritiene, pertanto, che è sempre necessario un impegno dei cattolici in politica, ma serve un cambiamento profondo per riuscire ad aggredire con intelligenza e passione i mali che affliggono i nostri tempi: la corruzione, la criminalità, il populismo, il sovranismo, e dunque la destrutturazione, infine, dello stato liberale.

Una cosa in questo periodo è emersa in modo evidente. Ci sono state riforme, anche di ordine costituzionale, che hanno modificato l’assetto dello Stato, con l’accentramento di alcuni Enti, l’eliminazione delle Province, lo svuotamento della funzione del Parlamento. Ebbene, il nuovo corso dei cattolici democratici deve essere tutto proteso a riprendere le condizioni originarie della autonomie, per garantire la democrazia, la libertà e la tutela della dignità della persone. Urge un programma che ridia dignità alla rappresentanza politica mediante la scelta consapevole degli elettori, con i partiti incaricati di dare sicurezza alla democrazia.  Non ci possono essere deroghe a questi valori e principi. Dunque, ci batteremo per la difesa dello Stato di diritto e per i principi fondamentali della Costituzione repubblicana, ma lo faremo con un nuovo soggetto politico, diverso e distinto dalla DC. Un partito capace di stare al passo dei tempi, pronto a farsi carico delle trasformazioni della società e a interpretare le novità dell’attuale momento storico. 

Che Dio salvi l’Italia.

 

*Domenico Cutrona, Segretario Politico M.P.F.E. (Movimento Politico Federalista Europeo)